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Giulio Cavalli

Conversare, gridare.

Nel conversare normale, quando uno non può sostenere una discussione, si mette a gridare. Con questo non dà delle informazioni nuove, ma si fa sentire. Molti manifesti vogliono fasi sentire a tutti i costi anche non hanno niente da dire di interessante e allora gridano con i colori, gridano con il formato e soprattutto gridano con la quantità.

[Bruno Munari, Il manifesto a immagine centrale, in Arte come mestiere, Roma-Bari, Laterza 2007, p. 86]

No: la figlia di Riina è la figlia di uno stronzo

riina-lucia-2Noi siamo un Paese ben strano: ci arrovelliamo sui segnali più o meno criptici (con interpretazioni molto fantasiose) dei mafiosi per lasciare impunita la fiabizzazione delle famiglia di mafia. Su Panorama è uscita un’intervista alla “dolce” figlia di Totò Riina, Lucia, presunta artista di presunte arti visive. Premetto subito qualche punto importante: non penso che i figli di mafiosi non abbiano il diritto di parlare e scrivere, figurarsi, ma credo abbiano l’obbligo di farci sapere cosa ne pensano dei delitti del padre, almeno questo. Preferisco disistimare la madre di un latitante che gli chiede di non costituirsi piuttosto che leggere un articolo in cui la figlia di Totò Riina non si trova mai di fronte alla parola mafia. Ma Panorama riesca addirittura a fare di peggio: disegnare la famiglia Riina come un covo di amore e dolcezza dimenticandosi vent’anni di storia d’Italia. Come scrive bene Adriana Stazio:

Lucia Riina non è responsabile delle scelte di suo padre, che rimane suo padre, però è una persona adulta che ha deciso sì di vivere la sua vita senza entrare in associazioni mafiose ma ha scelto di fare una propaganda di questo tipo. Una propaganda alla mafia. Oggi su Panorama come mesi fa alla televisione svizzera o attraverso il suo stesso sito di arte. Un’operazione di marketing di cui lei è la testimonial per presentare un volto attraente, familiare e spendibile mediaticamente della sua famiglia. Nelle regole di Cosa Nostra non è una rottura non entrare nell’organizzazione, cosa ben consentita ai figli, la rottura è mettersi contro Cosa Nostra e le sue regole.
Chi di noi può rimanere neutrale nei confronti della mafia? Nessuno. Ecco perché a maggior ragione non può farlo la figlia di un mafioso di quel calibro specie se vuole rilasciare interviste non solo su di sé ma anche sulla sua famiglia piena di stragisti efferati che hanno insanguinato l’Italia

Qui da noi gli stronzi vivi poi da morti non si riesce a raccontarli come stronzi morti e ai figli dei mafiosi gli si permette di essere indifferenti alla mafia. Mi spiace, cara Lucia Riina, ma il tuo silenzio non ti lava nemmeno un centimetro dall’unto di tuo padre. E la tua famiglia è una rovina per questo Paese.

Sposati con il boss (nel suo castello che dovrebbe essere confiscato)

Me ne avevano parlato giusto qualche giorno fa e se n’è parlato in Commissione Antimafia. Con risultati non soddisfacenti, direi:

castello-miasinoIl castello «Galasso» a Miasino e la torretta sequestrata a un esponente mafioso a Borgomanero sono stati al centro di una seduta della commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie. A chiedere come mai i due beni, confiscati dallo Stato, non siano in realtà nelle mani pubbliche è stato il parlamentare milanese del Pd Franco Mirabelli, che a dicembre era stato a Borgomanero e a Miasino per verificare la situazione.

Prima ancora l’associazione Libera aveva organizzato iniziative volte a denunciare la questione. La discussione è partita dal castello di Miasino: «Questa struttura – ha detto Mirabelli – era ipotecata, per cui il Comune non ha potuto prenderla in carico, ed è stata assegnata a una società di gestione per farne un centro per cerimonie e rinfreschi. Oggi in questa società sono state rilevate consistenti quote da familiari della persona a cui è stata sequestrata la struttura».

Mirabelli ha chiesto al direttore dell’Agenzia per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata, Giuseppe Caruso, come sia possibile che lo Stato di fatto non riesca ad usufruire né del castello né della torretta, appartamento chiuso da almeno 15 anni vicino alla stazione di Borgomanero. «All’edificio – ha risposto Caruso – erano interessati, dieci anni fa, il Comune e il Corpo Forestale. Il bene non è stato destinato all’ente pubblico perché a fronte di un valore stimato di 98 mila euro, c’era l’ipoteca della Banca Nazionale del Lavoro di 152 mila euro. Il Comune non può sopportare un onere del genere. Oggi io chiamerei il direttore di banca e cercheremmo di arrivare a una mediazione al ribasso». 

Il castello di Miasino, 1.700 metri quadri di superficie e 41 mila di parco, era stato fatto costruire dai marchesi Solaroli nel 1867: lo aveva poi comprato Pasquale Galasso, arrestato nel 1992 e diventato collaboratore di giustizia. La moglie di Galasso, Grazia Scalise, ha fondato la società «Castello di Miasino srl» e dal 2002 ha gestito la struttura trasformata in location per matrimoni e feste. In quell’anno la Corte d’Assise di Napoli ha autorizzato la stipula di un contratto di locazione con la società di 36 mila euro l’anno, ma ridotto dell’80% per più di un lustro. I Galasso hanno anche presentato un’istanza per la restituzione del bene, che però è stata rigettata definitivamente nel marzo 2012.  

L’immobile era stato valutato nel 2009 per 4,6 milioni di euro. Ma allo Stato non è mai arrivato e Mirabelli ha chiesto come sia possibile. Caruso ha risposto che nessuno fino ad oggi si è fatto avanti per rilevare l’immobile, perché troppo costoso, e quanto al fatto che il castello è ancora nel possesso dei Galasso ha precisato che è accaduto in seguito ai loro ricorsi. «Mi risulta invece – sottolinea Mirabelli – che sia stato dato in gestione a una società con quote private normali, che poi in seguito sono state acquisite da familiari della persona a cui era stato sequestrato il bene». Il castello è diventato, come dice il direttore dell’agenzia, un «compendio aziendale» e per lo Stato non è così scontato entrarne in possesso, al punto che al termine del dibattito il presidente della Commissione ha annunciato che chiederà ulteriori informazioni.

Di mafia e di bavaglio a Pavia

mauroLeggete e seguite cosa sta succedendo a Pavia. Prima sul sito dei Wu Ming:

[Chi bazzica queste lande si è imbattuto tante volte in Mauro Vanetti. Oltre a essere uno dei commentatori di Giap –  e guest blogger – più acuti e apprezzati, è stato anche il curatore dell’antologia Tifiamo Asteroide. Mauro è un informatico e un attivista politico.  Nella sua città, Pavia, è tra i protagonisti di una multiforme battaglia contro le mafie e il business legale del gioco d’azzardo, nonché tra i promotori di Senza Slot e co-autore del recentissimo libro Vivere senza slot. Storie sul gioco d’azzardo tra ossessione e resistenza (nuovadimensione, 2013).
A monte di tutto questo, Mauro è un militante comunista, membro del PRC e della Tendenza Marxista Internazionale, che in Italia si raggruppa intorno al giornale Falcemartello.
E’ proprio dal sito di Falcemartello che riprendiamo la seguente chiamata alla solidarietà, perché Mauro sta subendo un attacco e bisogna aiutarlo a difendersi e contrattaccare, al di sopra delle differenze, delle diverse appartenenze e dei tribalismi delle tante sinistre.
A noialtri, poi, usare Giap per difendere un giapster sembra il minimo.
N.B. In generale, a Pavia c’è un clima pesante. Emblematico quel che è accaduto a Giovanni Giovannetti, autore del libro Sprofondo Nord( 2011). Non solo Giovannetti ha subito un fuoco di fila di querele: ha avuto anche la casa incendiata, e nel rogo è andato distrutto il magazzino della sua piccola casa editrice, Effigie.]

E il pensiero su discutibili.com:

La persona in questione è Mauro Vanetti, un attivista politico che ho conosciuto e frequentato – anche se non molto – all’università, attivo nella discussione sulle mafie nel nord e fervente sostenitore di posizioni contrarie alle slot-machine, che costituiscono un giro d’affari di cui Pavia rappresenta un centro propulsore di rilievo tristemente eccezionale. È stato chiamato in causa per diffamazione, per aver fatto riferimento, su Facebook, a un “picciotto”, in un thread polemico a cui aveva preso parte il signor Trivi. Questi, pur non comparendo il suo nome nel commento in questione, vi si è probabilmente riconosciuto, e avrebbe ritenuto di cogliere un’allusione alla propria persona nell’affermazione, stando alle fonti ugualmente priva di nomi, secondo cui: “Uno dopo l’altro, tutti i politici pavesi che se la intendono con la mafia la stanno facendo franca. Non saranno i giudici a levarceli dai piedi, dovremo pensarci noi”, con successivo chiarimento del pensiero dell’autore: “non penso che la mafia sarà mai sconfitta in tribunale se non viene prima sconfitta nella società, semplicemente perché gran parte di ciò che fa la mafia non è tecnicamente illegale”.

Beh, la sentenza di questo processo arriverà lunedì, scopro oggi. E quello che c’è da aggiungere è questo: che se la controparte è abituata a cavalcare sottigliezze processuali, chi si batte con impegno per un’idea di solito non ama perdercisi in mezzo. Ma in questo caso forse vi sarebbe di che eccepire, dato che, stando alle informazioni presenti in rete, i querelanti hanno proceduto senza presentare, come prove, altro che alcuni screenshot di Facebook sui quali non è stata eseguita alcuna perizia. A me, in questi casi, viene da sperare che le cose si concludano in modo giusto e ragionevole, ed equo. Ma poi mi chiedo anche se ha senso che io abbia fiducia nelle istituzioni, e, se sì, in quali. Non credo di poter aggiungere molto alla vigilia della fine di questa vicenda, che commento troppo tardi.

A proposito di Letta, diritti e olimpiadi

Vale la pena leggere l’intervista a Ivan Scalfarotto e Anna Paola Concia:

SCALFAROTTO: “Nascondersi dietro l’Onu è veramente ridicolo. Se fai la lista di chi va e di chi non va a Sochi, il risultato è solo imbarazzante. A Merkel, Obama, Cameron e Hollande non è bastata la presenza di Ban Ki-moon”.

CONCIA: “Rimango senza parole. Non c’è proprio bisogno di nasconderci dietro qualcuno. Quello che conta è che il premier italiano va allo show di Putin e i capi di Stato delle principali democrazie del mondo invece se ne restano a casa. Il resto, lo ripeto, sono giustificazioni inconsistenti e tardive”.

La trovate qui.

Grazie a Novellara

Dove ragazzi freschissimi e attivi stanno organizzando una serie di incontri che allenano il muscolo della curiosità. Il loro resoconto della serata è qui.

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Solidali tra sodali

A Milano i pm Paolo Filippini e Antonio D’Alessio stanno seguendo un’inchiesta che andrebbe studiata in sociologia e antropologia:

Il ‘metodo Kaleidos’. Una apparentemente modesta società di car sharing di Saronno, nel Varesotto, che improvvisamente, nell’arco di sei anni, mette le mani sui più succosi appalti pubblici regionali e sbaraglia ogni concorrenza. Tutto grazie a un dettaglio, raccontano oggi le carte di un’inchiesta: l’appartenenza dei manager Kaleidos, e dei funzionari regionali chiamati a indire i bandi di gara, alla Compagnia delle Opere. Tutti o quasi. Solo apparentemente aperti al mercato, alla concorrenza, a chi garantiva le condizioni migliori.

Kaleidos, raccontano le carte dell’inchiesta realizzata da carabinieri e Procura, dettava le linee per configurare gare su misura. Consigliava i funzionari regionali sulle condizioni da includere negli appalti, a volte chiedeva perfino che si “alzasse la base d’asta” per ottenere guadagni più vantaggiosi. Ovviamente, per garantirsi una vittoria scontata. Ed erano talmente sicuri di rimanere impuniti che tutte le irregolarità si consumavano senza alcuna precauzione, soprattutto attraverso i messaggi di posta elettronica. Dal 2005, per sei anni, sono stati 150mila quelli che i vertici della società Kaleidos – azienda con sede a Saronno, sulla carta esperta di auto a noleggio per aziende pubbliche e private – si sono scambiati con i funzionari della Regione, di Metropolitana Milanese, Aler e Ferrovie Nord.

Compagnia delle Opere, Comuione e Liberazione e Regione Lombardia. Solidali tra sodali, al solito. Tre o più persone che si mettono d’accordo per accrescere il proprio bene ai danni del bene pubblico. E’ così diverso dal reato di associazione a delinquere o dalla mentalità mafiosa?

Quale errore!

Per lungo tempo si sono confuse la mafia e la mentalità mafiosa, la mafia come organizzazione illegale e la mafia come semplice modo di essere. Quale errore! Si può benissimo avere una mentalità mafiosa senza essere un criminale.

Giovanni FalconeCose di Cosa Nostra, 1991