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Giulio Cavalli

Patria senza padri

Un estratto da Patria senza padri. Psicopatologia della politica italiana di Massimo Recalcati, libro-intervista curato da Christian Raimo. (via)

In un vecchio film di Woody Allen intitolato Il dittatore dello stato libero di Bananas si raccontano con sferzante ironia le vicende rocambolesche di un rivoluzionario che combatte l’ingiustizia della dittatura in nome della libertà e che finisce per indossare i panni di un dittatore spietato identico a quello che aveva combattuto. Ogni rivoluzione, ripeteva Lacan agli studenti del ’68, tende a ritornare al punto di partenza e la storia ce ne ha dato continue e drammatiche conferme. Anche Grillo si caratterizza per essere animato da quel fantasma di purezza che accompagna tutti i rivoluzionari più fondamentalisti. Egli proclama a gran voce la sua diversità assoluta dagli impuri: si colloca con forza fuori dal sistema, fuori dalle istituzioni, fuori dai circuiti mediatici, fuori da ogni gestione partitocratica del potere, dichiara che la sua persona e il suo movimento non hanno nulla da spartire con gli altri rappresentanti del popolo italiano che siedono in Parlamento, invoca una democrazia diretta resa possibile dalla potenza orizzontale della rete che renderebbe superflua ogni altra mediazione, ritiene che l’Italia debba uscire dall’Europa e dall’euro, giudica l’esistenza dei partiti un obbrobrio, proclama la trasparenza e la collegialità assoluta di ogni scelta politica del suo movimento, adotta l’insulto al posto del dialogo, pensa che dedicare la propria vita alla politica sia di per sé un fatto anomalo e sospetto che bisogna impedire, teorizza una permutazione rigida di tutti gli incarichi di rappresentanza; il suo giudizio sulle classi dirigenti del nostro paese fa di tutta l’erba un fascio ritenendo che sia da mandare in toto al macero, alimenta sdegnosamente l’odio verso la politica accusata di affarismo mercenario.

Tutti questi giudizi – senza entrare nel merito del loro contenuto, che si può anche in parte condividere – sono ispirati da un fantasma di purezza che troviamo al centro della vita psicologica degli adolescenti. Si riguardi la diretta della consultazione di Bersani con i rappresentanti del Movimento 5 Stelle al tempo del suo tentativo di costituzione del governo. Cosa vediamo? È il dialogo tra un padre in difficoltà e i suoi due figli adolescenti in piena rivendicazione protestataria. Mi è subito venuto alla mente Pastorale americana di Philip Roth, dove si racconta la storia tormentata del rapporto tra un padre – il mitico «svedese» – e una figlia ribelle, balbuziente, prima aderente a una banda di terroristi e poi a una setta religiosa che obbliga a portare una mascherina sul viso per non uccidere i microrganismi che popolano l’aria. Il dialogo tra loro è impossibile.

Il padre cerca di capire dove ha sbagliato e cosa può fare per cambiare la situazione, la figlia risponde a colpi di machete: sei tu che mi hai messa al mondo, non io; sei tu che hai creato questa situazione, non io; sei tu che vi devi porre rimedio, non io. Così agisce infatti la critica sterile dell’adolescente rivoltoso. Il mondo degli adulti è falso e impuro e merita solo di essere insultato. Ma quale mondo è possibile in alternativa? E, soprattutto, come costruirlo? Qui il fondamentalismo adolescenziale si ritira. La sua critica risulta impotente perché non è in grado di generare davvero un mondo diverso. Può solo chiamarsi fuori dalle responsabilità che scarica integralmente sull’Altro ribadendo la sua innocenza incontaminata… Ma di qui a dare vita a un autentico cambiamento ce ne passa, perché non c’è cambiamento autentico se non attraverso il rispetto delle generazioni che ci hanno preceduto, se non attraverso una soggettivazione, una riconquista dell’eredità che viene dall’Altro.

Questo fantasma di purezza che ha origine in una fissazione adolescenziale della vita si trova anche a fondamento di tutte le leadership totalitarie (non di quella berlusconiana, che gioca invece sul potere di attrazione della trasgressione perversa della Legge). E sappiamo bene dove esso conduce. Ne abbiamo avuti esempi atroci nel Novecento. Lo psicoanalista, per vizio professionale, guarda sempre con sospetto chi si ritiene portatore di istanze di purificazione della società, chi agisce in nome del bene. Lo psicoanalista sa che chi si ritiene puro non ha tolleranza verso la diversità. La purga staliniana era la metafora fisiologica radicale di questa intolleranza. Lo stato mentale di un movimento o di un partito si misura sempre dal modo in cui sa accogliere la dissidenza interna. Sa tenerne conto, valorizzarla, integrarla o agisce solo tramite meccanismi espulsivi? Sa garantire il diritto di parola, di obiezione, di opinione personale oppure procede eliminando l’anomalia, estromettendola con la forza dal suo corpo?

Grillo non ha esitazioni da questo punto di vista. Egli applica il regolamento escludendo l’eccezione, secondo il più puro spirito collettivistico. Salvo ribadire la propria posizione di eccezione. Le sue enunciazioni sono singolari, non vengono discusse prima, mentre quelle dei suoi adepti devono essere vagliate scrupolosamente dalla democrazia assoluta della rete. Si proibisce che ciascuno parli e pensi con la propria testa, si esige una sorveglianza su ogni rappresentante eletto perché non si stacchi dalle decisioni condivise. Ma l’aggressione al manifesto con il quale alcuni intellettuali si rivolgevano con speranza al Movimento 5 Stelle chiedendo che dialogasse con il centrosinistra o la minaccia di revocare l’articolo 67 della Costituzione sulla libertà di pensiero dei nostri nuovi rappresentanti parlamentari sono state prese di posizione discusse democraticamente? Come può essere credibile in fatto di democrazia un movimento che attribuisce al suo leader la posizione di incarnare una eccezione assoluta? In questo senso profondo il Movimento 5 Stelle è antipolitico. Il culto demagogico della trasparenza assoluta nasconde questa presenza antidemocratica di una leadership incondizionata. Se l’azione politica è la pazienza della traduzione, se non ammette tempi brevi, non contempla l’agire di Uno solo, il nuovo leader inneggia all’antipolitica come possibilità di avere una sola lingua – la sua – che non è necessario tradurre, ma solo applicare. Come non vedere che c’è un paradosso evidente tra l’esigenza che nessuno parli a partire dalla sua testa e le consultazioni collettive che dovrebbero rendere trasparente ogni atto e condivisa ogni presa di posizione?

Il leader anarchico e sovrano resta esterno al movimento che ha fondato. È la sua eccezione assoluta; egli è nella posizione del padre dell’orda di cui parla Freud in Totem e tabù. Il culto del collettivo è un culto stalinista. Il soggetto è sacrificato, abolito, negato nella sua singolarità. Una volta avveniva nel nome della Causa della storia, oggi avviene per narcisismo egoico. L’amplificazione megalomaniaca dell’Io è propria di ogni dittatore. Ma anche la trasformazione dei soggetti in un «organo» anonimo non è una caratteristica propria di ogni regime autoritario? L’impossibilità di poter parlare a titolo personale? La cancellazione dei nomi propri? La psicoanalisi insegna che il diritto alla libertà della propria parola è insostituibile. È la ragione per la quale non ha mai avuto grande diffusione nei paesi senza lunghe tradizioni democratiche. Un leader degno di questo nome lavora alla sua successione dal momento dell’insediamento, mantenendo il movimento che rappresenta il più autonomo possibile dalla sua figura. Prepara cioè le condizioni di una trasmissione simbolica. Tutto ciò diventa di difficile soluzione quando un movimento non ha storia, non ha padri, ma un genitore vivo e vegeto che rivendica il diritto di proprietà sulla sua creatura. «Io ti ho fatta e io ti disfo», ammoniva una madre psicotica una mia paziente terrorizzata. Una leadership democratica deve sempre rispondere al criterio paterno di una responsabilità senza diritto di proprietà. Si pensi invece alla reazione di Casaleggio all’indomani delle elezioni, quando disse che se il movimento non avesse adottato certe sue indicazioni di comportamento dei neoeletti non avrebbe preteso nulla e se ne sarebbe andato. Ecco la minaccia più narcisistica possibile che un fondatore può fare: io starò con te finché tu mi assomiglierai, finché mi riprodurrai; se tu assumerai un tuo volto, una tua originalità, io non ne vorrò più sapere di te e me ne andrò.

Il pluralismo è temuto da Grillo come da tutti i leader autoritari. Il sogno di un consenso al cento per cento è un sintomo eloquente. Come abbiamo visto era il sogno degli uomini di Babele mentre sferravano il loro attacco delirante al cielo, la loro sfida a Dio: un solo popolo, una sola lingua. No, le cose umane non vanno così. Il Signore sparpaglia sulla faccia della terra quella moltitudine esaltata obbligandola alla differenza, al pluralismo delle lingue, esigendo la pazienza della traduzione. Esistono in democrazia più lingue e ciascuna ha diritto di manifestarsi e di essere ascoltata. Guai se il fantasma di purezza si realizzasse al cento per cento. Lo ricorda giustamente Roberto Esposito: una democrazia che si realizzasse compiutamente sarebbe morta, annullerebbe tutte le differenze delle lingue nel corpo compatto della «volontà generale», darebbe luogo a una tirannide.

Il drone che sgancia poesie

Il poeta David Shook ha lanciato una raccolta fondi per costruire droni che sgancino poesie piuttosto che bombe. Il progetto è qui.

Questa la presentazione:

Le riflessioni su guerre e pace invece sono strettamente personali. Ma urgenti.

Spara più la politica che la ‘ndrangheta

Provate ad immaginare un sindaco antimafia. Non ce ne sono molti. Anzi ce ne sono molti che si professano sull’antimafia pubblicitaria delle commissioni come bomboniere politiche, ce ne sono alcuni che invitano un magistrato scelto a caso nel mazzo per schierarsi sui quotidiani locali, ce ne sono altri che professano antimafia come un catechismo incontestabile per questioni di fede e poi gli antimafiosi sulla scia di Maroni che si appuntano al petto le vittorie degli altri mentre li stremano per decreto.

Ma poi ci sono anche i sindaci antimafia: quelli che  la mafia la incrociano sotto casa, si sfiorano al bar e poi si mettono sotto a disinnescare mafie in Consiglio Comunale. Non fanno molta notizia, esistono solo se minacciati giusto il tempo di stare in una colonnina bassa dei quotidiani e di prendersi gli applausi e gli insulti più o meno in uguale misura. Poi spariscono, per gli altri, rimanendo comunque dentro lo stesso gorgo sotto casa, al bar e in Consiglio Comunale.

Maria Carmela Lanzetta è stata minacciata con le minacce sul serio, quelle che ti passano davanti agli occhi tutte le facce care della tua famiglia e ti chiedi mille volte se ne vale la pena. E lei si è risposta che sì, che ne vale sempre la pena. Maria Carmela Lanzetta è sindaco di Monasterace, in provincia di Reggio Calabria, si è ‘meritata’ l’incendio della farmacia di famiglia e qualche pistolettata all’auto perché in terra così difficile ha deciso di stare dalla parte delle regole. Ha fatto notizia la sindaca minacciata: calabrese, donna, di centrosinistra e dal cuore pulito è sembrata un’ottima occasione anche a Pierluigi Bersani che ha pensato bene di portarle la vicinanza della coalizione di centrosinistra durante l’ultima campagna elettorale. Altri tempi: Bersani pensava di diventare premier e la coalizione credeva di coalizzarsi per davvero. Quando la politica si dichiara vicina ad una situazione si assume il dovere di risolverla. Nei paesi normali almeno, dico.

E invece Maria Carmela questa volta ha rinunciato al proprio mandato rassegnando le dimissioni dopo avere incassato un “no” secco dai suoi assessori alla costituzione di parte civile dell’Amministrazione nei confronti di alcune persone indagate nell’ambito di un procedimento contro il Comune. Sarebbe stata l’occasione buona per fare politica e fare cassa per recuperare i danni patrimoniali compiuti contro la Pubblica Amministrazione. Ma il coraggio non lo ottieni per mandato elettorale e la “sua” squadra ha pensato di lasciarla sola.

Maria Carmela ha dichiarato che è stata più “incompresa che intimidita” e mentre l’ha detto è crollata tutta l credibilità di stato tutta intorno. Si è consumata la foto di Bersani che la stringeva forte forte, si è smascherato il manierismo antimafia di un governo alleato con fiancheggiatori politici di mafiosi e si è spenta anche la poesia dei progressisti sempre fieri dei propri amministratori giusto il tempo della foto ricordo.

Spara la politica più della ‘ndrangheta in Italia, dove la solitudine per mozione è più funzionale e silenziosa di uno sparo. E vince senza colpevoli ma al massimo un paio di inopportuni ma l’inopportunità dura la parentesi di una febbre e poi va via qui nel Paese dei molti sindaci antimafiosi.

E Maria Carmela si ostinava a non crederci.

(scritto per Il Fatto Quotidiano)

In poche parole, perché siamo più poveri

La risposta non è difficile: questa situazione va ricondotta al pensiero dominante di ispirazione neoliberista, che si è affermato all’inizio degli anni ’80 negli Stati Uniti e in Inghilterra e che poi ha influenzato la politica economica dell’Unione europea. La teoria economica neoliberista si fonda sull’assunto che la diseguaglianza non inficia in alcun modo la crescita. Anzi, detassare redditi e soprattutto patrimoni immobiliari e mobiliari dei più ricchi genererebbe un “effetto a cascata” che dai piani alti della società trasferirebbe la ricchezza fino ai piani bassi, portando ad un arricchimento generale e ad una maggiore crescita. Questa idea ha aperto la strada alle privatizzazioni e alla deregulation.

(Jiorgio Ruffolo e Stefano Sylos Labini, la Repubblica, 9 luglio 2913)

Francesco

Se quel Papa che oggi è sbarcato a Lampedusa senza fronzoli e vestali e ha parlato all’Italia e all’Europa dicendo che “Dio ci giudica da come trattiamo i migranti” è il rappresentante “istituzionale” (credenti o no) più coraggioso nel campo della solidarietà e dei diritti significa che che abbiamo una notizia buona e una notizia cattiva.

La notizia buona è che la Chiesa in queste parole assomiglia molto alla Chiesa che in molti vorrebbero (credenti o no) e finalmente parla ai cuori senza perdersi in mediazioni.

La notizia cattiva è che il messaggio politico più forte di questi ultimi mesi (e, forse più di sinistra) non arrivi dal centrosinistra (nessuno con un po’ di sale in zucca se lo aspetterebbe, figurarsi, dal Governo Pd – PDL) ma da una figura esterna (potremmo chiamarlo “tecnico” della solidarietà, eh) mentre la sinistra si accartoccia su se stessa e il Partito Democratico si spende per regole congressuali e regole d’ingaggio con gli amici berluscones.

Fa venire le vertigini in questa epoca di nani, Francesco.

Ambientalismo attenuato

“Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza”.

Sono le parole del Decreto Fare del Governo Letta che stanno allarmando le associazioni ambientaliste e non solo. Basta leggerlo con attenzione per cogliere come il fattore economico diventi la componente principale per valutare una bonifica. Spaventa anche ‘l’attenuazione’ come soluzione accettabile. Io non so cosa ne pensino gli EcoDem o le persone per bene che da dentro il PD in tutti questi anni si sono spesi per una seria legge contro il consumo di suolo e una nuova responsabilità ambientale in politica ma certo le associazioni sono sul piede di guerra. La delusione invece, quella, ormai è già sdraiata al sole.

Ne scrivono diffusamente gli amici di A Sud qui.

Il centrosinistra peggiore. Nel VI (ex VIII) municipio di Roma.

Piccoli errori centrosinistri. Per niente piccoli. Scritto da Andrea.

– ai Servizi Sociali (delega importantissima per un Municipio) va la figlia di Antonio MadamaAssessore PDL della precedente Giunta Lorenzotti, appartenente allora alla cordata di Samuele Piccolo, che nel frattempo è transitato col suo sodale Ezio D’Angelo (unico politico locale inquisito all’epoca dello scandalo che coinvolse Piccolo e famiglia) e con tutto il resto della truppa al PSI. E’ utile notare che il Consigliere municipale eletto dal Partito Socialista, tale Reale, è il nipote di Madama. Stiamo parlando dello stesso Antonio Madama che negli anni ’90 ammise di aver incassato un’ingente somma di denaro per votare il Presidente della Circoscrizione (che all’epoca veniva eletto dal Consiglio);

– alla Scuola e alla Cultura va un’altra figlia di! Si tratta stavolta di Andreina Di Maso, figlia dell’ex Consigliera municipale Livia De Pietro. Andreina Di Maso è stata candidata, ma non eletta, nella lista PD;

– all’Urbanistica va Verticchio (Lista Civica), anziano collaboratore personale dell’ex Consigliere Regionale ed ex Presidente del Municipio Giuseppe Celli, di cui ho avuto recentemente modo di parlare a proposito dell’elezione della figlia Svetlana in Consiglio Comunale (leggi anche qui);

– ai Lavori Pubblici va Vittorio Alveti (PD), che entra in giunta dopo una ventina d’anni di Consiglio!

– allo Sport va Valter Mastrangeli, Consigliere municipale, oggi PD, dopo aver trascorso la consiliatura precedente tra Gruppo Misto e API, oltre a collezionare un nutrito book fotografico in assemblee pubbliche con l’ex Sindaco Alemanno;

– da ultimo, al Bilancio va Daniele Palmisano, proveniente da San Giovanni (Municipio VII, ex IX), componente della Segreteria PD di Roma e fac totum della cordata di Umberto Marroni interna al PD, cui lo stesso Scipioni fa capo. Palmisano sarà Vicepresidente.

Il punto vero sulle intercettazioni

Per chi, e sono tanti, crede che l’Italia si meriti da tempo un’antimafia giudiziaria all’altezza della mafia il cosiddetto “problema delle intercettazioni” sta nella difficoltà per ragioni di bilancio di potervi accedere come strumento di indagine. Un po’ perché solo in Italia le compagnie telefoniche incassano così bene per un servizio che andrebbe ricontrattato sui parametri europei e un po’ perché le enormi professionalità che abbiamo nel campo delle indagini sono monche per motivi banalmente economici.

Ha ragione il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Giovanni Conzo, titolare nel capoluogo partenopeo di alcune tra le indagini più significative a contrasto della diffusione nel nostro paese della criminalità organizzata non autoctona, quando dice:  “I cinesi che possono contare su un’economia illegale di grande profitto, hanno usante e riti molto differenti dai nostri. Per cui sono un universo inesplorato e vorrei dire inesplorabile. Inesplorabili perché hanno tanti dialetti, tante lingue e fare intercettazioni telefoniche è difficile, perché è difficile trovare interpreti. La maggior parte di loro ha paura, ma non solo. Occorrono risorse per pagarli, visto che svolgono un lavoro che naturalmente deve essere retribuito il giusto. E così, se non ci sono i fondi, è evidente che queste indagini nemmeno possono iniziate”.