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Giulio Cavalli

O mio dio, ho la scorta

Di solito fanno una faccia mutevole di corsa: cambiano espressione e passano dal pentimento di non conoscermi attraverso la pena fino alla stima incondizionata. Il tutto in tre, quattro minuti in cui la vita davanti però se la vedono passare gli altri, mica io. Sono sette anni che vivo sotto protezione. Dal 26 aprile 2006. Come un anniversario ma con meno dolcetti, spumante e candeline. E in questi sette anni la scorta, lì fuori dove si scrive sui social o sui giornali, è diventata di tutto e di più: una condanna, un’esibizione, un privilegio, un costo, un diritto, un dovere, uno spreco fino a questi tempi ultimi in cui è scontata quasi banale.

Il primo giorno sono uscito dal cancello e ho trovato due tizi più stralunati di me che sembrava mi chiedessero i tempi del copione di questa drammaturgia inaspettata: avere la scorta a Lodi (quella provincia che esiste per essere la prima verso sud dopo il casello di Melegnano) è più o meno come girare nudo con un calzino sul pene per le vie di Roma o Milano, ti si nota, eccome.

Poi è venuta l’abitudine ma è un’abitudine inquieta. Sembra un ossimoro, effettivamente.  Ma l’abitudine ha l’occasione ciclica per essere spezzata della paura perché sì, ho avuto paura, ne ho ancora, ma è una paura che richiede anni di studio e alfabetizzazione per essere colta dal gambo in su senza fermarsi ai petali che fanno notizia ma sono solo un’escrescenza del totale.

Poi è venuta la delazione: quella subito, in contemporanea alle minacce perché in fondo hanno le stesse radici e pure la stessa natura, anche se i delatori pensano di poter essere i censori dei minacciati. Sono stati tanti e comunque simpatici: prima piccoli potentati lodigiani (sono in corsa in queste elezioni) che da sinistra sono riusciti ad essere sinistri solo per cercare di colpire me o Andrea Ferrari (un amico, in quei tempi, e si costruiva insieme) e che poi si sono sciolti anche solo per una presenza a qualche festival democratico, poi sono arrivate le delazioni dei berluscones (eppure proprio da quelle parti era arrivata l’offerta di una scorta “pagata privatamente per garantire la mia sicurezza”) e infine le delazioni peggiori, quelle dei divi antimafia che hanno il pregio di essere figli e presidenti o qualche altro membro di una qualsiasi accolita dei rancorosi.

Poi è venuta la lotta politica. Che non è mica lotta “in” politica ma sempre lotta “dalla” politica. E così ho un elenco lungo di dirigenti diligenti della sinistra che mi scrivono grosso sui manifesti delle iniziative elettorali ma poi bisbigliano più biliosi di una vecchia suocera e megera. Del tipo: Cavalli ha la nostra vicinanza perché scortato ma è un rompicoglioni. Perché gli sfugge che in un tempo così banale basta essere un rompicoglioni per avere bisogno di una tutela armata piuttosto che amabile. I delatori di sinistra sono fantastici: riescono a organizzare grandi fiaccolate per te e intanto organizzano l’ennesimo eccesso di difesa per un attacco che non ho mai sferrato. Pagherebbero per monetizzare politicamente una situazione come la mia. Rimangono basiti solo un attimo quando gli dico che vorrei indietro almeno i miei figli.

Poi ci sono i “pretini”: dicono che la scorta è una sventura. O mio Dio. Si inginocchiano e pregano, Pregano così forte che non hanno nemmeno un secondo per ascoltarti o al minimo sentirti.

Poi ci sono i democristiani della paura: ti dicono che la scorta è un dolore troppo grande per la politica. Come se Dell’Utri, Cosentino, Mangano, Mancino, Violante e Berlusconi fossero dei foruncoli che sono usciti solo per lo stress della paura. Gli dici che sei di sinistra, comunista forse, o comunque che Peppino Impastato era un “compagno” e si mettono le mani sulla faccia invocando dio (quello minuscolo funzionale alle schede elettorali) dicendo che la scorta e la paura non sono né di destra né di sinistra. Ma io no, perdio.

Poi ci sono gli indifferenti. Tanti, tantissimi e sempre eleganti. Camminano per la loro strada che di solito è un vicolo bavoso e angusto e ti insegnano che l’indifferenza è il balsamo della vita. Stanno bene. Hanno l’abito del magister e la responsabilità di un servitore gentile: ringraziano, si inginocchiano, omaggiano e poi cercano il riscatto nella pippata del sabato sera.

O mio dio (minuscolo) ho la scorta e così poca penna per raccontare tutto l’unto tutto intorno.

Non esiste un solo ettaro in Italia di natura “naturale”.

La sostenibilità è uno dei mantra dell’architettura del  nostro inizio millennio. Ma che significa, in pratica? “Chilometro zero”, “emissione zero” (spero non “tolleranza zero”!), e poi? Una visione dell’Italia del futuro che non comprenda che il tema vero dovrà essere la “cubatura zero” è una visione ancora legata al narcisismo puerile dell’idea di moderno. Sappiamo che la popolazione nazionale comunque crescerà, anche grazie alle forze nuove che vengono dalle epocali immigrazioni globali. Ma dobbiamo abbandonare il mito devastante, e in fondo piccolo borghese, della frontiera (mito importato, imposto, deleterio). La sfida autentica sarà costruire senza neppure rubare un solo metro quadrato di territorio agricolo, di costa, di argine, di declivio. La cubatura zero è un imperativo morale.

Oggi 100 metri quadrati al minuto di Pianura Padana vengono cementificati nel nome delle magnifiche sorti e progressive. E gli ettari di abusivismo edilizio spalmati per l’intero stivale neppure si contano. Tutto ciò non si può più sostenere, è un suicidio simbolico, artistico e materiale. La tela dell’opera d’arte globale che è l’Italia ha bisogno di ricuciture degli strappi, di attenzione, di cura. Ecco la sfida per la nuova generazione di architetti: censire, discernere, conservare. Ma anche approntare cancellature nel palinsesto, non avere paura a demolire e riprogettare intere parti del territorio, riedificare meglio e con maggiore consapevolezza le nostre città. Contraendo, piuttosto che invadendo, modificando abitudini di mobilità privata, ridisegnando gli spazi metropolitani, estendendo le superfici dedicate all’ambiente.

Il lavoro è enorme. Riqualificare le coste, dalla Liguria alla Calabria, demolendo chilometri di inutile edilizia di scarsa qualità, seconde, terze case sfitte e decrepite; ridefinire e consolidare gli argini e i letti dei nostri fiumi, riforestare i crinali contenendo i dissesti idrogeologici, liberare la Brianza dallo sprawl indifferenziato, bonificare la Terra di Lavoro dalle discariche abusive tossiche , etc. etc.

Gianni Biondillo implacabile (sì, è l’aggettivo giusto) su Nazione Indiana.

Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia

“Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia: scrivo per farvi sapere cosa sta succedendo a Istanbul da cinque giorni. Quattro giorni fa un gruppo di persone non appartenenti a nessuna specifica organizzazione o ideologia si sono ritrovate nel parco Gezi di Istanbul. Tra loro c’erano molti miei amici e miei studenti. Il loro obiettivo era semplice: evitare la demolizione del parco per la costruzione di un altro centro commerciale nel centro della città. Il taglio degli alberi sarebbe dovuto cominciare giovedì mattina. La gente è andata al parco con le coperte, i libri e i bambini. Hanno messo su delle tende e passato la notte sotto gli alberi. La mattina presto quando i bulldozer hanno iniziato a radere al suolo alberi secolari, la gente si e’ messa di mezzo per fermare l’operazione. Non hanno fatto altro che restare in piedi di fronte alle macchine.Nessun giornale né emittente televisivaera lì per raccontare la protesta. Un blackout informativo totale. Ma la polizia è attivata con i cannoni d’acqua e lo spray al peperoncino. Hanno spinto la folla fuori dal parco. Nel pomeriggio il numero di manifestanti si è moltiplicato. Così anche il numero di poliziotti, mentre il governo locale di Istanbul chiudeva tutte le vie d’accesso a piazza Taksim, dove si trova il parco Gezi. La metro è stata chiusa, i treni cancellati, le strade bloccate. Ma sempre più gente ha raggiunto a piedi il centro della città. Sono arrivati da tutta Istanbul. Sono giunti da diversi background, da diverse ideologie, da diverse religioni. Queste persone sono miei amici. Sono i miei studenti, i miei familiari. Non hanno “un’agenda nascosta”, come dice lo Stato. La loro agenda è là fuori, è chiara. L’intero Paese viene venduto alle corporazioni dal governo, per la costruzione di centri commerciali, condomini di lusso, autostrade, dighe e impianti nucleari. Si sono ritrovati per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere dignitosamente come cittadini di questo Paese.”

La lotta all’evasione. Per finta.

«La strategia» di lotta all’evasione «adottata dal legislatore nel corso della passata legislatura» è stata «caratterizzata da andamenti ondivaghi e contraddittori». La critica è contenuta nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, secondo cui «il contrasto all’evasione continua a essere un elemento centrale e imprescindibile nell’azione di risanamento della finanza pubblica, sia per i suoi effetti sull’entità delle entrate sia per la redistribuzione del prelievo fiscale». 

Il nuovo redditometro non sarà decisivo nel contrasto all’evasione fiscale. Il giudizio è contenuto nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, secondo cui «il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato rispetto alle limitate potenzialità dello strumento e alla presumibile efficacia dello stesso che continuerà, inevitabilmente, a costituire un criterio complementare per l’accertamento dell’Irpef». 

Il nuovo spesometro potrebbe aver favorito un aumento degli acquisti in nero. Il giudizio è contenuto nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti secondo cui la «rilevazione sistematica delle operazioni verso i consumatori finali di importo pari o superiore a 3.600 euro» potrebbe aver «indotto effetti negativi sui consumi o, peggio», potrebbe aver «incrementato la propensione a effettuare acquisti di beni e servizi »in nero«.

Toh, guarda. La politica che intanto si interroga sul semipresidenzialismo.

Lo Stato della follia (e degli OPG)

In Italia esistono 6 Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari), comunemente chiamati manicomi criminali. All’interno sono rinchiuse circa 1500 persone. Il documentario “Lo Stato della follia” di Francesco Cordio mostra questi luoghi, la condizione passata e presente dei sei ospedali. Nasce dai sopralluoghi negli Opg realizzati dal regista per conto della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale. La commissione ha fatto luce sullo stato di abbandono, degrado e non cura degli internati. Il Parlamento ha approvato una legge che stabilisce la chiusura degli Opg: ne era prevista l’applicazione entro il 2013, ma la chiusura è stata prorogata al 2014. Il film sarà proiettato a Roma il 7 giugno 2013 alle ore 22.30 presso il Cinema Aquila. (via)

Un impegno che ci sta molto a cuore da tempo.

Mario Mantovani è rosso

Il vicepresidente di Regione Lombardia Mario Mantovani (PDL, classe “diligente” dei berluscones) giudica da par suo il funerale di Franca Rame. Ora, Mantovani che parla di Franca Rame ci sta come la Minetti che tiene un corso di castità ma la cosa che colpisce di più è la sua affermazione: «Quell’immagine, quei fazzoletti rossi e quei comizi non corrispondono alla volontà popolare espressa dai lombardi pochi mesi fa, ecco».

Mantovani (ma molti altri di centrodestra e controsinistra) non hanno capito che la sensibilità di una storia e di una vita non è cosa da catalogare dentro le anguste stanze mentali dei piccoli pregiudizi di qualche polituncolo borghese e soprattutto non ha capito che la vita (e la “resistenza”) di Franca Rame contro tanti petulanti e inutili piccoli Mantovani è il lascito di una speranza per una classe dirigente con un’ecologia etica da quella che ci ritroviamo ora.

Quei fazzoletti rossi per Franca (caro Mantovani e cari berluscones) sono il simbolo di una comunità di ideali che per voi sarebbe inimmaginabile senza bonifici bancari.

Dipendenti

Ma un Paese in cui un gioielliere dichiara di guadagnare meno di un operaio o comunque in cui qualsiasi lavoratore autonomo guadagna meno dei suoi dipendenti, dico, in un Paese così, che intanto si affanna a parlare di lavoro (nella migliore delle ipotesi) o a chiedere alla politica di affrontare seriamente il tema del lavoro, ecco, dico, in un Paese così dove l’evasione viene vissuta come un peccato veniale quasi ostentato, in un Paese cos,ì quando verrà il momento di parlare dell’etica fiscale? Dello spessore morale dei suoi contribuenti?

Dio è femmina e comunista

L’amore che ci state dando in questi giorni mi fa pensare che mia madre ha fatto qualcosa per gli altri. Delle sue lotte diceva: non posso fare altrimenti, non si può lasciare che si trattino così le persone. Mia madre ha amato immensamente, me, mio padre, le mie figlie, la mia nipotina. Quando qualcosa non funzionava, diceva: ricordati che Dio c’è, ed è comunista. Io dico che non solo è comunista, ma è anche femmina. Andate a casa da qui con un po’ di fiducia. Il mondo lo cambieremo“.

Jacopo Fo oggi, al funerale della madre Franca Rame.