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Giulio Cavalli

Gli spettacoli, appunto

giulioL’andare in scena per raccontare, scrivere per provare a trovare una liberazione che sia una costruzione. Gli spettacoli, appunto. Stiamo sistemando il sito e abbiamo pubblicato la pagina degli spettacoli che abbiamo in tasca portandoceli in giro in questo momento. Almeno per sapere di cosa stiamo parlando. Per iniziare. Ecco: una comunicazione di servizio. Tutto qui. La pagina è qui.

 

Il libro bianco per l’open data

Schermata 2013-03-26 alle 06.20.55L’Italia ha un grande bisogno di attivare fattori di crescita economica e sociale. La definizione di una solida e coraggiosa politica sulle informazioni del settore pubblico è forse, tra tutte, l’azione di governo in assoluto con il miglior rapporto costi-benefici, nonché quella che, tra tutte, dovrebbe registrare la più ampia convergenza tra tutte le parti sociali. Non di rado, attivisti open data e dipendenti pubblici volenterosi si offrono addirittura di iniziare progetti pilota su base volontaria: l’espressione di una volontà politica favorevole ai dati aperti è, spesso, tutto ciò che manca e l’investimento chiave da effettuare… per cui, non resta che provarci! Il processo di apertura dei dati è ancora all’inizio nel nostro paese. L’unica – provvisoria – conclusione è quella di citare Tim Berners-Lee, chiedendo “DATI – GREZZI – ORA!” e con licenze libere.

A proposito di open data (e del mio progetto di legge di cui scrivevo qui): Il Libro bianco per il riutilizzo dell’informazione del settore pubblico  redatto a cura di Federico Morando con il supporto di Raimondo Iemma e Claudio Artusio, al cui lavoro si aggiungono contributi puntuali di Mauro Alovisio, Eleonora Bassi, Juan Carlos De Martin, Alessandro Mantelero, Marco Ricolfi, Angelo Maria Rovati, Margherita Salvadori e Cristiana Sappa.

 

Ma senza di me.

Gamberale (1)La vita che faccio, non mi sembra la mia.
Anzi no: mi sembra la mia. Dio mio, certo che è la mia. Ma senza di me.
(Quattro etti d’amore, grazie di Chiara Gamberale, Mondadori, 2013)

Non voglio essere all’altezza delle cattiverie

Jolly_jokerEcco. Poi succede che si fa tardi e scrivo più per curarmi che per scrivere davvero. A quest’ora quando in fondo non ti legge più nessuno tranne i nottambuli per dolore o per adrenalina o gli avvocateschi leghisti di provincia che alimentano la vendetta per un briciolo di professionalità. In mezzo ci sono anche i benestanti che, bene stando, non hanno di meglio da fare che sognare e sperare in fondo al cuore che in fondo si parli di loro. Come i clan: ci sentiamo accusati tutti insieme così coltiviamo bile allo stesso ritmo e possiamo sentirci (per un secondo soltanto, eh) la stessa famiglia. Evviva, direbbero i russi, evviva che si va a fare la rivoluzione.

Non mi interessa essere frigido di privatezze e delle mie debolezze: non mi interessa stare a confessare di avere frequentato mediocricissimi squali che si sono illusi di essere in piedi gonfi di bile abbastanza per stare a galla. Non mi interessa nemmeno giustificarmi dei miei amori. Ne ho avuto in cambio dolore e pochi spicci per una pochezza che mi dicevano obbligatoria. Scrivo da liceale, dicevano quelli (che il liceo l’hanno fatto da privatisti per comprarsi la figurina dello “studente credibile” al mercato della borghesia). Non sono un santo, nemmeno un eroe, bevo troppo quando sforo dal recinto sopportabile del sentimento e rido in faccia a quei quattro stracci che avete scambiato per mantelli.

Non sono come mi aspettavate, certo. Mi aspettavate prima ancora che nascessi e mi avete disegnato come la vostra masturbazione affettiva si incorniciava in linea con il salotto, certo. La borghesia è un limite intellettuale e umano di chi crede che la bellezza sia vendibile al chilo piuttosto che una grana che richiede un palato dalla nascita: o ce l’hai o non ce l’hai. E se non ce l’hai rimani a contare gli spicci (in nero) che ti rimangono a fine giornata nascosti nela tappetino sotto la cassa per comprarti la prossima fetta di affetto degli amore affettati che ammaestri tutti intorno.

Ti rimangono quattro stracci e qualche spicciolo in moneta: è tutto il tuo tesoro. Poi puoi giocare a fare la vittima (costumata) dal parrucchiere o sulle bocche dell’aperitivo di provincia. Così ti senti bella, ti senti forte, sei meravigliosamente ferita. Te, e i tuoi fratelli. In fondo vi basta così.

Rimango qui. Rimango qui con le mie perle che ho cercato (anche da un posto così inimmaginabile e lontano) a studiare le tue forme algebriche per fare di questo articolo una prova che sfida l’etica e l’estetica di un testimone che arriva per un piacere di famiglia. Ti sei tradita e mi vuoi svendere un tradimento a caso.

Buona notte. Alla tua notte che dura da anni.

(studio per lo spettacolo “La verità, vi prego, sull’amore”)

Lo chiamavano Marcello

Marcello_Dell_Utri_3Un consiglio a chi chiede perché sia poi impossibile un “governo di responsabilità” con il PDL: leggete gli atti del processo Dell’Utri condannato oggi:

“Marcello Dell’Utri, permettendo a Cosa nostra di ‘agganciare’ Silvio Berlusconi, ha permesso alla mafia di rafforzarsi economicamente, di ampliare i suoi interessi, il suo raggio d’azione, di tentare di condizionare scelte politiche governative in relazione al successivo ruolo politico assunto da Berlusconi”, ha detto Patronaggio nel corso della replica. “Questa condotta – ha ribadito – è stata perpetrata dall’imputato coscientemente, conoscendo e condividendo il metodo mafiosodell’organizzazione, perseguendo il fine personale del rafforzamento della sua posizione all’interno delle varie aziende e iniziative di Silvio Berlusconi”.

E ancora: “Occorre richiamare, proprio per la complessità di lettura dei rapporti tra Cosa nostra e Silvio Berlusconi. Come emerge dalle concordi dichiarazioni dei collaboratori di giustizia sentiti, l’imputato “mediò la rinnovata richiesta estorsiva di Salvatore Riina, che facendo pressioni e violenze sull’imprenditore milanese, intendeva ‘agganciare’ l’allora presidente del Consiglio Bettino Craxi“. 

Secondo l’accusa, Dell’Utri per 30 anni avrebbe avuto rapporti con Cosa nostra. In particolare avrebbe fatto un ‘patto’ per la protezione dell’ex premier Silvio Berlusconi. La sua lunga vicenda giudiziaria è iniziata quasi vent’anni fa, nel 1994 con la sua iscrizione nel registro degli indagati. Il 26 novembre del 1996 l’udienza preliminare, quando il gup ha rinviato a giudizio il politico. Il 5 novembre 1997 ha avuto inizio il processo di primo grado, presieduto da Leonardo Guarnotta, che si è concluso a fine 2004 con la condanna di Dell’Utri a 9 anni di carcere. Nel 2006 si è aperto il processo d’appello terminato nel 2010 con una nuova sentenza di condanna, questa volta a 7 anni di carcere.

Dell’Utri, secondo i giudici d’appello, è colpevole ma solo per le condotte antecedenti al 1992, anno a partire dal quale non risulterebbero più provati, per la corte, i suoi rapporti con la mafia. La sentenza della Cassazione, invece, arrivata il 9 marzo del 2012, ha in parte ribaltato il verdetto. I giudici annullano la sentenza con rinvio. Perchè sono ritenute provate le sue collusioni con Cosa nostra al 1977. Confermata, invece, l’assoluzione per le accuse successive al 1992 per le quali la sentenza è definitiva. Il18 luglio del 2012 ha avuto inizio il nuovo processo d’appello. E alla fine della requisitoria il pg Patronaggio ha chiesto la conferma della condanna a 7 anni del primo processo d’appello. Oggi la Camera di consiglio e la sentenza. 

La subpolitica

Pieter_Bruegel_d._Ä._010Più che di antipolitica, ci troviamo spesso di fronte a forme nuove di pratica politica in un contesto di democrazia mutato, proprio perché non più mediato dai partiti. Smetterei di usare il termine in modo spregiativo, perché rischiamo di non capire nulla rispetto ai processi in atto. Subpolitica è invece un concetto introdotto da Ulrich Beck, non per sminuire il valore di quest’altra politica, ma per sottolinearne il carattere basilare. [..]

Diciamocelo sinceramente, se vogliamo andare al di là degli aspetti della cronaca e della statistica, dobbiamo ammettere che la crisi dei partiti si inserisce in una più generale crisi dell’Occidente, che è poi crisi del nostro stile di vita. Crisi epocale che attraversa tutti i livelli, arrivando persino a lambire persino la Chiesa. Una crisi che – mi e vi chiedo – non ha forse a che fare con questo cedimento strutturale dei meccanismi di produzione di senso condiviso? Si sono inceppati i meccanismi di produzione di un noi,  nel passaggio dalla solitudine di un “io” a alla condivisione di un “noi”. Un’apocalisse del senso che rende vuoti tutti i troni, da quelli secolari fino a quelli spirituali. I luoghi si sono dissolti nei flussi. È un horror vacui, quello che ci coglie. Proprio perché si avverte che la rottura di questi meccanismi di produzione di un senso condiviso ricade in termini di una conflittualità molecolare. Non ci sono più conflitti che organizzano il campo, ma una diffusa competitività aggressiva che rende inoperanti tutti i meccanismi di decisione collettiva e ha colpito, in particolare, i partiti. Ma non solo i partiti. Non è diverso per i sindacati, non è diverso per le imprese e non è diverso per la Chiesa. 

(Marco Revelli, Democrazia senza partiti, Communitas, 24/03/13).

 

Reddito minimo; per chiarire

Che cos’è il reddito minimo garantito da istituire per dare un sostegno ai più poveri? E in che cosa si differenzia dal reddito di cittadinanza proposto dal M5s? Il primo è finanziariamente sostenibile, il secondo no.

Per chiarirsi le idee conviene investire qualche minuto su questo dossier preparato da lavoce.info.

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Perché ci farebbe meglio un po’ a tutti, avere un po’ più di eroi imperfetti

fotoCosì come sono riporto gli “appunti” sulla serata in Bocconi scritti da Angelo Giulio Iemmolo (che ringrazio):

Perché ci farebbe meglio un po’ a tutti, avere un po’ più di eroi imperfetti.

20 Marzo 2013. Anime Salve SpA ci fa incontrare Giulio Cavalli.
Di solito dopo questi incontri scrivo su facebook una-due frasi che mi hanno colpito.
Cavalli è stato così bravo che uno status non bastava, serviva un riassunto.
Senza niente di mio, solo qualche intermezzo giusto per far scorrere e comprendere, si spera, il senso della lettura.


Lei sceglie di parlare di mafia e per farlo usa la satira, perché?
Nasco teatralmente come “arlecchino”, con la consapevolezza che i giullari sono i veri intellettuali sopravvissuti al corso dei secoli della storia.
Il giullare faceva teatro nel modo più bello, più carnale: faceva teatro per emergenza.
Fare teatro per sfamarsi ha una carnalità che oggi non riusciamo più ad ottenere.

Poi però diventa un eroe, arrivano le minacce e la scorta.
Io sono una persona normale, ma sentivano il bisogno di farmi diventare un eroe. Perché più è Cavalli che è un eroe più possono dire “noi non avremmo potuto fare niente contro la Mafia”.

Ma non ha paura delle minacce?
Ancora oggi più dei mafiosi mi fanno paura certi rappresentanti delle istituzioni che ho conosciuto. E poi…
La minaccia serve per “mascariare”, come si dice in Sicilia. Quella che Roberto (Saviano) definisce la “macchina del fango”. Ma non serve tanto a minare la credibilità, in realtà serve a favorire lo sgretolamento della mia immagine “normale”, a rendere tutto iperbolico.

C’è Lei, ci sono quelli che lei cita Saviano, Pino Maniaci, i ragazzi di Libera. Stiamo rispondendo bene alla Mafia?
No, non stiamo rispondendo in coro. Perché commemoriamo Falcone, Borsellino, Impastato ma non portiamo avanti le loro idee?
Se commemoro qualcuno, faccio in modo che la sua battaglia diventi la mia.
Lo striscione “le vostre idee camminano sulle nostre gambe ” è stato tradito.

Quindi, cosa possiamo fare? Che prospettive dobbiamo porci?
Dobbiamo aprire un canale di anti-racket culturale, noi che non abbiamo una attività commerciale paghiamo un pizzo in bellezza. Questa non è una novità, lo diceva Peppino Impastato (http://www.youtube.com/watch?v=ScJqaZLLlFg).
Non si è fatto niente.
Mi auguro che il Parlamento possa scrivere una legge sul favoreggiamento culturale alla Mafia.
E “Il capo dei capi” sarebbe oggetto di questa legge.

Perché, che aspetto di quel racconto non condivide?
Perché se Totò Riina è un genio del male, quella generazione è de-responsabilizzata. I nostri padri sono discolpati dall’avergli lasciato in mano pezzi di paese, dell’economia e dell’amministrazione.
Io l’ho conosciuto Totò Riina, in carcere. E’ un vecchietto senza alcuno spessore umano, è un idiota.

Ma non c’è stato solo Riina.
Quando hanno arrestato Provenzano ho avuto un’erezione drammaturgica. Perché ci hanno raccontato che la Sicilia l’hanno conquistata Riina e Provenzano: se Riina è un idiota – pensavo – Riina sarà stato il braccio e Provenzano la mente. Ero curioso.
Quando lo presero, Provenzano aveva la suoneria del padrino e quella dei Puffi.
E’ un imbecille, Provenzano, ascoltava i Puffi.

Con la legislazione però si è fatto tanto; cos’altro si può fare?
C’è analfabetismo in questo paese sugli sviluppi sociali.
I veri eroi sono i testimoni di giustizia, su questo ha ragione Robero, loro sono vittime, o parenti, che hanno subito direttamente ciò di cui hanno il coraggio di parlare.
Invece siamo un paese dove pentiti, scrittori minacciati e testimoni di giustizia sono trattati tutti allo stesso modo.

Ma è un problema solo della politica o anche dell’antimafia?
Anche noi dell’anti-mafia dovremmo essere meno snob, meno ricercati.
Loro riescono ad essere “pop”. Quello mafioso è un messaggio – un concetto – che arriva, che prende. Allora proviamo anche noi a diventare più umili, più chiari, più pop.

Per esempio?
Diciamolo semplicemente: il reato di associazione mafiosa è un fenomeno dove 3 persone di mettono d’accordo per fregare gli altri. E’ un fenomeno di egoismo.

In Sicilia quell’egoismo era dovuto alla mancanza di alternative, poi è arrivato lo stato e l’associazionismo, come Libera e Addiopizzo. Lo diceva Pino Maniaci l’hanno scorso in Cattolica qui a Milano: dovete stare attenti, perché in Sicilia abbiamo il virus ma anche gli anticorpi, qui il virus è arrivato, ma non avete ancora gli anticorpi.
Per questo in Lombardia prende la Mafia, perché siamo cresciuti in una società dove ci hanno insegnato che la solidarietà è un vezzo democratico che non possiamo permetterci senza che ne paghino il costo i nostri figli, invece questo ci ha reso divisi e deboli.
Per questo qui i mafiosi si possono permettere di fare i boss, di atteggiarsi.
Quello che in Sicilia non possono fare più.

 

Aldo Morto 54 parla

aldo-morto-di-daniele-timpanoDaniele Timpano (ne scrivevo qualche giorno fa qui) ci scrive dalla sua prigionia-spettacolo sullo stato dell’arte e di salute del teatro italiano, a Rima, di narrazione soprattutto:

DANIELE TIMPANO / ALDO MORTO 54 PARLA
24 marzo 2013 – SECONDA LETTERA dal carcere (a integrazione di quella mandata ieri al Taburo di Kattrin)

Ciao a tutti, sono il protagonista e la vittima sacrificale di questa avventura irragionevole: 54 giorni di auto-reclusione al Teatro dell’orologio più 54 giorni di repliche del mio spettacolo “Aldo morto / tragedia” su Moro, anni ’70, lotta armata e ciò che resta e la palude in cui mi e ci sento, nel trentacinquennale del Sequestro Moro, nei giorni esatti del sequestro. Beh, il progetto ha raccolto e raccoglie entusiasmi come anche perplessità. Ad una settimana dall’interramento (il teatro dell’orologio è sottoterra) tento di abbozzare una veloce riflessione, a mo’ di primo bilancio, sul senso dell’operazione, senso che in parte è a monte, progettuale, in parte ancora in corso d’opera e suscettibile di sviluppi e contributi.
Dunque. La sostanza di Aldo morto 54 l’ho spiegata più volte in questi giorni in streaming e in interviste (Ansa, Rai News), spero ci sia un video da recuperare e postare prima o poi. Cos’è Aldo morto 54, questo progetto che a molti pare ambiguo, costruito intorno a un mio spettacolo? Che roba è? Il teatro che diventa reality? È un gesto estetico? Narcisistico? Politico? È squallido marketing? Non lo so. Parliamone. E partiamo dal teatro. Il teatro è il mio mestiere, la mia vita, il mio tempo, il mio amore, il mio respiro; ma il teatro non è niente ed Il teatro non può diventare niente, purtroppo perché il teatro è morto, è un cadavere incredibilmente abitato da gente vivissima ma è morto e noi vermi che ci viviamo dentro non riusciamo a farlo muovere…
Certo che nel progetto c’è l’elemento maketing, anche se mi pare esagerato definirlo tale; direi piuttosto che c’è l’idea 1) di strumentalizzare un poco la mentalità di stampa e tv, che infatti sono molto curiosi di questa cosa che a lor pare un evento (mentre dello spettacolo non glie ne importa palesemente molto, come sempre, né molto probabilmente ne capiscono) ed in quanto evento infatti un certo interesse per il progetto lo stanno dimostrando (i sopracitati Rai News e Ansa che mai si sono interessati a me in precedenza); direi poi 2) che c’è l’idea di stimolare la curiosità della gente normale non teatrante diversamente alienata (rispetto all’alienazione di chi fa questo mestiere ma pur sempre alienata come tutti); sì, proprio così, la gente c.d. “normale”, ve la ricordate? Sì, proprio loro perché – prima di tutto – l’intero progetto (non solo la prigionia in streaming ma anche gli approfondimenti di senso come gli incontri con Miguel Gotor, Lorenzo Pavolini, Francesco Biscione, Christian Raimo, quello su Baliani, il concerto di Pino Masi, le presentazioni di libri, o i seminari sul cinema di Flavio de Bernardinis o le interviste in cella o gli incontri con gli studenti) è un progetto che nasce prima di tutto – ma prima di tutto, ma prima di tutto, ma prima di tutto – intorno ad un progetto semplice ma ambiziosissimo: realizzare a Roma – finalmente! – la lunga tenitura in scena di uno spettacolo di drammaturgia contemporanea (italiana) tentando in tutti i modi di creare un pubblico diverso dai quattro gatti colleghi-operatori-parenti-elite intellighenti da salottino radical chic cui par condannato il nostro segmento di teatro, specie in questa orrenda capitale cadaverica, questo demimonde di artisti cui appartengo, non benedetto da luci televisive o altro eppure così pieno di senso, vita, fatica, amore, sforzi, tensione anche politica, di certo intellettuale.
Tutto il progetto tenta in ogni modo, cercando di creare senso e mantenerne in corso d’opera, di rendere possibile una cosa del genere. Non è poco. Ne ho bisogno io. Ne ha bisogno la città. Ne ha bisogno il teatro forse in generale ma senz’altro il segmento di teatro cui appartengo. Di questo sono convinto. Sto puntando molto su questo progetto e sul suo senso.
Se no, Daniele Timpano lo spettacolo “Aldo morto / tragedia” se l’era già fatto l’anno scorso a Roma in 3 repliche trionfali nella cornice c.d. “prestigiosa” del Palladium, pagato bene e pieno di tutto quel pubblico là, di cui sopra, tutto là riunitosi per l’eventino speciale di Timpano con ‘sto spettacolino di cui si parlava tanto bene ospitato chissà perché nella stagione della Fondazione Romaeuropa.
Se no, si accontentava di fare le sue solite repliche in giro per l’Italia, si accontentava di aver vinto il Premio Rete Critica 2012, della segnalazione “alla carriera” al Premio IN-BOX 2012, di essere arrivato per la prima volta in finale ai PREMI UBU 2012 come “migliore novità italiana (o ricerca drammaturgica)”, pazientemente proseguendo la faticata ascesa verticistica del teatrello in estinzione italiano.
Insomma, chi me lo faceva fare di chiudermi sotterra, in una tomba anticipata in cui comunque già ero, come tutto il teatro, come tutta la cultura, come tutto il paese depressivo in cui viviamo (per questo peraltro, sin troppo didascalicamente per i miei gusti, la mia tutina è verde, il pavimento rosso e le pareti della cella bianco sporco-grigette: la mia cella 3 x 1 non solo cita Moro ma è un tricolore depressivo che mi soffoca).
Concludendo, secondo me, ed anche a prescinder da me, vi dico – e faccio questa affermazione in assoluta buona fede e assoluta convinzione -, vi dico questo: c’è poco da essere perplessi e da storcere la bocca. Il progetto, per criticabile e fallibile che sia, ha un suo senso “storico”.
Se al mio posto ci fosse un Andrea Cosentino, un Fabrizio Arcuri, o Gaetano Ventriglia e Silvia Garbuggino, o Massimiliano Civicaa, o i Tony Clifton Circus, Dario Aggioli, Elvira Frosini, Fabio Massimo Franceschelli, Alessandra Sini, i Maniaci D’amore (Luciana Maniaci e Francesco d’Amore, Roberto Latini, Teatro Magro, Stefano Cenci, Riccardo Goretti o Biancofango Compagnia, Gianfranco Berardi e altre compagnie e artisti che stimo (ma forse anche se al mio posto ci fosse qualcuno che non stimo come xxxxx), questo sarebbe un progetto che comunque sosterrei. Anche se non portasse benefici a me direttamente (se pur me ne sta portando, cosa che è ancora tutta da vedere: per ora è ancora una lotta contro i mulini a vento).
Il Teatro dell’Orologio – nella sua nuova gestione – è stato coraggioso ed incosciente a investire con me in questo progetto soldi (che non ci sono), energie, tempo, idee, contatti ed io spero tanto che questo irragionevolissimo e ambizioso “Aldo morto 54” aiuti anche loro a sfuggire al destino disdicevole di “Affittacamere” (a Roma il 90% dei teatri non fa una programmazione ma affitta la sala a caro prezzo alle compagnie che glie la chiedono) da cui provengono e a cui speriamo non siano costretti – come quasi tutta la città teatrale orrenda in cui viviamo noi romani che è losca, spregevole, disordinata, cialtrona e fuorilegge – a tornare…
Anche i nostri buoni e generosi Media Partner condividono con noi queste non piccole speranze. Il Tamburo Di Kattrin e Fattiditeatro, Andrea Giansanti (cui va il mio ringraziamento speciale per aver reso possibile tutta la faccenda dello streaming!), ma anche Grapevine studio, anche Kataklisma, anche – in sostanza – la Fondazione Romaeuropa.
Ecco qui. Ho finito. Solo un piccolo tentativo di lucidità. Mi rendo conto della delicatezza di tutto questo. Ed ho parlato solo delle questioni di “politica teatrale”. Figuriamoci se affrontavo il problema della delicatezza dei temi che affronta lo spettacolo!
Un bacio, comunque.
Un bacio a tutti dal mio lettuccio sottoterra.
Cordiali saluti e baci appassionati,
Daniele Timpano
www.aldomorto54.it

L’Antologia della Memoria (Fuorilegge)

Schermata 2013-03-24 alle 08.16.42FuoriLegge è un sito che promuove la lettura per accompagnare adolescenti ed educatori nel percorso di avvicinamento ai libri. Mi fa bene in mezzo a questo caos (poco creativo e speriamo almeno produttivo) là fuori scoprire siti così. Mi riconciliano con la vita.

La loro Antologia della Memoria, scritta da partigiani della parola, è il diario di un Italia ama fare il proprio lavoro terribilmente sul serio. Qui c’è la pagina che Angela Vitti ha scritto dopo un nostro incontro.

Questa domenica la inizio così: ringraziando i bibliotecari che resistono nonostante tutto. E ci fanno mangiare.

“Ci invita ad allenare quello che chiama il “muscolo” della curiosità. Questo significa guardarsi intorno, fare domande a genitori e insegnanti, leggere per informarsi, capire e poi fare delle scelte consapevoli di comportamento e di vita.”