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Carnaio

« A l’autre bout de la mer », ou l’invasion de cadavres !

Titre : A l’autre bout de la mer
Auteur : Giulio Cavalli
Editions : 10/18
Date de parution : 6 janvier 2022
Genre : Roman

Nous sommes ravis de pouvoir vous conseiller ce livre tellement étonnant ! A l’autre bout de la mer est un véritable ovni littéraire, tant pour la forme que pour le sujet.

Commençons par ce dernier : l’histoire se passe dans la petite ville côtière de DF. De bon matin, un pêcheur retrouve le cadavre d’un homme jeune à la peau sombre flottant dans l’eau. Avant que l’on ait pu l’identifier ou commencer une enquête, un second corps est découvert. Et tout à coup, dans ce village paisible, les choses dégénèrent : un amas d’une centaine de morts arrive de la mer. Fait étonnant, ce ne sont que des hommes du même âge, de la même carnation et du même gabarit. Les spéculations vont bon train : résidus d’expériences génétiques ratées, esclaves ou encore aliens !

Tandis que les autorités de la ville s’interrogent pour trouver le fin mot de l’histoire afin d’apaiser tant les anxieux que les hystériques, la première vague s’abat sur DF. On ne parle pas de covid ici mais bien de 25 000 corps qui sont à dénombrer dans ce reflux maritime. Un tsunami de cadavres qui encombrent les jardins, de poids morts qui défoncent tout ce qui se trouve sur leur chemin et de globes oculaires qui s’agglutinent de façon écœurante contre les baies vitrées. Bref, les dégâts en tous genres sont gigantesques. Face à ce phénomène aussi incroyable que répétitif, les autorités de DF sont contraintes de trouver une solution des plus étranges…

On ne vous en dira pas plus, ce serait déflorer l’idée géniale de l’auteur. Imaginez un peu une vague de cadavres déferlant sur les plages du Zoute à l’heure du Gin-to. Que ferait le gouvernement ? A l’autre bout de la mer est le premier roman de Giulio Cavalli traduit en français, espérons qu’il y en ait d’autres ! Des sujets originaux qui dépotent et qui portent à la réflexion sont devenus trop rares.

Quant à la forme stupéfiante susmentionnée, l’écriture correspond au phénomène : de grandes vagues ininterrompues de phrases. Si cela semble rebutant en début de lecture, on est rapidement happé par le récit brut et non édulcoré qui nous emporte dans son tourbillon infernal de mots sillonnant à travers les macchabées et l’eau salée. L’auteur a choisi de décrire l’histoire vue par différents personnages, allant notamment des simples citoyens en passant par le maire ou encore le médecin. Interpellant de voir jusqu’où les Hommes peuvent raisonner avant de mettre leurs limites…

Cette fable cynique d’un peu plus de 200 pages est assurément à mettre en toutes les mains !

(fonte)

Lo Storiofago su Carnaio e Nuovissimo testamento

(fonte)

Giulio Cavalli è una figura poliedrica e originale nel panorama artistico e letterario italiano: autore, regista e attore teatrale, giornalista e scrittore. Nei suoi lavori a teatro ha sempre toccato temi molto delicati e scomodi, dal turismo sessuale minorile fino ai “riti e conviti” mafiosi (ne sono seguite minacce mafiose di morte e una vita sotto scorta). Come giornalista collabora con Fanpage.it, con il giornale online TPI e Left, per cui cura la rubrica “Il Buongiorno di Giulio Cavalli” visibile ogni giorno anche su Facebook in forma audio, video e scritta. 

Negli ultimi suoi due romanzi, “Carnaio” (2018) e “Nuovissimo testamento” (2021), difficilmente classificabili in un genere letterario, (si possono definire distopici, iperbolici o altamente metaforici), ha tratteggiato un affresco spietato della nostra società al limite del fiabesco, due fiabe irrimediabilmente oscure, ma quanto mai realistiche. In mezzo c’è stata “Disperanza” (2020), una raccolta di fragilità, messaggi ricevuti dall’autore che costituiscono una riflessione sulla nostra società, che mira a riscoprire ottimismo e positività, come una vera e propria cassetta degli attrezzi per continuare a sperare.

Finalista al Premio Campiello 2019, Carnaio è un romanzo che per certi versi ricorda il Saramago di Cecità, non solo per l’evento insolito che irrompe nella realtà, ma anche per lo stile narrativo magmatico di mescolanza tra prosa e dialoghi tipico dello scrittore portoghese. Una metafora che diventa iperbole, grottesco, assurdo, ma allo stesso tempo resta strettamente legata alla realtà contingente. La trama, in breve. DF, una cittadina italiana su una costa non ben definita, viene inondata di cadaveri che arrivano non si sa da dove, forse da un Paese dall’altra parte del mare. All’inizio i ritrovamenti sono singoli, poi man mano le maree di morti che si riversano sul paesello diventano sempre più grandi. La comunità applicherà soluzioni incredibili, orribili ed estreme non solo per sopravvivere, ma per usare questa “calamità” a proprio vantaggio. Un libro importante, da leggere per cercare di leggere l’oggi.

Anche nel successivo Nuovissimo Testamento Cavalli indaga la società odierna, con i suoi vizi, la sua apatia, le sue battaglie perse, attraverso una serie di metafore che colgono nel segno. In uno Stato dove la vita di ogni cittadino è quasi del tutto regolamentata da ordinamenti implacabili (ad esempio la vita di coppia deve seguire dei protocolli ben precisi) e dove i sentimenti sono in qualche modo, non rivelo come, tenuti a bada, un manipolo di rivoluzionari male in arnese lotta per la liberazione delle coscienze. Ma c’è un risvolto imprevisto, che accenno soltanto, senza fare spoiler sulla trama: se tutti si è assuefatti a un regime o a una dittatura morbida le scelte sono comuni, praticamente eterodirette, ma se si lascia a ognuno la libertà di azione e di auto determinazione, si deve anche accettare l’ipotesi che la maggioranza non la pensi come noi. La libertà comporta la diversità di opinioni e di vedute. Un romanzo che non può lasciare indifferenti, anche perché, se alziamo un po’ le antenne…ci siamo dentro ogni giorno.

The Book Advisor recensisce Carnaio

Tempo fa, durante la preparazione di un progetto accademico, mi sono dedicato ad approfondire il tema della migrazione, e una delle analisi che mi è rimasta più impressa è stata quella del Prof Bañon Hernández, che si è occupato dello studio della terminologia utilizzata per raccontare il fenomeno migratorio. L’associazione ricorrente è quella che riporta a eventi climatici di grande impatto (flusso, ondata, etc) che creano un effetto di preoccupazione e di allarme nell’opinione pubblica connotando negativamente l’immigrazione, identificata di conseguenza come un pericolo.

Inizio da questo concetto per raccontarvi Carnaio di Giulio Cavalli, un libro il cui titolo risulta già piuttosto eloquente, perché in maniera cruda ci mette davanti a una storia di orrore e cinismo nella quale si ritrovano tanti, forse anche troppi, punti di contatto con la realtà attuale. Siamo a DF, una città costiera situata in un posto non specificato dell’Italia, luogo senza arte né parte in cui i cittadini conducono una vita mediocre. Un giorno, però, la città viene travolta da un’ondata di centinaia di migliaia di cadaveri di stranieri, che piombano sulle spiagge e sulle strade riversati direttamente dal mare. È una vera e propria catastrofe, perché nessuno riesce a capire da dove provengano questi morti, che sembrano sputato violentemente dal mare. Ed è così che, chiamata a reagire, la comunità cerca un sistema per affrontare l’emergenza, trovando una soluzione decisamente sorprendente.

“Eppure i morti quando non c’è occasione di salvarli e quando, come nel nostro caso qui a DF, non c’è stato nemmeno il tempo di vederli vivi, oserei dire nemmeno di immaginarli vivi poiché questi morti sono inumani come un esercito di soldatini di plastica, gemelli in pose che non ci crederebbe nessuno, cadaveri che se fossero vivi morirebbero di crampi dopo un quarto d’ora per la tensione di mirare il niente, quando i morti sono così non sono morti: sono materia che occupa spazio e richiede cure come un vaso di gerani mollato in mezzo al salotto”.

Carnaio di Giulio Cavalli è un libro durissimo, costruito su un climax di cattiveria e di violenza, che racconta come il cinismo sia in grado di disumanizzare un’intera comunità, che si sgretola lentamente e si dibatte tra buonisti e lungimiranti, tra egoisti e pluralisti, tra razzisti cattivi e razzisti buoni, facendo emergere quanto piccolo può essere l’animo dell’uomo e la fine a cui questa pochezza può portare. Un romanzo che affronta una tematica delicata e lo fa senza retorica, ma neanche strizzando l’occhio al lettore, che invece viene colpito, masticato e risputato da una centrifuga di parole in cui emerge tutta l’ignoranza che può essere contenuta all’interno di un solo esemplare di essere umano.

Fonte:

Distopia e populismo: un’analisi di «Carnaio» di Gerardo Iandoli, Dottorando e Lettore d’italiano presso l’Università di Aix-Marseille.

Abstract

L’articolo analizza il romanzo Carnaio (2018) di Giulio Cavalli. Il testo rielabora la realtà che emerge dal discorso populista e razzista contemporaneo, al fine di immaginare un suo possibile sviluppo di tipo distopico. La società che ne deriva è governata da ciò che qui si definisce come zombiepolitica. Si tratta di una metafora per indicare un dispositivo di governo ideato per gestire tutte quelle categorie umane considerate dalla comunità come un eccesso, un altro da espellere al fine di preservare la quiete. L’obiettivo è quello di mostrare come il genere distopico sia utile per riflettere sui discorsi ideologici, attraverso la costruzione di mondi possibili che visualizzano quanto espresso dalla percezione del reale dell’ideologia stessa.

Riferimenti bibliografici

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Mario Savina recensisce Carnaio

Il libro (edito da Fandango, 2018) di Giulio Cavalli non può lasciarci indifferenti. Sfacciato e preoccupante. La vicenda è quella di DF, luogo che sembra ricordare in maniera piuttosto drammatica la Lampedusa dei giorni nostri, e dei suoi abitanti che verranno svegliati da eventi sconvolgenti.

Prima un cadavere ritrovato da un pescatore, poi altri e altri ancora, fino a raggiungere numeri impensabili: tutti hanno più o meno la stessa età, la stessa provenienza, lo stesso colore della pelle e la stessa corporatura. Le autorità locali chiedono aiuto alla politica nazionale, che li ignora, tanto che, dopo una serie di onde anomale che hanno portato migliaia di cadaveri, i cittadini troveranno una soluzione per mettere a profitto la situazione. I morti diventano oggetti di scambio e fonte di guadagno: a qualcuno potrà ricordare dei temi attualissimi come le stragi in mare, il razzismo verso gli “altri” e l’egoismo dei Paesi occidentali preoccupati solo della propria sicurezza interna.

L’autore richiede ai lettori un grande sforzo per riuscire ad immaginare una situazione in cui ogni singolo posto di DF sia ricoperto da cadaveri, ma allo stesso tempo rende loro la vita abbastanza facile chiedendo di immaginare la ferocia con cui gli abitanti cercano di differenziarsi dagli “altri”. DF non ha più contatti con l’esterno, costretto a risolvere una situazione difficile e complicata.

Copertina del libro Carnaio

Disumano ma molto reale ed attuale. Le vicissitudini di questo romanzo ci rimandano ai centri di accoglienza, a quelle situazione che hanno raggiunto un punto di esplosione e hanno oltrepassato quel limite in cui le domande da porsi sono tante.

Ma la cosa che più stupisce è la violenza degli abitanti e la loro reazione, inizialmente terrorizzati e poi cinicamente disposti a trasformare il tutto in una fonte di profitto. Carnaio sembra voler raccontare quell’uomo che si abitua a tutto, che rinuncia a lottare contro ciò che è ingiusto, che vive e sopravvive per inerzia, per “tirare a campare”. Ma racconta anche ciò che più fa paura a “noi”, quell’onda nera, che improvvisamente e ormai da fin troppo tempo, sommerge tutto quello che incontra sulla propria strada, e ci lascia soli a decidere e lottare con i propri demoni: migliaia di cadaveri nelle coscienze di chi dall’altra parte gira lo sguardo e si lascia il mare alle spalle. “Quando se ne va l’umanità, anche il vero diventa lusso: non è per ignoranza, come potrebbe sembrare, ma per rimescolamento avvelenato delle priorità”.

Mario Savina, analista geopolitico, si occupa di Mediterraneo e Medio Oriente. Ha conseguito la laurea in Lingue e letterature straniere all’Università di Bologna, la laurea magistrale in Sviluppo e Cooperazione internazionale a La Sapienza, dove ha ottenuto anche un Master II in Geopolitica e Sicurezza globale. Attualmente, oltre ad essere redattore del periodico Italiani di Libia, collabora con Geopolitica.info, Amistades, European Affairs e OSMED-Osservatorio sul Mediterraneo.

Il Passaparola dei Libri recensisce Carnaio

Carnaio è un libro crudo e disturbante, talmente assurdo e disumano da rivelarsi realistico e profetico. DF è una piccola città di mare come tante, tanto comune da non meritarsi nemmeno un nome proprio, esteso, riconoscibile. Potrebbe essere un piccolo borgo qualsiasi del Sud Italia o del Sud del mondo: il mare, la pesca, la vita che scorre tranquilla fra tresche più o meno lecite, commissari annoiati perché non succede nulla, politici sempre pronti a catturare l’attenzione… anche se solo a partire dal lunedì mattina.

Eppure tutto questo, dato da sempre per scontato, rapidamente cambia e il mare da amico fidato diventa presto un nemico, nemico della quiete, della bellezza, della vita che scorre tranquilla seppure coi suoi inevitabili dolori. Prima un corpo, poi quattro, poi ottanta, poi migliaia… un continuo miasma di carne umana che viene dal mare trascina in breve la piccola cittadina nell’orrore, nella paura, nella disperazione. I cadaveri che il mare di DF restituisce sono tutti pressoché uguali, quasi costruiti in serie da un destino sciagurato e balordo.

Sono in altre parole carne e la carne si compra a chilo, è roba da macellai, la carne non è corpo né nome. Infatti, sin dall’inizio e per tutta la durata della narrazione, questi corpi sono “quelli”, un termine che segna una precisa e netta linea di demarcazione rispetto a “questi” che sono gli amici, i vicini, i parenti e quanti, in genere, condividono l’orizzonte di attesa e di esperienza degli abitanti di DF. E in questo banale pronome c’è tutta la violenza delle parole che creano grandi distanze, c’è il gusto per l’omologazione, per lo slogan facile e orecchiabile, per il bianco e nero che non sopportano il confronto, il dibattito, la tolleranza.Ci sono insomma sul piatto le responsabilità della politica, le tattiche facili del populismo, la semplificazione scorrevole dei social.

Emergono, solo a sprazzi, inattesi rigurgiti di moralità, quasi antichi echi di una umanità sepolta, ancestrale che però vengono prontamente messi a tacere ricorrendo al tema abbastanza abusato della sfortuna personale: chi non è stato mai apprezzato dal padre, chi non ha avuto in dono un figlio, chi ha subìto lo smacco di un’infanzia difficile. Insomma ognuno ha il suo facile alibi, ognuno ha il suo debito personale, il suo conto in sospeso con la felicità. Per questo Carnaio è anche il libro della solitudine: la solitudine di chi muore lontano trattato come ‘cosa’, la solitudine di DF che viene comunque abbandonata dalle istituzioni e deve arrangiarsi da sé, la solitudine di chi non segue la massa e viene facilmente etichettato come folle, la solitudine di chi smarrisce i propri punti di riferimento e si fa orientare dagli altri solo per non sentirsi perduto.

Lo stile non è semplicissimo, molto spesso si fa ricorso all’indiretto libero che, tradizionalmente, è lo strumento introdotto dalla letteratura di inchiesta della realtà, quel tipo di letteratura in cui l’autore si eclissa a favore dei singoli punti di vista, per far emergere il relativismo brutale della realtà.

Carnaio potrebbe sembrare un libro sui migranti ma in realtà non lo è, è un libro sull’etica, sul senso del limite, sulla labilità dei confini tra accettabile e inaccettabile. Non è in questione solo la tratta dei migranti, ma l’eticità delle sperimentazioni scientifiche, la sostenibilità delle scelte economiche globali, i modelli dissennati di sfruttamento del pianeta. Quanto si è spostata ad oggi questa linea di demarcazione e, soprattutto, quanto è ancora possibile riequilibrarla?

In altre parole, quanto la realtà non è già diventata distopia?

Recensione di Esterina Guglielmino

(fonte)

Weekendavisen.dk recensisce Carnaio, appena uscito in Danimarca

La città di DF – questo è solo il nome – è un luogo in riva al mare come tanti altri lontani, lontani nella provincia italiana. Qui la vita va avanti come al solito, stronza e rassicurante allo stesso tempo. Solo fino a quando un giorno, un vecchio pescatore trova il corpo di un uomo dalla pelle scura bloccato tra le rocce. Il primo cadavere sarà presto raggiunto da migliaia, sì, milioni di altri corpi quasi identici e senz’anima che non solo si incagliano a riva, ma cadono sulla città in tsunami di carne morta, parzialmente disciolta, così che gli abitanti si disperano in corpi umani fino alla gola. È come se tutti i poveri che, nel tempo, sono sprofondati in fondo al mare senza che nessuno se ne preoccupi, venissero rispediti a terra, con tassi di interesse spietati. Qui, il romanzo Carnaio dell’autore e drammaturgo italiano Giulio Cavalli, il primo tradotto in danese, prende davvero il volo in una danza macabra verso il destino mozzafiato, scioccante, nauseante.In termini di visione umana, trama e stile di scrittura, molto è stato preso dal grande autore portoghese José Saramago, ma lungo la strada troverai anche gli eccessi cosmocomici di Italo Calvino, la vignetta di Knud H.Thomsen – come l’umorismo del nonno, il nervo polemico di George Orwell, l’oscurità del giorno del giudizio di Gustave Doré e anche per pensare all’azienda un tempo premiata Topf & Söhne di Erfurt, che ha costruito completamente le fornaci ad Auschwitz.

[weekendavisen.dk recensisce Carnaio, appena uscito in Danimarca]

https://www.weekendavisen.dk/2020-44/boeger/haesblaesende-danse-macabre

Vitaminevaganti recensisce Carnaio

di Valeria Pilone

«Chi non si adatta diventa straniero. Chi è straniero diventa un impiccio, anche se un’ora prima era tua moglie, tuo fratello, tua figlia. […] Quando se ne va l’umanità, anche il vero diventa un lusso: non è per ignoranza, come potrebbe sembrare, ma per un rimescolamento avvelenato delle priorità».
Il romanzo Carnaio di Giulio Cavalli è letteralmente quello che si può definire un pugno nello stomaco. Siamo in un’imprecisata cittadina di mare, D.F., al porto, dove il pescatore Giovanni Ventimiglia, che pratica la pesca da una vita, intravede un cadavere che galleggia nell’acqua. Sarà il primo di una lunga serie di cadaveri, di corpi letteralmente maciullati dall’ammollo in acqua, che si riverseranno su D.F. come una maledizione. Il sindaco e i suoi collaboratori chiedono aiuto al governo centrale di Roma per affrontare quella che si configura ormai come una vera e propria emergenza, ma Roma prende tempo e richiama all’ossequio delle norme nazionali, che prevedono accertamenti preliminari sui cadaveri. Non c’è tempo, però: le ondate di corpi rischiano di seppellire la cittadina e il sindaco decide di affrontare la situazione in totale autonomia.
Ciò che accade pagina dopo pagina è  sconvolgente: già dalle primissime battute la narrazione ti prende, non riesci a smettere, divori i capitoli in breve tempo, perché, mentre leggi, la storia insinua nel tuo cervello e nel tuo cuore una serie di interrogativi a cui vorresti trovare una certa risposta avanzando nella lettura, ma tutto ti spiazza. Lo stile è asciutto e impersonale, lo scrittore non è voce narrante che formula giudizi, ma fotografa così com’è la realtà distopica della città di D.F. Il romanzo è diviso in tre parti: nella prima, intitolata I morti, vengono presentati in terza persona i ritrovamenti dei cadaveri e si paventano le prime soluzioni per gestire la situazione. Nella seconda parte, dal titolo I vivi, vengono messe in atto e consolidate le diverse strategie per garantire la sicurezza a D.F. e ai/le suoi/sue cittadini/e. Ogni capitolo è narrato in prima persona dai vari protagonisti della vicenda: il pescatore, il medico, la segretaria del sindaco, l’ingegnere, il commissario di polizia e sua moglie, lo chef, la conciatrice di pelli, l’addetta alla cultura, il capo della protezione civile, l’imprenditore… un caleidoscopio, dunque, di personaggi nei quali è difficile non ritrovare tante situazioni del nostro tempo. La terza e ultima parte, La fine, è l’epilogo della vicenda, che lascia la sua interpretazione alla nostra libertà, ponendo degli interrogativi profondi ed esistenziali.
Quella narrata in Carnaio è una realtà che ognuno/a di noi può ritrovare nella nostra odierna società o che può interpretare con altro metaforico significato. Il bello della scrittura di questa storia è che l’autore concede a chi legge la sua sacrosanta libertà di “pennachiana” ascendenza: qualsiasi lente lettrici e lettori vogliano usare, la violenza del pugno nello stomaco si avvertirà in tutta la sua crudeltà e necessità. Sì, perché Carnaio è un libro necessario, un libro che rivela quello che accade quando alla vita si sottrae il coefficiente dell’umanità e lo si sostituisce con il paradigma del cinismo, del profitto, dell’egoismo, dell’ipocrisia borghese del nostro tempo, che confonde l’umanesimo con il buonismo. Il finale acuisce il dolore del pugno che si riceve dopo aver scorso già le prime venti pagine, con una profezia che sconcerta per la sua sorprendente e cogente attualità. E, ancora una volta, la voce fuori dal coro che pone interrogativi spiazzanti è quella di una bambina, i cui occhi guardano la realtà senza i filtri corrotti dell’adulta: «abbiamo messo nel mare dei tubi […] per evitare che disturbino le altre città, le ho risposto. Ma come fanno a rubare la città se quando arrivano sono morti?».
La penna di Cavalli obbedisce magistralmente all’imperativo categorico della letteratura: provocare, interrogare, scioccare, profetizzare. Inutile dire che la lettura di questo libro è fortemente consigliata a chi oggi è ancora disposto a lasciarsi interrogare, a mettere in dubbio le granitiche e ataviche certezze che albergano nell’animo umano, a spostare il velo dell’ipocrisia e del perbenismo borghese che impedisce di guardare il mondo e le persone al di là della punta del proprio naso. 

Giulio Cavalli, Carnaio, Fandango libri, Roma 2018

UltimaVoce recensisce Carnaio

(fonte)

Una città completamente sommersa da cadaveri. Prima decine, poi centinaia e ancora migliaia di corpi, così diversi, così altri, mica come noi. Tanti da essere innumerabili; tali da confondersi in un’unica onda di carne non tutta contenuta nella forma intellegibile di essere umani.
Un mare di morti.

Basta questa premessa per percepire che Carnaio è un testo denso: di immagini, odori, sensazioni, che ti restano fastidiosamente aggrappate alla pelle come salsedine.

La narrazione è un crescendo angosciante, forte e disturbante, che raggiunge il climax quando, tra l’incredulità del lettore, inevitabilmente si fa spazio la profonda, terribile consapevolezza che, la realtà descritta in quelle righe, si fa sempre più vicina a quella dei nostri giorni.

Non a caso DF, il paesino italiano in cui si svolgono i fatti, è senza nome, senza precisa collocazione, ma non senza identità. Perché nei politici che rimandano i problemi della domenica alla settimana successiva, nei poliziotti  il cui unico intento investigativo è scongiurare noie e scartoffie da compilare , nel  parroco dedito  più alla cura dei “corpi” che  delle anime,  possiamo riconoscere il volto peggiore di qualsivoglia cittadina del nostro Bel Paese.

Nelle parole dei personaggi, le stesse che da tempo infiammano i dibattiti dei politicanti da tastiera, contro quello schieramento nemico non chiaramente identificato di buonisti e professoroni, è impossibile non riconoscere  l’imbarbarimento politico e sociale del nostro tempo.

recensione carnaio ultima voceCome non citare a tal proposito le parole di Concita De Gregorio, che definisce Carnaio come “il termometro del tempo che viviamo (…) il paese chiuso, appestato, impenetrabile dove gli abitanti si arricchiscono e blindano il segreto inconfessabile della loro ricchezza mentre sono, nel tripudio del cinismo, destinati all’estinzione”.

Eppure, malgrado la sua natura notoriamente attiva e schierata politicamente, c’è da accreditare a Cavalli il merito di aver saputo relegare le proprie convinzioni personali, lasciando che fosse il racconto a parlare, senza moralismi. Quella tra giusto e sbagliato, è una diatriba nella quale l’autore non entra, delegando al lettore ogni giudizio.

La narrazione quindi è sapientemente affidata a più voci, che rivelano lo svolgimento dei fatti, conseguenti la fortuita sciagura che ha investito il paese, attraverso diversi punti di vista. Sbirciando nell’intimità delle loro vite, si apre ai nostri occhi l’orrore che si sta consumando non solo fuori, ma dentro ciascuno dei protagonisti.

Giovanni, Maria, Antonio, Rita, Luigi, Ciro, Marco, Piermario,  sono lo specchio dentro il quale ognuno di noi potrebbe riflettersi, tutte quelle volte che scegliamo di non vedere, fingiamo di non sapere e come un mantra continuiamo a ripeterci che “è normale”, soffocando ogni moto di rivolta dell’etica a favore di ciò che ci fa più comodo credere.

Non ci sono eroi, solo uomini, vittime incoscienti di un rimescolamento avvelenato delle priorità.

Carnaio è quello che potremmo etichettare come un romanzo distopico, che, come definizione di genere vuole, immagina un ipotetico scenario futuro. Un futuro che appare, però, pericolosamente prossimo.
Che i fatti narrati richiamino così verosimilmente alla realtà politica e sociale odierna, non può che scuotere ad una profonda riflessione.

L’intento non è propriamente veicolare un messaggio politico o denunciare l’emergenza del fenomeno migratorio, ma è un memento.
Carnaio racconta l’olocausto delle coscienze, la storia dell’umanità che lentamente soccombe al cinismo, alla paura, alla negazione dell’altro.

La storia ci rammenta come la deumanizzazione sia stata proprio la sottile forma di manipolazione delle masse di cui abilmente si sono avvalsi i più ferocitotalitarismi, attraverso strategie psicologiche e sociali di delegittimazione dell’altro.
Eppure, depersonalizzazione e strumentalizzazione dell’individuo sono espedienti di cui ancora efficacemente si servono le attuali forme di proselitismo politico, in quella esacerbata lotta in “difesa della propria patria e identità”

Difendere, poi, da chi? Quando lasciamo che la paura del diverso si insinui, come un tarlo, nella nostra consuetudine e corroda, poco a poco, ogni forma di giudizio, l’intolleranza che ne trapela finirà  ineluttabilmente col riversarsi non più solo contro quelli, ma i nostri, valicando confini che sembravano inimmaginabili.

E’ questo il monito che Carnaio ci lascia nelle parole di Angelica Magnani:

In città si respira una ferocia che sta nelle piccole cose. […] Non è solo questione di quei poveri diavoli che arrivano dal mare. Mi sono ripetuta cento volte che a quelli avremmo anche potuto abituarci. […] Invece questa è la fame, di chi ogni giorno si allarga un centimetro in più lo stomaco e domani avrà bisogno di più carne per sfamarsi. […] Chi non si adatta diventa straniero. Chi è straniero diventa un impiccio, anche se un’ora prima era tua moglie, tuo fratello, tua figlia. […] Il trucco sta nel convincere le persone che ci sia qualcosa di altro da proteggere, e che tutto il resto sia terribilmente poco importante. Che il resto sia la famiglia o la felicità o il rispetto non conta.

Arianna Pane