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Disperanza

Viaggi Letterari recensisce Disperanza

(fonte)

“I disperanti decidono di proteggersi, proteggersi all’estremo, di diventare guscio che scivola sulla propria vita e sanno che ogni apertura significherebbe un inevitabile sanguinamento“.

Giulio Cavalli (Milano 26 giugno 1977), scrittore, drammaturgo e attivista politico ha pubblicato per Fandango nell’autunno 2020 “Disperanza”, una raccolta di esperienze reali di persone che hanno iniziato a indirizzargli delle lettere in seguito a una sua provocazione sui social.

Chi sono i disperanti?

I disperanti sono gli uomini e le donne della società contemporanea. Persone smarrite, ferite, spaccate. Sono i giovani che non si aspettano più nulla dal loro futuro, che credono nell’occasione e non nell’opportunità. Sono adulti che si sono arresi e hanno deposto le armi ma non possono abbandonare la lotta della quotidianità. Sono cittadini obbligati ad essere sempre ottimisti da un sistema che nasconde le loro mancanze. I disperanti sono persone normali che hanno perso la speranza per lavoro, per salute, per amore o per soldi. 

“Perché la disperanza diventa infestante quando manca la cura. Come le erbacce, solo che questa non si strappa facilmente con un paio di guanti”.

E’ possibile individuare il momento preciso in cui abbiamo perso la speranza e siamo diventati disperanti?

Ciascuno di noi ha un vissuto ricco di crepe e fratture, ricordi belli e ricordi brutti. Infanzie difficili e adolescenze traumatiche. Successi di carriera stroncati o difficili. Famiglie divise o complesse. Abbandoni e perdite, lutti e ritrovamenti.

E’ in quel momento preciso in cui rimaniamo soli con noi stessi, abbandonanti al nostro io senza riuscire a vedere la luce del domani che diventiamo disperanti. La disperanza é prima di ogni cosa smarrimento. 

La disperanza é dello Stato, é politica, sociale, economica, culturale. Prima di tutto é disperanza emotiva e sentimentale. ..

“Forse l’amore é la caverna dove accettiamo di girare nudi, con tutti i nostri orrori e con tutte le nostre bellezze e per questo ci smutandiamo con sofferenza quando veniamo traditi, un ballo in cui siamo presentati senza maschera ma con il terrore che gli altri ne indossino una”.

Gli amori dei disperanti sono amori diversi. Essi sono guardinghi, spaventati, spillati con parsimonia, vissuti con il paracadute. Gli amori disperanti sono amori raccontati e non vissuti nel limbo dell’incertezza. 

Ma che rapporto c’è tra disperanza e amore? L’amore, spiega Giulio Cavalli, é sintomatico della disperanza perché per sua definizione l’amore é il luogo della speranza e delle emozioni.

Ma ogni tradimento, delusione e ferita porta alla luce il fenomeno della disperanza. Da “speranti” ci si trasforma in “disperanti”, in coloro che perdono fiducia verso sé stessi e gli altri e che, inevitabilmente, non hanno più voglia di sperare. 

Allora cosa poter fare per lottare? Giulio Cavalli, in primis disperante, afferma che é essenziale la rivendicazione del nostro essere fragili. Dobbiamo far emergere le nostre mancanze e la nostra umanità per riuscire a generare dalla disperanza ancora una volta un barlume di speranza, per noi, per gli altri, in nome della vita e non della morte.

Un libro che racconta la vita attraverso la raccolta di esperienze di persone disperanti non tanto lontani da noi. Attraverso le loro storie, Giulio Cavalli, fornisce una guida utile per comprendere lo stato d’animo di oggi; una bussola per orientarsi all’interno del mare della disperanza. Un nuovo girone del male a cui nessuno può sottrarsi.

Nell’ottobre 2010 esce il suo primo libro “Nomi, cognomi e infami” per la collana Verde nero di Edizioni Ambiente. Nel 2011 in collaborazione con il regista Renato Sarti scrive e interpreta “L’innocenza di Giulio”, spettacolo sul processo al senatore Giulio Andreotti per i suoi rapporti con la mafia, spettacolo da cui nel 2012 è tratto il libro “L’innocenza di Giulio: Andreotti e la mafia”. Nell’agosto 2013 il collaboratore di giustizia Luigi Bonaventura racconta il progetto per fare fuori Giulio Cavalli. L’indicazione arrivò nella primavera del 2011 da emissari del clan della ‘ndrangheta De Stefano-Tegano. Dal giugno 2013 collabora con il giornale online Fanpage.it, per il quale realizza editoriali, format e video, oltre a curare la rubrica Le Uova Nel Paniere. Dal 2015 cura la rubrica Il buongiorno di Giulio Cavalli sul settimanale Left. Dal 2019 scrive sul giornale online TPI. Il suo ultimo libro, “Carnaio, è stato proposto al Premio Strega 2019 da Concita De Gregorio. Il libro ha ottenuto il Premio Selezione Campiello Giuria dei Letterati ed è stato finalista al Premio Napoli.

Esterina Guglielmino recensisce Disperanza

La disperanza è un’idea antica, ancestrale, romita, profondamente radicata nella natura umana, eppure – altrettanto distintamente – la si può dire moderna, recente, evoluta, quasi un portato precipuo dei nostri tempi. E il suo gusto per la contemporaneità sta soprattutto nella sottigliezza della linea di confine, perché… capiamoci… è un concetto ben più subdolo e infido della normale disperazione.

La disperazione è un concetto finale, un punto di non ritorno, è il momento culminante di una climax ascendente che non può prevedere altro se non una conclusione, uno scioglimento, nel bene o nel male, proprio come succede quando si sta disegnando lo sviluppo di una storia.

La disperanza invece è un’idea intermedia, stanziale, è un processo lento e inesorabile di rinuncia, di progressiva sottrazione, prima dei sogni, poi dei progetti e del loro entusiasmo, infine della speranza. Essere disperanti vuol dire lasciarsi vivere a testa bassa, rinunciando definitivamente a essere protagonisti della propria vita, relegandosi progressivamente al ruolo di comparsa, di contorno, di accessorio. Il ruolo di protagonisti, intanto, passa ad altri: ai datori di lavoro che non riescono ad assicurare un lavoro stabile, allo Stato che decide a mano a mano di scomparire, agli amici che decidono di voltarsi dall’altra parte e di non vedere, forse perché sarebbe troppo difficile aiutare o semplicemente perché anche loro vivono la stessa condizione.

E poi, su tutto questo può ancora arrivare l’inatteso, l’imponderabile, l’inimmaginato (…già e chi avrebbe mai creduto a una pandemia fuori dalle pagine dei libri di geografia?) e allora la disperanza diventa uno stato generalizzato di controllo sull’anima, diventa certezza di aver sempre visto giusto quando l’orizzonte appariva annebbiato, perché in fondo la malattia sembra quasi una predestinazione, una profezia che si autoavvera, una conferma che la luce vista alla fine della galleria era sempre stata un riflesso ingannevole, una rifrazione e mai per davvero la fine del buio.

Eppure alla speranza non si può rinunciare, sarebbe come negare la vita, come costringersi a stare dentro una bolla d’aria fino a quando non finisce l’ossigeno. La speranza è insita nella natura umana, anzi la natura umana stessa per sua proiezione evolutiva prevede la speranza come suo componente più intimo. Che senso avrebbe addormentarsi senza la speranza di vedere il sole? Guardare un figlio senza la speranza di vederlo crescere? Coltivare un amore senza la speranza che ci possa accompagnare?

Ma come si fa a coltivare la speranza? Continuando a sognare o smettendo di sognare? Paga più il realismo scevro da illusioni o i sogni continuano a essere importanti, anche se – oggi come non mai -rischiano di restare irrimediabilmente delusi?

Disperanza è un libro in cui i confini tra lettore e scrittore si perdono, trascolorano, si confondono, un libro in cui la voce dello scrittore-narratore diventa spesso la voce del lettore, dei lettori, dei tanti più o meno disperanti che hanno raccolto l’invito a raccontare in quale “momento esatto della loro vita hanno perso la speranza”. Ne nasce un piccolo, denso libro corale fondato su uno strano gioco di rispecchiamenti e di rimandi speculari, un flusso narrativo in cui le singole esperienze si fondono e si integrano a vicenda, diventando un’unica voce disperante e coraggiosa assieme.

Perché forse la speranza è una trappola (Monicelli docet), è la promessa falsa e seducente di un domani migliore ma forse è, molto più semplicemente, istinto di sopravvivenza necessario.

Recensione di Esterina Guglielmino

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Sky TG24 su Disperanza

(#Disperanza è il libro della settimana di Sky TG24)


Giulio Cavalli firma una breve riflessione in cui indaga il nostro diritto di essere fragili a partire da un termine vecchio secoli e che oggi andrebbe riscoperto in tutta la sua attualità
Questo libro nasce da una parola, asciutta e antica secoli: disperanza. Attenzione, disperanza non vuol dire disperazione anche se è stato a lungo un suo sinonimo. Ha un significato più tenue ma cronico, qualcosa che, “insopportabilmente, diventa sopportabile per lunghi periodi, uno status che può rimanere appiccicato anche per vite intere”. La descrive così Giulio Cavalli in un libro appunto uscito qualche settimana fa per i tipi di Fandango e intitolato appunto “Disperanza” (pp.116, euro 12): “Là dove la disperazione sgorga in strepiti e lacrime, la disperanza rimane sottesa, a mezz’aria, fissata in una bocca socchiusa; là dove la disperazione mostra drammatiche risoluzioni, la disperanza ha già deciso di restare in quella sensazione diffusa che fa più male, flebilmente ma più a lungo, di qualsiasi gesto estremo”. Ed è attorno a questa parola che Cavalli scrive centosedici pagine dense in cui parla della speranza e della sua perdita, di depressione e di vergogna, di ferite e di fragilità.


Dentro il cofano delle emozioni


Sono pagine molto intense e al contempo molto misurate, che si interrogano su temi universali, chiamando a raccolta le storie di tutti noi. Storie drammatiche, singolari e forse anche molto ordinarie, perlopiù liquidate nella quotidianità da una scrollata di spalle.
“Non so cosa darei per avere i cacciaviti del cofano sopra agli ingranaggi delle emozioni”, scrive a un certo punto Cavalli, e questo libro in effetti fa questo: prova a entrare in quel cofano e ad auscultarne i rumori.
Fandango lo presenta come “una cassetta degli attrezzi per continuare a sperare”. Vero, ma il meglio di questo libro è tutto racchiuso nella fase di ascolto e di descrizione e in un registro che non scivola mai nel retorico e nello stereotipato. Semplicemente, rivendica il diritto di essere fragili e, nel farlo, palpita e si scopre.

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“Il verbo leggere” recensisce Disperanza

(fonte)

Non lo leggerò: sono già abbastanza depressa di mio. Dopo aver dato un’occhiata alle uscite in libreria segnalate da Il mestiere di leggere, “liquido” subito Disperanza di Giulio Cavalli (Fandango Libri, 2020). Mi dimentico di questo titolo, o almeno, fingo di farlo. Mi ripeto che non ha senso leggere un libro dedicato a verità scomode che conosco già: grazie tante, ma mi sono resa conto da tempo di vivere in tempi crudeli, incerti e disperanti. Che senso ha mettere il dito nella piaga?

Penso che la questione sia chiusa. Illusa. Ormai dovrei saperlo che certi libri ti inseguono, che diventano fantasmi ineliminabili da cui non puoi sfuggire. Passano un paio di settimane. Ascolto Fahrenheit. Eccolo lì, riappare di nuovo, inatteso e indesiderato: Disperanza è il libro del giorno. Resto in ascolto per qualche minuto, solo per qualche minuto: non voglio leggere questo libro. Non voglio fare i conti né con quel groviglio di pensieri neri che non riesco a srotolare, né con le ansie che, come i mostri temuti dai bambini, sono in agguato sotto il mio letto.

Passa ancora qualche giorno. Disperanza appare nella lista degli ebook in offerta. Mi arrendo. Apro il lettore e inizio, quasi controvoglia, a leggere la prima pagina. Mi fermo. Rileggo. Dovevi proprio colpirmi al cuore, a tradimento? La voce di Giulio Cavalli, una voce gentile, si insinua subito sotto la mia pelle:

Nei periodi di buio la disperanza è una compagna molle che mi si attacca addosso, qualcosa contro cui è impossibile combattere perché mi è quasi consolatorio averla. Subisco mattine che mi chiedono solo che sia presto sera, scrivendo per mestiere me la ritrovo negli articoli o nei libri come quel brutto alone che lasciano le tazzine di caffè sui fogli.

La scrittura di Cavalli cattura immediatamente la mia attenzione: è vibrante, poetica, evocativa. Sul serio, come fa a scrivere così bene? Perché scopro solo adesso questo autore? Perché è scivolato fuori dal mio radar di lettrice? In queste pagine ritrovo qualcosa della solitudine di Saviano, un altro scrittore finito sotto scorta perché indagare la realtà e denunciarne le storture è un peccato capitale: lasciate lo sporco sotto il tappeto, per favore.

Che cos’è la disperanza di cui parla Cavalli? Esiste davvero questa parola?Consulto il primo dizionario online a disposizione. Sì, è una parola: è lo stato di chi è privo di speranza (Treccani). La si potrebbe definire come la “sorella minore” della disperazione, più tenue, ma cronica:

(…) qualcosa che insopportabilmente diventa sopportabile per lunghi periodi, uno status che può rimanere appiccicato anche per vite intere.

Proseguo la lettura e vengo presa dall’impulso irrefrenabile di sottolineare alcuni passaggi, di condividerli con qualcuno. Alcune frasi mi bruciano la retina e il cuore: sono troppo vivide, sono terribilmente veritiere. Disperanza è la fotografia impietosa di un tempo, il nostro, scandito dalla precarietà assoluta e dall’individualismo solitario. Queste pagine racchiudono l’essenza di giorni da cui bisogna difendersi:

Non sperare per non rischiare che possa andare peggio: la difesa a questo tempo è qualcosa che andrebbe raccontato con cura. 

(…) 

Esiste in sottofondo una fottuta paura di ascoltare i sintomi della tristezza altrui e poi ritrovarci dentro cose nostre: la speranza e la disperazione sono un campo che non si vuole esplorare per non fare i conti con se stessi.

Lo scrittore descrive la quotidiana disperanza di chi vive sottopensiero, di chi è costretto a ridurre il pensiero a impulso, sempre in riserva nel serbatoio della vitalità, di chi deve convivere con la depressione:

Ma sarebbe sbagliato credere che le persone sottopensiero siano sempre state così e siano per sempre così, è illusorio anche convincersi che i sottopensiero siano gli sconfitti per cause dipendenti dai loro meriti, dalle loro capacità e dalla loro volontà: nonostante questo tempo voglia dividere sconfitti e vincitori con un taglio netto come se ognuno meritasse il proprio destino – o l’assenza di opportunità di avere un destino – per rendere accettabile questa vasta periferia ai bordi delle autentiche possibilità, tutti noi, chi per qualche minuto chi per anni con rari momenti di riemersione, ci siamo ritrovati alla deriva senza un approdo e senza memoria del porto di partenza.

Cavalli mi conduce attraverso i gironi della disperanza, di questo limbo popolato da una varia e travagliata un’umanità: disoccupati ed eterni precari, malati, amanti feriti da amori sbagliati o negati, piccoli rifugiati sopraffatti dalla vita e disperanti disillusi dalla politica.

Il libro, da monologo, si trasforma in una narrazione coraleAscolto le testimonianze dei lettori che hanno deciso di condividere le loro storie, di raccontare la loro disperanza. Cavalli dà voce alle loro fragilità, le accetta e le abbraccia, rifiutando di sottostare alle regole di un mondo che ci vorrebbe sempre vincenti:

E invece bisogna essere forti, bisogna essere vincenti, bisogna essere sempre primi o nel gruppo dei primi, bisogna essere perfetti, belli, empatici, simpaticamente antipatici, eleganti, con la risposta sempre pronta, con le dita affusolate, con i pantaloni corti alla giusta lunghezza, con le camicie inamidate, con il sorriso sempre cortese (…).

La mia parte cinica mi ripete che non c’è niente di nuovo sotto il sole: in tanti si sono fatti paladini delle fragilità e in troppi hanno lucrato sulle sofferenze altrui. Mi rendo però conto che Cavalli non ha niente a che spartire con i venditori di dolore: possiede un’empatia rara. Non sbandiera la sofferenza: la mette in scena dandole dignità ed importanza, scegliendo con cura ogni parola. Forse ripete cose che so già, ma quelle cose hanno bisogno di venire ripetute e metabolizzate: io stessa credo nel diritto di essere fragili, eppure sono la prima ad avere una fottuta paura di mostrare le mie fragilità.

Riemergo da questa lettura immersiva, coinvolgente. Questo libro ora mi sembra terribilmente necessario. Il Covid ha reso ancora più evidente il disagio interiore che cova nelle budella della nostra società, ma non ha dato legittimità alla fragilità. Nei primi mesi di questa tempesta, abbiamo gridato che era giunto il momento di cambiare le cose, invece adesso non vediamo l’ora di tornare alla nostra disperante normalità. Il problema è che, al termine della burrasca, dovremo fare i conti con i relitti, con le nostre ferite emotive: ferite che andranno in suppurazione, se non impareremo a riconoscerle e a curarle.

Dovremmo prenderci cura di noi stessi e degli altri, ma ci manca la cassetta degli attrezzi per farlo. Disperanza potrebbe essere un punto di partenza, ma la voce di Cavalli, per riuscire a mettere in moto la speranza, dovrebbe arrivare anche a chi rinnega la fragilità. Chi condanna i disperanti non si rende conto che tutti gli esseri umani sono fragili: tutti noi abbiamo bisogno di aiuto per sopravvivere a questi tempi incerti.

La Nuova Sardegna su Disperanza

Se la disperazione è una «manifestazione incontrollata di tristezza e di rabbia, un crollo verticale che presume una soluzione implosiva o esplosiva» nel breve periodo, la disperanza è uno stato interiore più tenue, che può facilmente divenire cronico e durare una vita intera, e che non risparmia nessuno: i giovani, per i quali la speranza è ormai un lusso; gli adulti, gravati di responsabilità economiche e del rammarico di non aver colto tante opportunità in tempi passati più favorevoli; gli anziani, privi di doveri e assediati dai ricordi. Partendo dall’esperienza propria e di tanti suoi contatti sul web, Cavalli riflette su una società che oggigiorno non consente nessun tipo di fragilità.