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Mio padre in una scatola da scarpe

Donnatinuzza recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(fonte)

Ho da poche ore terminato la lettura di “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavalli, ma non ve ne parlerò.

No, perchè è un libro che va letto, impossibile da raccontare; il rischio è quello di sminuire la tragica bellezza di una vita vissuta onestamente e privare chi ascolta della potenzialità del racconto tessuto da Giulio Cavalli.

Quindi se vi aspettavate la solita “pseudorecensione” … vi va male.

La storia di Michele Landa e della sua famiglia mi ha portato per l’ennesima volta a riflettere sulla bellezza che si nasconde nel fare IL PROPRIO DOVERE.

Come essere umano in termini generali, ma ancora più semplicemente come madre, amica, moglie, insegnante.

Come amante, perchè ci vuole amore per fare il proprio dovere, soprattutto verso se stessi.

Alzarsi al mattino e sapere che sarà magari dura, ma con la consapevolezza che, una volta coricati, la sera, a letto, sentiremo la soddisfazione di aver contribuito, anche solo con una piccola e insignificante goccia, a rendere migliore il mondo (?).

Non mi spingo a tanto.

Forse solo il clima all’interno della nostra famiglia e del luogo di lavoro.

L’aver regalato quella carezza di cui il nostro amico taciturno ha bisogno, un gesto semplice, capace però di rendere meno dura la giornata.

Il preparare una lezione con serietà, non oso neppure pronunciare la parola passione, nella convinzione che, non subito, ma magari tra un decennio, un milligrammo di quanto noi abbiamo investito abbia dato anche un solo piccolo frutto.

Già, perchè il problema è che se tutti, e dico tutti, iniziassimo a dare il nostro contributo nel quotidiano, con piccoli gesti, quasi sempre invisibili, allora sì che si potrebbe credere in un cambiamento generale.

E’ ciò che ha confermato in me la piccola e ancora troppo sconosciuta vicenda di Michele Landa, un uomo semplice che non aspirava a fare l’eroe, solo ad andare in pensione dopo una vita di duro lavoro e tanta onestà.

Ecco, diventiamo tutti un po’ il Michele Landa della nostra vita, sarà più bello per noi e per gli altri.

Iniziare bene la giornata

A Macerata, per ‘Macerata racconta’, le scuole stanno leggendo “Mio padre in una scatola da scarpe” in attesa di vederci al prossimo marzo.
Come non può iniziare bene la giornata, con foto così. ☺️ #miopadreinunascatoladascarpe #libri #reading #books #book #leggere #reading via Instagram https://ift.tt/2QA6lW7

Mangialibri recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Non è facile vivere in un paese come Mondragone senza “sporcarsi” la coscienza e diventare omertosi. Il silenzio e la cecità sono due condizioni indispensabili per vivere con tranquillità. Ma per Michele, orfano di genitori e che vive con il nonno, non è così normale. Per lui vivere in paese senza per forza asservirsi o entrare nelle grazie della famiglia Torre, che tutto comanda e dirige, è un obbiettivo. Finita la scuola, ha trovato lavoro presso una vineria e lì, onestamente, si guadagna da vivere tenendosi lontano dai giri sbagliati, con la sola compagnia del goffo Massimiliano, del nonno e della bella Rosalba detta “la silenziosa”. Gli anni trascorrono in fretta, il nonno, che ha sempre cercato di insegnargli la prudenza e il basso profilo, muore lasciandolo solo, mentre a Mondragone si continua a cadere sparati con la famiglia Torre che comanda e detta la propria legge su un paese sopra il quale regna il silenzio. Sono passati quarant’anni e Michele è diventato un uomo anziano, prossimo alla pensione. Ora lavora in un’agenzia di vigilanza: da quando la vineria è stata acquistata dai Torre lui è stato uno dei primi ad andarsene. Ha quattro figli, una nipotina che adora e Rosalba è sempre al suo fianco. Orgoglioso per non essersi mai sporcato le mani, attende l’ultimo giorno di lavoro per godersi la nipotina. Il suo sogno di vivere felice, in una casa con un bel giardino e in compagnia della sua famiglia è quasi raggiunto, ma a tormentalo ci sono i ricordi di Massimiliano, morto ammazzato per aver parlato apertamente, e del nonno, “certificato di quella terra: così ammaestrata e schiava, sempre omertosa e, in più, fiera di aver imparato così bene a essere omertosa e schiava”…

“Bisogna essere responsabili verso le persone che si amano” diceva il vecchio prima di morire. Dopo una vita spesa ad evitare di sporcarsi le mani, Michele si rende conto di essere diventato come suo nonno, ora che anche lui ha una nipotina da far crescere. A volte ci vuole una vita intera per capire certe cose, ma l’importante è arrivare a comprenderle. Allora il tempo speso per la comprensione si rivela utile, non importa la quantità. Non sempre basta essere integerrimi ed evitare i pericoli per essere giusti. Ciò che si chiede è la partecipazione e la chiara dichiarazione del proprio essere contro. Contro la mafia, contro gli abusi, contro chi usa la violenza per dettare la legge. Michele, saldo nei suoi principi, decide di resistere e non abbandonare un paese il cui destino appare segnato. La sola residenza a Mondragone basta a contagiare i suoi abitanti, che diventano ciechi e sordi, pur di non interferire con la famiglia Torre. Giulio Cavalli, con un racconto che vale come una piccola epopea famigliare e che dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie, ci racconta una storia che è anche una piccola battaglia personale, di civiltà ed eroismo. Non è eclatante, non è un gesto su larga scala e che avrà risonanza, ma la vita di Michele, nei suoi ultimi anni, alla fine diventa una testimonianza di coraggio. L’uomo che vede, che ragiona con la propria testa e che prende una decisione. Persino il dolore trova posto in una famiglia che si ritrova a tavola in un’ultima struggente immagine e che resta unita: una piccola comunità salda nei suoi sani principi che figli e nipoti porteranno avanti.

(fonte)

10 anni fa. Di un padre in una scatola da scarpe.

Il 6 settembre di dieci anni fa moriva Michele Landa, metronotte a Mondragone, padre e nonno.

La sua storia (ne scrive qui Sergio Nazzaro) è il cuore del mio romanzo con cui ormai da un anno giro l’Italia. Ed è una storia che profuma d’amore dall’inizio alla fine. E allora mi sembrava giusto pensarci, oggi.

Aratakblog recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(Fonte)

Io ho avuto la fortuna di conoscerlo quando è venuto nel mio paese poco prima delle scorse elezioni comunali. Mi ha colpito e affascinato non poco, tanto che da allora lo seguo con assiduità e impegno.
Impegno in ciò in cui entrambi crediamo, nella giustizia, nell’impegno personale delle persone, nella legalità. E’ anche grazie al suo incontro che ho deciso di darmi da fare entrando nell’associazione Libera.

Parlando del libro- TRAMA

Il libro si svolge a Mondragone, un paesino in provincia di Caserta in Campania. Possiamo dire che sia una saga familiare che segue le vicende di Michele Landa (vi sembra di conoscere già il nome? Vi accennerò dopo le conclusioni qualcosa – rivelazioni importanti) e della sua famiglia. Rimasto orfano vive dapprima col nonno per poi, finita la scuola, dedicarsi a diversi lavori quel tanto che basta per riuscire a vivere e a sposarsi con la donna che ama, nonostante le difficoltà iniziali.

“Michele adesso è lì. Rosalba Ida ha una provincia intera negli occhi, con strade e ferrovie. Lui raccoglie tutto il coraggio in giro per il mondo e lo impasta in una parola sola, una parola con tutto Michele dentro. La guarda, seduta, e chiede: <<Posso?>>.
<<No.>>
“La messa è finita. Andate in pace” pensa, e intanto ride come uno scemo.”

“Quando Rosalba sorride è rovinosamente bella e a Michele non resta che arrendersi. Sono stati due anni di sorrisi che hanno piallato tutte le difficoltà incrociate, questi di Rosalba e Michele, due anni di sorrisi che in fondo erano uno stringersi di denti per convincere i genitori di lei che il loro matrimonio è fatto sul serio con la responsabilità di due adulti che pretendono in fretta di diventare una famiglia. Avevano dovuto superare i saluti dei suoi genitori che diventavano subito interrogatori, le domande che sembravano per caso e invece ogni volta erano una verifica e gli sguardi quasi di compassione. Ma hanno superato tutto, tutti i dubbi nonostante tutto. Ci sono persone che si sanno amare solo così: promettendosi di non doversi mai chiedere scusa, scendendo per mano nelle scale più buie e rivendicando il diritto di essere felici, insieme. Questo matrimonio è troppo felice per essere duraturo, dicevano in molti, e lo dicevano anche i genitori così preoccupati dalla troppa felicità degli altri, mica per invidia ma per terrore di leggere il proprio fallimento. Il mondo è pieno di persone che trovano ristoro nella media che arrotonda i propri risultati.”

Michele è un gran lavoratore ma si trova davanti a scelte importanti, fin dall’inizio della sua vita, quando da ragazzo si trova un morto ammazzato sull’uscio di casa e racconta a dei carabinieri apatici, ciò che sa, mentre tutto il resto della via pratica l’omertà del silenzio.

“Mondragone era un luogo vivibile da estranei: ogni tanto l’omertà cerca i travestimenti più fantasiosi per non venire allo scoperto.” O, ancora, quando il nonno gli dice: “<<Di non cercarti guai. Che non guardare e non sentire è il modo più maturo e responsabile per difendere la tua famiglia e i figli che vorrai. Michele, la vita non è una guerra sempre, ogni tanto dovresti pensare anche all’intelligenza di ritirarti>>”

E tutti, da suo nonno ai vicini, gli consigliano di praticarlo e di scegliere da che parte stare.
Scelta di cui si pente quando:

“Massimiliano è morto sparato. E non l’avrebbe detto nessuno che quell’enorme bambino potesse finire morto ammazzato, lui sempre così spaventato di tutto e così perfezionato nel trovare il bello e il buono anche in un gorgo.
Massimiliano è morto a pistolettate di mercoledì, trovato a faccia in giù con la bocca piena di sabbia e la lingua appoggiata di lato a sinistra, come un apostrofo prima della testa. …
Lo sapevano tutti, a Mondragone, chi l’aveva uscio. Tutti. Oggi lo sanno anche i bicchieri, i muri, i semafori agli incroci, i sedili della corriera, che Massimiliano l’ha ammazzato Tore dei Torre per la discussione avuta la domenica precedente in piazza. Lo sanno anche i carabinieri che non vogliono saperlo, i testimoni che hanno tutti un buon motivo per non testimoniare, …” Massimiliano, il migliore amico di Michele, è stato ucciso perché aveva discusso con delle persone mafiose. Tutti lo sanno ma nessuno parla e Michele tutti li accusa tra sé e anche col mondo, un mondo però colluso, che non vuole ascoltare. E si pente di tutto quello che non ha visto o ha fatto finta di non vedere: “<<Vorrei provare a dire le cose che non ho mai detto per difendere la mamma e voi. Vorrei rifiutare le prossime cene con Giulio e gli altri mostrando che non sono d’accordo. Vorrei stare ai campi e spiegare ai miei nipoti che Massimiliano, l’amico del nonno, è morto anche perché diceva cose che tutti vedevano ma tenevano nascoste, e allora l’hanno preso per matto. Se vuoi uccidere qualcuno lo fai passare per matto e sei già a metà dell’opera. E mentre noi stavamo zitti lui era sempre più matto, sempre più scemo. Io vorrei che i miei nipoti e voi imparaste che le idee si sostengono anche in pubblico.>>”

Una vita passata a lottare, a trovare il proprio posto nel mondo e finita con rimpianti e volontà di fare che si sono perse nel nulla.
Un finale che ti lascia dell’amaro in bocca e che a me ha fatto piangere lacrime amare di tristezza e solitudine.
Ambientazione:
Mondragone nel libro è descritto come un paesino impaurito, da tutto e da tutti, soprattutto dalla famiglia dei Torre nel libro, famiglia mafiosa con facoltà di vita e di morte su tutto e tutti.
Morte per ovvi motivi ma vita per più d’una ragione. Proprietari di molti stabilimenti industriali della zona possono dare lavoro, o toglierlo, a chi vogliono. Poi

“Sopra l’entrata della palestra c’è scritto: OMAGGIO DELLA FAMIGLIA TORRE ALLA CITTA’ DI MONDRAGONE. LA CITTADINANZA RINGRAZIA. Quest’abitudine di finanziare il restauro di chiese e scuole è vissuta con leggerezza, se non con gratitudine reale, da molti cittadini.”

Il sistema mafia che si ingrazia poteri e comunità con regali e concessioni per cui, come dice il nonno di Michele:

“<<Michele, tu sei un ragazzo intelligente e bravo, e ci hai preso tutto il cuore di tua madre e la scorza di tua nonna, ma questa nostra terra non è un allevamento di animi nobili o di cavalieri. Questa è la terra dei ladri che non vedi mai rubare, degli assassini che ci mangi allo stesso tavolo in osteria e dei diavoli che ognuno ha in corpo. E qui, da noi, qui il diabolo si sente più libero di passeggiare. Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li.>>”

Per fortuna esistono persone che, in queste stesse terre, combattono e parlano. Sempre troppo poche ma bisogna ricordarsi di loro ora, quando sono vivi, e non solo da morti come uno dei nomi letti nella giornata della memoria delle vittime della mafia.
Personaggi

Il personaggio principale è Michele, con i suoi pregi, i suoi difetti e tutte le cose che si pente di non aver fatto. E’ una persona vera, reale in cui possiamo facilmente immedesimarci quando opera nel giusto sia nello sbagliato. E dobbiamo imparare.
Rosalba, la Silenziosa, la donna con cui Michele è sposato. La colonna portante della famiglia, il legante che ha tenuto le varie anime dei figli legate nonostante divergenze e possibili screzi. Una donna forte ma al contempo fragile.
Infine ci sono i figli di Michele, descritti bene con i loro affanni e i loro lavori. Andrea, il maggiore, che lavora per la ditta di sorveglianza come il padre, ha il carattere ribelle e riottoso che aveva da giovane Michele, la sua voglia di denuncia non si ferma davanti a nulla e per questo si scontra più volte col padre.
Giovanni, il figlio responsabile che lavora all’estero e così facendo mantiene la propria famiglia.
Angela la figlia che ha ereditato tanto da Rosalba ma che riesce soprattutto ad essere di ispirazione per altri, sua figlia, Michela, è una bambina bellissima e resa perfettamente.
Antonio è il minore, il figlio un poco più scapestrato, con lavori saltuari e irregolari.
La famiglia descritta nei punti oscuri e non, ti fa venire voglia di conoscerla, di andare a stringere loro la mano e presentarti a loro come un amico, una persona come loro.
Stile

Lo stile è semplice, mai arzigogolato, narrato con punto di vista esterno ma con tempo presente perché le vicende di Michele sono quelle di tutti. Michele è uno di noi. Michele siamo noi.
Conclusione

Un libro sulla mafia nonostante tutto, sulle sue vittime e sull’impegno che dovrebbe esserci da parte di ciascuno di noi per far sì che il nostro paese sia sempre più a favore della legge e sempre meno in mano a quella “montagna di merda” (da I cento passi).
Un libro che nonostante tratti di temi così seri e pesanti lo fa in tono leggero, come raccontandoti una storia.
Un libro che consiglio, soprattutto a chi vuole saperne di più sulla legalità e sulle diverse facce che dovrebbe avere l’antimafia.
Un libro con un finale ambiguo che mi ha lasciato perplesso fino a che non ho fatto qualche ricerca.

(mio padre in una scatola da scarpe‘ puoi comprarlo anche qui nella nostra piccola bottega)

Conta e Cammina. E l’ottimismo della volontà.

Tre giorni a Macomer nell’ambito del festival ‘Conta e Cammina’, due incontri nelle scuole, una presentazione di ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e una serata a portare in scena la spremuta di libro con ‘Una storia in una scatola da scarpe‘. Tre giorni a toccare con mano l’energia positiva che si sprigiona quando le storie incontrano i ragazzi e diventano una riflessione collettiva. Questo è un Paese che ha dei giovani straordinari, me ne convinco ogni volta che partecipo ad un incontro in una scuola: ho ascoltato ragazzini delle scuole medie parlare di Siria con un cuore (e competenza) che si sognano molti della nostra “classe dirigente”, ho ascoltato domande sulla prepotenza mafiosa che sanno di lealtà e coraggio. Abbiamo una responsabilità grande, sempre: ogni volta che scriviamo una frase, recitiamo una pagina o proponiamo un libro. Ricordiamocene.

Ci si muove. Ci si muove.

Giulio-CavalliHo abbandonato un po’ il blog. E torno subito. Perché sono stati giorni densi tra scrittura, programmazione e prove. Costruire, costruire.

Andiamo con ordine: ho già la valigia pronta per partire per Macomer dove è già cominciato il festival Conta e Cammina (qui la pagina Facebook) dove presento il mio romanzo ‘Mio padre una scatola da scarpe‘, incontro le scuole e per la prima volta presentiamo il nostro reading ‘Una storia in una scatola da scarpe‘. Tra le altre cose visto che sono da quelle parti presento anche il bel libro di Margherita Asta e Michela Gargiulo ‘Sola con te in un futuro aprile’ (lo potete comprare qui). Direi che i sardi hanno occasione di incrociarmi visto che mi fermerò tre giorni. Il programma del festival lo trovate qui.

L’amico degli eroi‘ si è fatto libro (trovate tutto qui) e all’edizione digitale tra poco affiancheremo anche quella di carta. Ne sono molto contento perché il nostro scopo era quello di preparare una “cassetta degli attrezzi” che contenesse gli atti giudiziari, il copione dello spettacolo e un’analisi della sparizione della memoria e credo che alla fine abbiamo cucito un bel libro. Aspetto i vostri commenti.

Sempre libri: molti di voi mi hanno scritto per dirmi che ormai è introvabile il mio primo libro ‘Nomi Cognomi e Infami‘. Ci sono molto affezionato e mica per niente è il padre di un monologo che, con tutte le sue naturali evoluzioni, ancora oggi mi trascina in giro per l’Italia. Ebbene, il libro di carta è qui. Eccovi accontentati.

Buona serata. Intanto.

(ah, tutti i miei appuntamenti sono qui)