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Mio padre in una scatola da scarpe

Ci si vede martedì 5 aprile a Bollate #miopadreinunascatoladascarpe

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Martedì torno giù al nord, a Bollate, per presentare il mio ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘ e per discutere insieme a voi del valore della verità. Bollate non è scelto per caso: a Bollate si è consumata un paradigmatica commistione tra mafia, imprenditoria e cittadinanza che per lavoro (e per legittima difesa) ho seguito per anni. E la presentazione sarà a Cassina Nuova, la località che è stata il feudo di Vincenzo Mandalari, uomo di ‘ndrangheta e di affari.

Insomma, se siete da quelle parti vale la pena esserci. Ecco. Info sull’evento qui.

Quando scappa una foto

Una foto che mi emoziona. Oggi alla manifestazione per ricordare il coraggio di Don Peppe Diana a Casal di Principe un partecipante ha deciso di portarsi con sé #miopadreinunascatoladascarpe e lo tiene stretto come si stringono le foto care.
(L’immagine l’ha catturata Angie) via Instagram http://ift.tt/1MhLY8c

Storia di amore e omertà, Giulio Cavalli presenta “Mio padre in una scatola di scarpe” alla Tela (da Varesenews)

(fonte)

CAVALLISarà Giulio Cavalli, scrittore, giornalista, autore teatrale  ed ex consigliere in Regione Lombardia l’ospite dell’aperitivo con l’autore di sabato 19 marzo alle 11.00 a “La Tela”, l’osteria del buon essere a Rescaldina (strada Saronnese, 31). Organizzato dalla Tela in collaborazione con Anpi Rescaldina e la biblioteca comunale, l’incontro affronterà il tema della legalità partendo dalle pagine dell’ultimo libro di Cavalli, “Mio padre in una scatola di scarpe”, un romanzo ispirato alla vera storia della famiglia Landa, colpita dall’uccisione di Michele, metronotte 61enne a pochi giorni dalla pensione, impegnato a piantonare un ripetitore per la telefonia mobile a Pescopagano. Un omicidio cui i media diedero poco risalto e che Cavalli fa riemergere nelle pagine di un libro che indaga una vicenda umana prima che di criminalità organizzata.

Michele Landa, infatti, non è un eroe ma una persona normale che desidera coltivare il suo orto e godersi la famiglia restando una persona pulita; cosa non facile a Mondragone, dove serve coraggio anche per vivere tranquilli. Chi non cerca guai, infatti, è comunque costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura?

GIULIO CAVALLI (Milano, 1977) scrittore e autore teatrale, dal 2007 vive sotto scorta a causa del suo impegno contro le mafie. Collabora con varie testate giornalistiche e ha pubblicato diversi libri d’inchiesta, tra i quali ricordiamo Nomi, cognomi e infami (2010) e L’innocenza di Giulio (2012). È stato membro dell’Osservatorio sulla legalità e consigliere regionale in Lombardia.

Cavalli è stato uno dei primi giornalisti a occuparsi della vicenda del Re Nove di Rescaldina, ora diventato osteria sociale del benessere La Tela “Mio padre in una scatola di scarpe” di Giulio Cavallo, 2015 è edito da Rizzoli.

La Tela è un bene sequestrato alla criminalità organizzata, affidato al Comune di Rescaldina e gestito dalla Cooperativa ARCADIA insieme con altre associazioni del territorio. È diventato ristorante e centro di aggregazione e di promozione sociale e culturale.

Info: Osteria sociale del buon essere “La Tela” strada Saronnese, 31 Rescaldina (MI)
www.osterialatela.it
Facebook:  https://www.facebook.com/osterialatela/

 

Quando scappa una foto

#Repost @natalinarossi with @repostapp.
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Mio padre in una scatola da scarpe era giallo. Un giallo quasi spaventoso, e bello. Poi l’ho consumato. Oggi l’ho portato a mare. Con tutto quel vento. Sarebbe bello diventare vento, e arrivare dentro le orecchie della gente con storie che cambiano la forma delle cose. “Diceva Michele che ci sono calli che fanno belli, mali passati che diventano tesori e morti che in un istante diventano vivi, vivissimi, da raccontare di continuo. Domeniche incluse.” E lunedì che sembrano domeniche. via Instagram http://ift.tt/1U81Vjz

Quando scappa una foto

Sala piena. #miopadreinunascatoladascarpe in giro per l’Italia non si ferma più. Oggi a Caserta. via Instagram http://ift.tt/1Tz4r2Q

Letteratitudine recensisce ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

(La recensione sul romanzo ‘Mio padre in una scatola da scarpe‘. Il libro lo potete acquistare qui. L’articolo originale è qui.)

di Eliana Camaioni

539526612È una storia di famiglie, “Mio padre in una scatola da scarpe” (Giulio Cavalli, Rizzoli ed.): quella di Michele e del Nonno, composta da ‘brave persone, che lavorano e tacciono’, e quella dei Torre, simile ad ‘una marchiatura a fuoco sull’orecchio o una targhetta pinzata in mezzo alle palle come un toro’, capace di ‘allargare le regole finché non ti entrano perfettamente’. Sono le regole non scritte del paesino di Mondragone, dell’entroterra napoletano: appartenenze suggellate da battesimi di sangue e persiane chiuse, omertose e vigliacche; baci in piazza che timbrano come bestiame, e gonne da processione paesana –gonne debutto, per donne da marito, e gonne gabella, assenzi taciti di sottomissione ai boss.
‘Non guardare e non sentire è il modo più maturo e responsabile per difendere la tua famiglia e i figli che vorrai’, questa la ricetta per sopravvivere a Mondragone, paese di poche anime e tanti segreti, dal lessico silenzioso dell’abito buono esibito alla messa domenicale, di una scollatura che ti rende donna e di morti sparati, ‘morti interrotti’, guardie e ladri, corriere e corrieri.
Un affresco collettivo, nitido e tridimensionale per l’uso intenso che Giulio Cavalli fa di similitudini e metafore; ci sono caffè all’alba e turni di notte, cervelli che schizzano e mogli che aspettano, odore di salsa ed esalazioni di vino, amici che muoiono e carabinieri che archiviano.
E poi ci sono gli occhi, di chi tutto guarda e nulla vede, occhi che piangono e occhi che seccano, occhi che urlano parole non pronunciate, e picchiano più delle bastonate; occhi di bue da regista, che Giulio Cavalli stringe su ciascun capitolo, con una focalizzazione disincarnata e variabile, raccontando quarant’anni e quattro generazioni di una terra ‘così omertosa e schiava’ di cui il Nonno, agli occhi del nipote Michele, sembra essere il ‘certificato’. Michele e la famiglia coraggiosa che farà con Rosalba, secondo i dettami delle ‘brave persone’: perché ‘c’è tanta bellezza e tanto coraggio a crescere una famiglia con dignità’, lo stesso coraggio necessario ‘a rinunciare, anche ai principi se serve’. Un mos maiorum che si tramanda di Nonno in nipote, una rabbia sorda impossibile da accettare per Michele se non quando sarà nonno a sua volta, perché a Mondragone ‘la vita è molto più semplice di come la pensi: basta non fare la rivoluzione tutte le mattine’, basta sposare una donna onesta ed accontentarsi di un onesto lavoro, dribblando le ingiustizie, stando fuori dagli affari dei potenti.
Il tempo della storia vola via veloce, fra chi da Mondragone parte e chi a Mondragone resta, fra chi espatria per cercare salvezza e chi partendo fa la fortuna di chi comanda, come una sberla per chi al paese lavora e tace, ‘facendo quello che è possibile fare’; cene fra amici segnano il passo, e come un impietoso consuntivo di fine anno tirano la riga sotto le vite dei protagonisti, mentre queste si intrecciano, si intersecano, divergono, si interrompono.
Di tutti i luoghi, la spiaggia e la piazza sono elette a testimoni silenziose: di amori onesti e amori rubati, del punto di equilibrio in cui risiede la felicità perfetta, di macabri ritrovamenti, di quella desertitudine – meraviglioso neologismo – che a Mondragone ‘prende il posto dei sorrisi’.
Il termine mafia è un gas mortale che ammorba l’intera narrazione, ma compare solo a metà del romanzo, nell’epoca in cui di mafia finalmente si osa parlare: e sarà un boato, l’esplosione di quel gas, per bocca di un figlio che si rivolge al padre: ‘Quelli che fanno finta di niente con il tuo amico morto ammazzato sono mafiosi!’ perché è mafioso ‘anche chi non ammazza, spende soldi guadagnati ammazzando la gente’.
Uno scatolo da scarpe, una morte tanto ingiusta quanto ingiustificata, indica la fine di una storia iniziata con una fine che era un inizio: perché ‘per uno cauto di natura la fine è un punto di domanda’ si legge nell’incipit, ‘per uno più arrogante è un vinto lasciato per terra’.

«Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande»: Uno Scaffale di libri su ‘Mio padre in una scatola da scarpe’

Schermata 2016-02-03 alle 12.25.07Buongiorno, amanti della lettura.
Oggi parliamo di un libro importante, di un tema importante, di una storia vera.
Ringrazio Barbara Reverberi e Moira Perrusso, de MoBa comunicazione, per avermi proposto questa lettura per cui ci vuole una pioggia di due anni per lavarla via dai miei pensieri.
Trama:
Michele Landa non è un eroe, e neppure un criminale. Tutto ciò che desidera è coltivare il suo orto e godersi la famiglia; vuole guardarsi allo specchio e vederci dentro una persona pulita. Ma a Mondragone serve coraggio anche per vivere tranquilli: chi non cerca guai è costretto a confrontarsi ogni giorno con gli spari e le minacce dei Torre e con l’omertà dei compaesani. Michele conosce la posta in gioco, ha perso il lavoro e molti amici, ma è convinto, nonostante tutto, che in quel deserto si possa costruire qualcosa di bello e provare a essere felici. Al suo fianco c’è Rosalba, “la silenziosa”: dopo quarant’anni si amano come il primo giorno, sono diventati genitori e nonni, sognano una casa grande e un albero di mele. Ma si può immaginare una vita diversa, in una terra paralizzata dalla paura? Con una scrittura avvolgente e il piglio di un autentico cantastorie, Giulio Cavalli racconta un’Italia dimenticata e indifesa, ricordandoci che non serve fare rumore per diventare eroi delle piccole cose.
Recensione:
Ci sono libri che, una volta terminati, si lasciano dietro un po’ di malinconia e tante domande. Sono quelli dove non accettiamo come sono andate le cose, come si sono risolte, come non si sono risolte e, alla fine, semplicemente ci arrendiamo di fronte a una realtà che soffoca ogni tentativo di ribellione. Quei libri, come quello di Cavalli, per cui si desidera un finale diverso degno delle persone che lo hanno accompagnato, ma che senza quel finale in sé non sarebbero mai stati quei libri.
Questo paese funziona come una ferrovia: se esci dai binari rischi di fare il botto. E allora tutti in fila indiana: un paese con il coraggio di una gita delle scuole elementari.
Cavalli è uno scrittore coraggioso, come lo erano tutti una volta, e ci parla di mafia. Ma per essere coraggiosi bisogna esserlo per intero, non a metà, e così ci racconta una storia vera. Quella di Michele Landa, la sua famiglia, e la malavita. Malavita perché rende la cosa più genuina e legittima, la vita, in qualcosa che di genuino non ha nulla, il male.
 
Siamo nati male, Michele, siamo nati qua che alla fine nemmeno i sogni sanno correre, sudati come siamo.
Vivere è semplice, dicono alcuni, e il come è una scelta. Una scelta che si basa sul dove si vive, forse. Lo sa bene Michele che, sin da quando è diventato orfano, vive con il nonno a Mondragone che gli ha insegnato la cautela. La cautela è lavorare tutto il giorno, sgobbare, come si dice, tornare a casa con le mani in tasca, la testa chinata, la paura di essere felici, la paura di sognare. Glielo dice Rosalba, la silenziosa, quel giorno al lago: non aver paura di essere felice, lasciati andare. Ma ci vuole cautela anche per quello, rimanere sul chi va là, prevenire un dolore di una perdita se non la si conosce quella felicità.
Michele, tu sei un ragazzo intelligente e bravo, e ci hai preso tutto il cuore si tua madre e la scorza di tua nonna, ma questa nostra terra non è un allevamento di animi nobili o di cavalieri. Questa è la terra dei ladri che non vedi mai rubare, degli assassini che ci mangi allo stesso tavolo in osteria e dei diavoli che ognuno ha in corpo. E qui, da noi, qui il tavolo si sente più libero di passeggiare. Questa è una terra che va abitata in punta di piedi, Michele, va abitata in silenzio, qui le brave persone per difendersi diventano invisibili, Michele, in-vi-si-bi-li.
Una cautela che chi non abita lì può prendere come codardia, e chi abita lì e si rifiuta può andare via, scappare. Ma per quelli come Michele il massimo del coraggio è rimanere lì, non diventare orfano anche del paese natale. Lui ma anche quel ragazzone ripetente del suo amico Massimiliano, il fratello mai avuto, e la “silenziosa”. Rosalba gli ruba il cuore in tutto quel marcio – ha ragione Massimiliano, ci vuole una pioggia di due anni per lavar via tutto per bene, lì a Mondragone -, e lui la sposa, quel giorno al lago si promettono di farsi stare bene per il resto della vita. Lei di poche parole ma saggia e amorevole, anche con i loro quattro figli. Lui con la sua prudenza che in mezzo a tutto quella illegalità insegna ad Angela, Antonio, Andrea e Giovanni, l’onestà, una vita da eroi senza mantello, eroi di vita.
Il loro amore è un amore antico, se lo ripetono tutti i giorni, perché è tra persone che sono cresciute imparando ad aggiustare le cose senza buttarle.
 
Perché Cavalli ci racconta anche questo: la crescita. Quando tutto cambia senza cambiare mai. Quando il tempo passa ma la cautela è ancora la miglior cosa. Quando si ha lavorato un’intera vita e non si desidera altro che la pensione.
Il nostro riposo è la pensione. Il nostro porto è la pensione.
E infatti quello era l’ultimo giorno di lavoro per Michele, la guardia giurata, mancavano poche ore e finalmente avrebbe passato il resto della vita a coltivare i campi con la nipote, Michelina, a bere il caffè al mattino con Rosalba, la “silenziosa”. La stessa che quell’ultimo giorno squarcia il mattino urlando il suo dolore, la sua mancanza, per poi tornare di nuovo silenziosa.
L’attesa la invecchia, il tempo si trascina pesantemente, Michele non tornerà  più. Michele è stato ucciso e il suo corpo è stato bruciato.
C’è un momento nella vita di ognuno, uomo o donna, in cui si perde l’innocenza. E’ questione di un attimo, e magari non lo prendi nemmeno sul serio: capisci il tariffario dei valori e quanto sia normale toglierli dal cassetto in cui li tenevi chiusi a chiave. Capita a tutti. Capisci che costano, i valori: anche tenerseli costa. Qui in paese in questi anni è costato a tutti.
Ma perché?, mi sono chiesta io. Cos’ha visto, che ha detto, mi chiedevo subito dopo. Sono domande legittime che chiunque avesse letto il libro di Cavalli si sarebbe fatto. Cavalli che ci racconta una storia vera, anche se romanzata, a tratti poetica, e tra le righe ci fa leggere la crudeltà della mafia. Sempre tra le righe si legge la paura di ogni uomo o donna che sono costretti alla cautela nella vita, ma tra una fessura e l’altra, tra una lettera e l’altra, si legge anche di speranza. La speranza di una vita migliore, la felicità nel proprio piccolo, quella senza timore.
Giulio Cavalli ha scritto un libro importante, uno di quelli che gli adulti devono leggere per poter spiegare ai figli le cose, in attesa che loro vogliano farlo da sé.
– Sì papà, il discorso mio era un altro: vedi che alla fine i buoni perdono e i furbi vincono? –
– Non è detto. Bisogna tirare le somme alla fine… –
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