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Scrivere

Impara dalla Mafia

E’ il titolo di un libro edito in Europa (in Italia pubblicato da Rizzoli col titolo: ”La regola del Padrino. Lezioni di Cosa Nostra per i business“). Marco Nurra me ne aveva parlato su twitter mentre se l’era ritrovato tra le mani in aeroporto. Del favoreggiamento culturale alla mafia ne avevamo già parlato qui e ora il dibattito continua sul blog di MarcoE infine l’amara constatazione che ‘Mafia‘ è un marchio che all’estero vende, un po’ come il famoso e ormai privo di significato ‘Made in Italy‘.  Al mio ritorno a Madrid ho scoperto che il libro di Ferrante è in bella vista un po’ ovunque (e io sono di quelli che entrano in tutte librerie che incontra). Mi chiedo che visibilità abbiano dato a questo libro in Italia, pubblicato da Rizzoli col titolo: ”La regola del Padrino. Lezioni di Cosa Nostra per i business“.

Qualcuno l’ha visto in libreria? Cosa ne pensate dei prodotti culturali che ammiccano alla Mafia?

Il resto qui.

Mi ripeto, il giorno che finalmente riusciremo a scrivere e sancire il reato di favoreggiamento culturale alla mafia forse ci sentiremo tutti più civili.

(E intanto il libro IL CASALESE lotta contro la censura che vorrebbe imporre Nicola Cosentino, per dire).

 

BeppeGrillo.it intervista Giulio Cavalli sul libro L’INNOCENZA DI GIULIO

da il Blog di Beppe Grillo

Tra la politica e la criminalità organizzata c’è, sin dai tempi dell’Unità d’Italia, una neppure tanto celata familiarità. Di solito vi è un triangolo formato dal Politico Inconsapevole, dal Tramite, un’interfaccia in apparenza rispettabile che fa da garante agli accordi, e da uno più esponenti mafiosi. Il finale è più o meno sempre lo stesso. Il Tramite finisce in galera o morto ammazzato come Totò Cuffaro e Salvo LIma, il mafioso si prende uno o più ergastoli, come Totò Riina e Provenzano e il Politico Inconsapevole, dopo aver gridato ai quattro venti la sua estraneità e innocenza, fa carriera. Una volta c’era Andreotti, ora ci sono i suoi figli e nipoti. Attenzione si scindono e si moltiplicano. Piccoli Andreotti crescono.

Intervista a Giulio Cavalli, scrittore, autore e attore teatrale

Un boss qualsiasi
“Ciao a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Giulio Cavalli, autore, scrittore e attore teatrale. Mi occupo di criminalità organizzata, mi occupo di mafie e corruzione, anzi mi occupo di mafia e politica perché mafia e politica in molti aspetti sono simili e poi, in fondo, sia la mafia che la politica noi possiamo non occuparci di loro ma loro inevitabilmente si occupano di noi.
Vorrei parlare del valore e dell’opportunità nell’analisi politica partendo da un personaggio su cui abbiamo sentito di tutto. Una discussione che molto spesso abbiamo deciso di delegare al Giovanardi di turno oppure a quelle tribune politiche dove si decide solo da che parte stare, tra colpevolisti e innocentisti. Lui è Giulio Andreotti ed è in fondo il protagonista politico di questi ultimi 50 anni. Il processo Andreotti dovrebbe essere un bigino, dovrebbe essere nelle cartelle, nei zaini degli studenti insieme al libro di geografia o di storia. Perché il processo Andreotti fondamentalmente ci racconta non solo l’innocenza del senatore a vita ma quanto e se siamo stati innocenti noi in questo paese e quanto siano stati innocenti i meccanismi democratici. All’interno del processo Andreotti, così come nel processo Dell’Utri e in molti altri processi che per via giudiziaria sono finiti con una prescrizione, che è molto diversa da una dichiarazione di innocenza, contiene dei fatti riscontrati, provati, addirittura confessati dall’imputato. E allora bisognerebbe pensare quanto possa un Paese essere degno rimanendo ancorato a meccanismi giudiziari che, a differenza di quello che ci vogliono far credere, sono ben diversi dai valori dell’opportunità.
Quanto è stato opportuno Giulio Andreotti che si è seduto fino alla primavera del 1980 con gli uomini della mafia? Quanto può essere opportuno un uomo di governo che ha attraversato la Prima Repubblica e la Seconda Repubblica e che forse riuscirà a vedere anche la Terza, che ha deciso che Cosa Nostra fosse un ottimo strumento per gestire il consenso e controllare il territorio, proprio come un boss qualsiasi, semplicemente in giacca e cravatta con una credibilità istituzionale e mondiale ben diversa da quello che può essere il boss di questo o di quel rione in Sicilia o in Calabria. Il processo Andreotti ci racconta che ormai ci siamo disabituati a separare il valore della opportunità dal valore della verità giudiziaria, nello stesso Paese in cui Pertini, ma anche Paolo Borsellino, persone politicamente e partiticamente molto diverse tra di loro, ci avevano insegnato che le ombre non erano tollerabili, in un Paese che è diventato bravissimo a essere intollerante con diverse forme di diverso e che invece sembra che non riesca più a essere intollerante con una classe politica che ci racconta che ha incontrato un mafioso ma non ne sapeva nulla, che per caso è capitata in una riunione tra boss ma non se ne era resa conto. Oppure che aveva fatto in modo inconsapevole a sua insaputa un piacere a questa e a quella famiglia.

Andreottismo oggi
Io credo che sia importante partire da Andreotti per chiedersi quanto oggi l’andreottismo funzioni, perché relegare la vicenda del processo Andreotti solo al divo Giulio è il modo più semplice per continuare a permettere alla politica di essere oscena, cioè fuori scena, lo dice bene Scarpinato in un suo libro “Il ritorno del principe”.
Gli Andreotti di oggi sono i politici che si sono serviti o che continuano a servirsi delle mafie per accelerare la loro carriera o per avere protezione in un Paese in cui corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono tre sorelle di un comune denominatore. Sarebbe il caso di provare a leggere in modo intellettualmente onesto ciò che è scritto nelle carte del processo Andreotti perché diventa urgente accorgersi degli andreottismi, che funzionano e che continuano a funzionare, e riconoscere chi sono oggi i figli di Andreotti. E quanto sia tollerabile al di là della prescrizione, al di là di una Cassazione come nel caso di Dell’Utri che decide che il processo debba ritornare in appello, quanto sia tollerabile sapere che questo o quel politico si sia seduto al tavolo della criminalità organizzata e abbia fatto da ponte, lui garante con le istituzioni.
Chiedersi se non sia il caso di diventare intolleranti, ma intolleranti sul serio, per dichiarare una volta per tutte che ci sono dei limiti che non possono essere superati e ci sono dei comportamenti che non possono essere accettati in un Paese civile. Stupisce della vicenda Andreotti che in fondo il suo processo sembra una favola, una favola strana perché, se ci pensate quasi tutti i cattivi che giravano intorno alla favola più o meno sono stati fotografati mentre bussavano alla sua porta. E però in fondo tutti i cattivi sono finiti abbastanza male, chi arrestato, chi morto ammazzato come i suoi solidali siciliani. E invece, molto spesso, i collegamenti e quindi gli uomini prestati alla politica e forse fratelli della criminalità organizzata sono sempre riusciti a salvarsi, non solo dalla giustizia ma anche nella memoria, nel giudizio morale di questo Paese. E verrebbe da chiedersi perché Dell’Utri sia riconosciuto e ricordato a Milano come un grande esperto di libri antichi, oppure Cosentino non debba essere visto come uomo endogamico ai casalesi prestato alla politica, ma debba essere un’altra vittima di magistratura o di un’opinione pubblica feroce che ha tentato di cannibalizzarlo. E nello stesso Paese in cui improvvisamente Totò Cuffaro, scaricato chissà se dalla mafia o dalla politica, invece si è ritrovato a pagare pegno, nonostante sia in ottima compagnia perché è visitato regolarmente da Pier Ferdinando Casini che riesce ad avere questa grande scissione, comune a molti della nostra classe politica, per cui i meccanismi morali e i meccanismi etici non debbano per forza coincidere con i meccanismi politici.

Le decisioni politiche della criminalità organizzata
Colpisce come molto spesso che le decisioni politiche (anche qui in Lombardia è successo) sono state prese dalla criminalità organizzata prima ancora della politica. E’ una criminalità organizzata che ha già dimostrato di essere politicamente molto più illuminata, è il caso ad esempio di Massimo Ponzoni,
il segretario dell’Ufficio di presidenza di Regione Lombardia, segnalato nell’operazione “Crimine infinito” e in alcune altre informative come molto vicino alle famiglie che contano della ‘ndrangheta brianzola. Stupisce che nelle elezioni del 2010 in una intercettazione alcuni uomini della ‘ndrangheta dicono che ormai non è più affidabile. E invece la politica nel 2012 non riesce ancora a sfiduciarlo e deve intervenire la magistratura e ancora oggi nella politica c’è qualcuno invece che si erge a difensore. Trovo molto andreottiane alcune intercettazioni che avvengono in Lombardia dove la mafia non esiste, di alcuni uomini di ‘ndrangheta che dichiarano di avere comprato questo o quel terreno che verrà sicuramente rivalutato e si vedrà modificata la destinazione d’uso in previsione di Expo, mentre Expo e la definizione dei terreni in realtà non passa ancora alla discussione degli organi di democratici, quelli eletti. Oppure dovrebbe colpire come negli ultimi casi di corruzione siano stati coinvolti non assessori, e quindi non gente nominata classe dirigente, ma ex assessori, semplicemente appartenenti a correnti importanti di questo o di quel partito che dimostrano di aver preso decisioni o almeno di aver fatto credere di poter prendere delle decisioni passando dagli uffici tecnici di assessorati diversi. Dimostrando una volta per tutte che probabilmente esistono degli interessi sotterranei e collaterali che riescono ad attraversare gli uffici che utilizzati legalmente invece ci richiederebbero tantissimo tempo e tantissime votazioni. E allora se, come nel caso di Andreotti, ogni tanto la mafia sembra sapere già quali sono le decisioni della politica, ci sono secondo me due ipotesi: la prima, quella meno preoccupante, anzi quella assolutamente più ottimista, è che la criminalità organizzata sappia con un canale preferenziale le informazioni della politica prima dei cittadini. La seconda invece, molto più preoccupante, che sia ispiratrice delle decisioni della politica. Quanto questo sia declinabile nel caso di Andreotti o nel caso di tanti piccoli Andreotti che imperversano in questo Paese poi io credo che stia alla decisione e alla consapevolezza di ognuno.”

Cultura tra chi legge e chi scrive

Ed ecco qua il nervo scoperto, il punto dolente, l’ambiguità su cui sguazza da anni tutta una serie di falsi creatori di cultura. Un’ambiguità in cui credo e spero che sia caduta anche lei, inconsapevolmente. Per essere “riconosciuto come evento culturale” l’aspetto commerciale non deve riguardare la scrittura, ma la lettura. Fare business sulle legittime ambizioni di chi scrive non è cultura. Si fa cultura quando si riesce a vendere un libro, a far leggere un libro. Quando qualcuno investe qualcosa per acquistare la storia di un’altra persona per farsi da questa intrattenere, quando c’è una trasmissione di pensiero. Pensate che sia interessante fare un festival per scrittori esordienti? Va benissimo, è un’ottima idea. Ma se vogliamo che abbia una rilevanza culturale rivolgiamoci a chi legge e non approfittiamoci dei sogni di chi scrive.

Manuele Vannucci di Intermezzi Editore scrive all’assessore alla Cultura del Comune di Firenze Cristina Giachi. E in fondo la lettera vale per qualche centinaio di editori troppo furbi e di scrittori mal consigliati.

Il giocatore viene privato del gioco. Grazie.

Sul regolamento di un circolo di minigolf si legge: Il comportamento indisciplinato e con maleducazione, o danneggiando la mazza o l’impianto, il giocatore viene privato del gioco. Grazie. La Direzione.

[Stefano Bartezzaghi, Non ne ho la più squallida idea, Milano, Mondadori 2012, p. 55]

Pericle secondo Brecht

L’analfabeta politico

Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico
Egli non sente, non parla, né s’interessa
degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli
del pesce, della farina, dell’affitto
delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.
L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.
Non sa l’imbecille che
dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato, l’assaltante
e il peggiore di tutti i banditi
che è il politico imbroglione,
il mafioso, il corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertoldt Brecht

L’innocenza di Giulio (con Nando), il libro, si comincia

Sono molto contento dei primi giorni del libro L’innocenza di Giulio. Per i pareri con cui è stato accolto e per il calore di chi l’ha letto. E, con questo libro, abbiamo provato a rendere “pop” una storia che è quella di Giulio Andreotti ma in fondo è la storia di un Paese. Con i meccanismi (o gli andreottismi, se vogliamo chiamarli così) che si perpetuano più forti della memoria. Ora il libro cominciamo a portarlo nelle piazze, nei paesi, nelle piazze perché sia la scintilla che accende la discussione e perché finalmente se ne parli non solo nelle arene televisive. Perché si riporti la storia per terra, togliendole la maiuscola e appropriandocene.

Domani, giovedì 5 aprile,  sono a Crema Sala conferenze Camera del lavoro in via Carlo Urbino 9. Con me Antonio Grassi, Responsabile Redazione di Crema del giornale “La Provincia” e Franco Gallo, dirigente scolastico del Liceo Scientifico di Crema.

L’11 aprile saremo invece a Milano, Libreria Feltrinelli di Piazza Piemonte 2, alle 18.30. Con me ci sarà Nando Dalla Chiesa (Presidente di Libera e coordinatore del Comitato di esperti del Comune di Milano). 

Vi aspetto.

Le minacce, i Cosco e Lea Garofalo: il dito e la luna

Voglio spendere un secondo per ringraziarvi tutti. Per la vicinanza di Nichi, Giuliano, Chiara, Stefano, Pippo, Sonia e tutti gli altri rappresentanti delle istituzioni. Ora raccogliamo le idee e ripartiamo con il nostro lavoro cercando sempre di essere seri e con impegno ordinario. Ci fermiamo per raccogliere i pezzi perché questi ultimi mesi sono stati i più difficili di questi anni anomali. Non guardiamo il dito: il processo Garofalo è stato coltivato dai tanti giovani della Milano migliore. Godiamoci la luna. Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato un evento pubblico grazie a molti giovani. Per ora, quello che mi sentivo in dovere di dire l’ha scritto bene Il Fatto Quotidiano nell’intervista che incollo qui. Buone giornate.

Le minacce dai Cosco prima degli ergastoli Cavalli: “La città non può più tollerare”

I fratelli accusati di aver ucciso e sciolto nell’acido Lea Garofalo poco prima del verdetto hanno gridato allo scrittore e attore: “Perché scrivi che siamo mafiosi? Sei un cornuto e un infame”. Lui risponde: “Quello che importa di questo processo è che da un fatto privato è diventato a un evento pubblico grazie a molti giovani”

“In gioco non c’è la solidarietà a me, ma capire che una città  può farsi carico di un processo. Questo è successo in questo processo grazie ad alcuni giovani e di questo dobbiamo ringraziarli. Dall’altra parte c’è un atteggiamento di impunità che questa città non può più tollerare”. Le minacce e gli insulti ricevuti da Carlo Cosco, pochi minuti prima che questi fosse condannato all’ergastolo per l’omicidio della compagna, non intaccano neanche un po’ il pensiero di Giulio Cavalli. L’attore, scrittore e consigliere regionale di Sinistra e Libertà in Lombardia, ieri si è presentato in tribunale a Milano per ascoltare il verdetto. Oltre a lui il presidente di “Libera”, don Luigi Ciotti e del sociologo Nando Dalla Chiesa, figlio del generale Carlo Alberto, ucciso dalla mafia e che da trent’anni denuncia la presenza dei clan al nord. Ma anche i giovani ai quali si riferisce Cavalli: i ragazzi di Libera che hanno spesso seguito le udienze del processo e gli studenti universitari di Dalla Chiesa.

Cosco e gli altri 5 imputati (poi tutti condannati all’ergastolo) lo hanno riconosciuto attraverso le sbarre delle gabbie dove erano chiusi in attesa del verdetto che li ha ritenuti colpevoli di aver torturato, ucciso e sciolto nell’acido una donna di 35 anni, Lea Garofalo, perché collaborava con la giustizia. In particolare è stato proprio Carlo Cosco, ex compagno della Garofalo, a realizzare che fosse Cavalli. Così ha rotto il silenzio del tribunale: “Perché scrivi sui libri che siamo mafiosi?” ha gridato. Poi la risposta, data però da uno dei fratelli di Cosco, pure lui a processo e pure lui condannato: “Scrivi perché sei un cornuto e un infame”. ”Io non l’avevo nemmeno capito cosa stava gridando – racconta Cavalli – Me l’ha detto la scorta. Ha urlato anche a Nando, anche se senza minacce”. “Mi ha colpito – continua – che sia stato proprio Cosco a fare una cosa del genere, perché è sempre stato il “gestore” della cella, ha sempre ricoperto questa funzione di capo, anche nella postura. Lo ha fatto anche ieri, tra l’altro cinque minuti prima di essere condannato all’egastolo”.

Quindi, lasciando perdere la solidarietà, “l’aspetto da sottolineare è l’atteggiamento di impunità di queste persone – spiega – che pensano, con un’aula piena di forze dell’ordine e quasi davanti a in giudice, di fare una cosa del genere. A livello personale, poi, ho scritto di Cosco, ma ho scritto anche di molti altri. In effetti ho trovato curioso che mi abbia riconosciuto subito, ma può essere legato al fatto che sono stato il promotore della borsa di studio per Denise”.

Denise Cosco è la figlia di Carlo Cosco e Lea Garofalo: nel processo concluso ieri si è costituita parte civile e ha ottenuto un risarcimento di 200mila euro. Regione Lombardia sosterrà le spese per gli studi di Denise dopo l’approvazione della mozione approvata in consiglio dopo essere stata presentata proprio da Cavalli.

A lui oggi sono arrivate le parole di sostegno di Nichi Vendola, il leader del suo partito: “Caro Giulio, stiano tranquilli i vigliacchi che dopo aver ucciso in modo bestiale e sciolta nell’acido Lea Garofalo, ora se la prendono con te minacciandoti ed insultandoti pesantemente”. “Lo devono sapere chiaramente questi vigliacchi che non sei solo – prosegue Vendola – Le persone oneste, del Nord e del Sud che in questi anni hanno lottato e lottano contro le mafie, sono una moltitudine immensa. Che nessuno di questi vigliacchi si permetta di alzare la voce o un solo dito. Sono certo che le istituzioni del nostro Paese impediranno ulteriori minacce nei tuoi confronti. Nella lotta alla criminalità organizzata e alle mafie lo Stato non può abbassare la guardia: nelle settimane scorseGiovanni Tizian, ieri Giulio Cavalli, e insieme a loro tanti altri giornalisti minacciati quotidianamente. Non possiamo permettere questo stato di cose. Ci auguriamo che dal ministero dell’Interno e dall’intero governo venga un impulso maggiore. A Giulio l’abbraccio piu’ fraterno di tutti i compagni e le compagne di Sinistra Ecologia Libertà”. Al consigliere e scrittore anche il messaggio dei blogger di enricoberlinguer.it: “Siamo tutti cornuti e infami”.

Il sindaco di Milano Giuliano Pisapia definisce l’accaduto “vile e vergognoso”. “A Giulio – continua – la mia solidarietà per un attacco di stampo mafioso da parte di chi sa che, a Milano, la violenza criminale è stata sconfitta e che, nè adesso nè in futuro, potrà avere spazio alcuno e per questo è ancora più bramosa di vendetta nei confronti di chi tutti i giorni combatte la criminalità. Giulio non ha mai smesso di denunciare le infiltrazioni mafiose anche al Nord”. “Attacco mafioso violento e inqualificabile” dice il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni. “Le minacce contro di lui – aggiunge – sono vergognose e devono essere stigmatizzate con forza da tutti”.

Cavalli incassa il sostegno, ma riporta al nodo vero della questione: “Sul processo Cosco è stato fatto un lavoro straordinario dei giovani e di Libera grazie al quale un processo che altrimenti sarebbe stato celebrato come per un fatto privato sia diventato un evento pubblico, di un’intera città. Di questo dobbiamo ringraziare questi giovani”.

Il libro ‘L’innocenza di Giulio’ secondo la libridine di Articolo 21

”Conoscere il processo Andreotti ci insegna a riconoscere la politica che tenta in tutti i modi di legittimare l’illegalità”…
“L’assoluzione più colpevole d’Italia”. Così Giulio Cavalli, scrittore, autore teatrale e consigliere regionale in Lombardia per Sinistra ecologia e libertà, definisce il “caso Andreotti”, al centro del suo ultimo libro “L’innocenza di Giulio” nelle librerie da oggi per l’editore Chiarelettere.  ”Conoscere il processo Andreotti ci insegna a riconoscere la politica che tenta in tutti i modi di legittimare l’illegalità – spiega Cavalli al Fattoquotidiano.it – Soprattutto capire che la storia di questo Paese è negli atti giudiziari, nei fatti che sono stati riscontrati, nei fatti che sono stati raccontati e su cui non possono esistere dubbi”.

Nel 2011 Cavalli porta in scena uno spettacolo teatrale – “L’innocenza di Giulio. Andreotti non è stato assolto” – uno spettacolo-monologo in cui testimonianze, deposizioni e lettura degli atti giudiziari si alternano per raccontare il processo per mafia che ha coinvolto una delle figure politiche più controverse della politica italiana. “Tutto parte da una cena con il procuratore Gian Carlo Caselli e con Carlo Lucarelli – racconta ancora l’autore, milanese, classe 1977 – In quel momento decidemmo che non potevamo lasciare il racconto della vicenda Andreotti a chi continuava a dire che il politico sette volte presidente del Consiglio era stato assolto nel processo per mafia”. Perché, “se si ripete una bugia infinite volte alla fine si riesce anche a trasformare in una verità storica qualcosa che in realtà non è mai avvenuto”. E quello che non è mai avvenuto è proprio l’assoluzione di “Belzebù”.

Tutti ricordano la giovane e allora sconosciuta avvocato Giulia Bongiorno chiamare l’illustre cliente gridando “Assolto! Assolto!”. Molti meno ricordano che nella sentenza d’appello, emessa dal tribunale di Palermo nel 2003 allora guidato da Gian Carlo Caselli, Andreotti viene riconosciutocolpevole del reato di partecipazione all’associazione per delinquere con Cosa Nostra, “concretamente ravvisabile fino alla primavera 1980″, reato però “estinto per prescrizione”. Una versione confermata anche dalla Cassazione. Altro che innocente. La sentenza della Corte d’Appello di Palermo è lapidaria: “Andreotti ha avuto piena consapevolezza che i suoi sodali siciliani intrattenevano amichevoli rapporti con alcuni boss mafiosi; ha quindi coltivato, a sua volta, amichevoli relazioni con gli stessi boss; ha palesato agli stessi una disponibilità non meramente fittizia, ancorché non necessariamente seguita da concreti, consistenti interventi agevolativi; ha loro chiesto favori; li ha incontrati; ha interagito con essi”.

Per quella sentenza il giudice Caselli, che firma la prefazione al libro, fu escluso dalla nomina a procuratore nazionale antimafia con una norma specifica ribattezzata “contra personam”. Ora Giulio Cavalli con il suo ultimo lavoro segue un sogno: “Quello – spiega – che dopo aver visto lo spettacolo, le persone sentano il desiderio di documentarsi e per questo comprino il libro”. Un libro contro “l’innocenza di un Paese che si ostina a dimenticare il passato”. Un libro per “interessarsi al presente”.

23 marzo 2012 da ARTICOLO21

Il Casalese non ama i libri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

Nicola Cosentino (anzi, i suoi famigliari per la precisione) ha intentato una causa penale e civile agli autori e all’editore del libro Il Casalese – Ascesa e tramonto di un leader politico di Terra di Lavoro. L’accusa è di aver leso l’immagine dell’azienda di famiglia. Si chiede il ritiro del volume dalle librerie e un milione e 200mila euro di risarcimento danni. Quel libro (che oggi ancora di più vale la pena di leggere e comprare) è l’unica biografia non autorizzata dell’ex sottosegretario salvato dal servilismo bipartisan di un parlamento garantista con i potenti e macellaio con i poveri. Quel libro è il simbolo oggi del giornalismo che decide di scrivere il fatto che sarebbe meglio oltrepassare, di fare quel nome che porta solo guai e di non essere compiacente. Mai.

Scrive uno degli autori, Ciro Pellegrino, sul suo blog:

Sostanzialmente Cosentino (il fratello) ritiene che il libro abbia un «intento denigratorio» tale da far affermare coscientemente il falso ai giornalisti che l’hanno scritto. Nella richiesta di distruzione e risarcimento si citano una serie di vicende raccontate ne “Il Casalese”: vicende rispetto alle quali gli autori dei capitoli in questione sono pronti a confrontarsi e lo faranno, pubblicamente.

Due spaventi, dicevo. Ma non ho spiegato perché sono ottimista sulla seconda vicenda: perché l’angoscia che lorsignori possono arrecarci con fiumi d’atti giudiziari e risarcimenti milionari  è in parte compensata dalle tante domande durante le presentazioni, dalle mail dei ragazzi, dall’interesse verso quella che –  dotti medici e sapienti se ne facciano una ragione – è semplicemente un’inchiesta giornalistica.  Spero che quest’interesse cresca.

Già: nessuno di noi ha la presunzione di poter parare tutti i colpi che arrivano (e arriveranno). Per questo motivo mi (ci) scuserete se oggi anziché raccontare la notizia, la notizia siamo noi, i giornalisti autori del Casalese. E ci scuserete se chiediamo attenzione sulla nostra vicenda. Consapevoli del giusto diritto di chiunque a veder rettificati errori lesivi della propria dignità e reputazione, al tempo stesso altrettanto coscienti dell’onesto e diligente lavoro di documentazione e scrittura intorno a questo libro, non certo operazione commerciale né politica, visto che a editarlo è una piccola casa editrice di Villaricca, popoloso comune alla periferia Nord di Napoli, a cavallo fra il capoluogo  e il Casertano.

Ci scuseranno anche gli amanti dell’anticamorra-spettacolo: non siamo abituati, abbiamo fatto solo i giornalisti. Ma in Italia da giornalista a imputato il passo è breve, troppo breve.

Fuori dal Parlamento però, le carte e le ragioni non sono secretati. Per questo gli autori e l’editore hanno deciso di organizzare due eventi per dire a gran voce le proprie ragioni e sostenere le proprie tesi.

– Martedì 27 marzo, alle 9.30, a Napoli presso la sede dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, in via Cappella Vecchia, 8. Oltre all’editore e agli autori, parteciperanno: Ottavio Lucarelli, presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania; Lucia Licciardi, consigliere dell’Associazione napoletana della stampa.

– Giovedì 29 marzo, ore 17, a Roma, presso la FNSI in Corso V. Emanuele II, 349 . Parteciperanno insieme agli autori il presidente della FNSI, Roberto Natale, e il presidente dell’Associazione napoletana della stampa, Enzo Colimoro.

Questa volta il dibattito è pubblico. E da pubblicizzare.

Quando un uomo non ha il coraggio di resistere alla corrente, di bandire apertamente la verità e di sostenere contro tutti, anche contro il proprio interesse, la giustizia, smetta la penna, perocché la audace e tempestosa milizia del giornalismo non è fatta per lui. Quando voi obbliate che lo scrittore, poeta o giornalista, esercita un sacerdozio, non un traffico, che a lui è principalmente affidato l’educazione e il miglioramento della società, che la civiltà d’un popolo sta in diretta ragione della moralità della sua stampa; quando obliate tutto ciò per l’aura d’un giorno, per la limosina d’uno scudo, allora lasciate anche che vi dica che non v’è opera nefanda che uguagli la vostra, e che io, Potere, vi rizzerei tutti quanti sopra una gogna, affinché le moltitudini conoscessero chi ha loro ritardato i giorni della rivendicazione della giustizia. (Giuseppe Guerzoni)

Cavalli e l’innocenza di Giulio. “La mafia? Senza politica non esisterebbe”

di Lorenzo Lamperti  (da Affari Italiani)

Giulio Cavalli, consigliere regionale Sel in Lombardia oltre che scrittore e autore teatrale, parla conAffaritaliani.it di mafia, politica e legalità: “Non si deve guardare solo alle colpe  penali, in Italia c’è bisogno di un ritorno a un codice morale. La vera legalità non è quella delle leggi che vengono spostate un po’ più in là ogni anno per salvare il politico di turno”.

Dice la sua su concorso esterno e concussione: “Altro che limitarli, io li rafforzerei. Penso, per esempio, al reato di favoreggiamento culturale”. La mafia che rapporto ha con la politica? “Non esisterebbe senza di lei. E oggi le mafie sono in ottima salute…” E presenta il suo nuovo libro “L’innocenza di Giulio”: “Dire che Andreotti è innocente, significa dire che è innocente tutta l’Italia degli ultimi cinquant’anni. Che cosa mi fa paura? Il pensiero di come sarà ricordato dai nostri figli. Senza le giuste chiavi di lettura non sapranno riconoscere gli Andreotti di oggi”.

L’INTERVISTA

Che cosa ha rappresentato e che cosa rappresenta Giulio Andreotti per il nostro Paese?

“Rappresenta un metodo sperimentato di fare politica. Un metodo che ha dimostrato di produrre grandi risultati, peraltro. Circoscrivere il fenomeno Andreotti a Giulio Andreotti significa un tentativo, in malafede, di personalizzare una storia che invece è tutta italiana”.

Il tuo libro contiene già dal titolo un riferimento al discostamento dalla realtà dei fatti per quanto riguarda Andreotti. Si parla di innocenza quando invece, come scrive anche il procuratore capo di Torino Caselli nella prefazione, i suoi reati sono stati prescritti. Credi che questo sia un elemento sconosciuto ai più?

“Ma sì, credo che se chiedi in giro nove persone su dieci non sanno come sono andate realmente le cose. Il processo parla di fatti storici, documentati. Questi fatti non devono per forza corrispondere a colpe giudiziarie ma sono parte della storia di questo Paese. Il problema però è che sono stati sempre trascurati, perché si è preferito fare la guerra tra schieramenti partitici diversi. Anche qui assolutamente in malafede. Il problema non è se Andreotti sia innocente o colpevole di fronte al codice penale e al codice di procedura penale. Il problema vero è un altro: l’Italia ha voglia di reimparare a esercitare il diritto e il dovere di valutare le opportunità? Cioé, ha voglia di diventare intollerante non solo con gli albanesi e i rom ma anche con i politici inopportuni? Questo libro cerca di risvegliare quel senso. Io non mi permetterei mai di giudicare gli elementi giudiziari, anche perché credo che gli atti parlino già da soli e non abbiano bisogno di commenti. Però dal punto di vista etico e penale secondo me c’è tanto da dire su una politica vissuta come sistema che mette in collegamento pezzi più o meno legali di questo Paese. Su questo la riflessione è dovuta”.

Nel tuo libro parli da una parte di una tendenza a minimizzare certi elementi, come le cattive frequentazioni dei politici e dall’altra invece di un’altra tendenza la quale porta a dire che Ambrosoli “se l’è cercata”. Credi che queste due tendenze siano prettamente italiane?

“Io credo che all’innocenza di Andreotti hanno aspirato in tanti, non solo lo stesso Andreotti. In fondo l’Italia voleva un grande condono. In fondo, se è innocente Andreotti fondamentalmente è innocente l’Italia di questi ultimi 50 anni. Dover riconoscere che il comportamento di Andreotti è risultato inopportuno significa riconoscere che noi cittadini italiani siamo stati un po’ troppo poco vivi, poco vigili”.

Oggi esistono nuovi Andreotti?

“Io ho scritto il libro perché spero che i miei figli conoscano non tanto Andreotti ma che invece sappiano riconoscere gli andreottismi. Non è un tiro al piccione contro Andreotti. E se per andreottismo si intende sedersi a tavola con gruppi più o meno apertamente criminali e considerarli buoni alleati per gestire il consenso sul territorio allora è meglio stare in guardia da questo pericoloso sistema”.

Secondo te come sarà ricordato Andreotti dalla gente comune?

“Ecco, questa è la cosa che mi fa paura. Noi siamo stati molto bravi nella commemorazione, colpevole da una parte e innocentista dall’altra, ma ci siamo dimenticati di esercitare la memoria. Io mi auguro che ai nostri figli rimangano le chiavi di lettura per porsi delle domande sugli Andreotti di ieri e sugli Andreotti di oggi”.

Quali sono i rapporti tra mafia e politica?

“La mafia senza politica non potrebbe esistere. E oggi le mafie sono in ottima salute. Quindi…”

Tu oltre che un attore e scrittore sei anche un consigliere Sel della regione Lombardia. Proprio in queste settimane abbiamo assistito a una serie impressionante di accuse nei confronti di politici del Pirellone. E d’altra parte la presenza mafiosa è sempre più diffusa. Nonostante questo i cittadini del Nord faticano a pensare alla mafia come a qualcosa di concreto. Come si fa a cambiare questo atteggiamento?

“E’ un compito che spetta a tutti. A noi narratori, ma anche a noi politici. Ecco io ho questo conflitto di interesse… ci si riuscirà a cambiare le cose quando l’argomento mafia non sarà un argomento solo per tecnici ma diventerà un argomento dei più, un qualcosa del quale parlano le sciure al bar mentre giocano a carte. La mafia deve essere un argomento che entra nell’ordinario e che tocchi tutti. Così dimostreremo che corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono le diverse evidenze dello stesso minimo comune denominatore mafioso e assumono forme diverse, anche eleganti, a seconda della regione nelle quali operano”.

A proposito degli intrecci tra mafia e “colletti bianchi”, che cosa ne pensi di un argomento caldo come il reato di concorso esterno in associazione mafiosa?

“Non vado a giudicare le sentenze, però io non solo credo che il reato di concorso esterno debbe essere invece rinforzato, penso anche che bisognerebbe tornare a pensare al favoreggiamento culturale e imprenditoriale alla mafia. Io quindi estenderei la questione a tutti gli ambiti. E poi voglio sottolineare l’importanza del giudizio morale. L’opportunità non è un elemento che si lega al terzo grado di giudizio, ma ne prescinde. L’opportunità è un concetto sul quale in questo Paese è morta gente come Pio La Torre”.

Negli ultimi giorni si è parlato tanto del reato di concussione. Pensi che sarebbe giusto accorparlo a quello di corruzione, rischiando così di pregiudicare il processo Ruby?

“E’ sempre la stessa questione. Io timidamente vorrei parlare di legalità, una parola abusata. Se per legalità intendiamo il rispetto delle leggi anche di quelle non scritte dello stare democraticamente insieme allora mi va bene, ma se parliamo di legalità nel senso di rispetto solo delle leggi scritte in un Paese che le ha spostate ogni mese o ogni anno di un metro un po’ più in là per riuscire a sfamare il potentato di turno allora resto molto perplesso. Bisognerebbe cominciare a essere molto rigorosi: negli atteggiamenti e nelle interpretazioni legislative. Credo che a prescindere dai giudizi della magistratura noi dobbiamo comunque chiederci se in Italia la classe politica e dirigente ha uno spessore etico e morale oppure no”.

Su questi temi come sta operando la giunta Pisapia?

“Mi sembra che abbia alzato l’attenzione e che sia riuscita a trasformare una procedura amministrativa nel germe di una rivoluzione che vuole essere culturale e collettiva”.

Quanto fa paura l’arte alla mafia?

“Caponnetto diceva che il mafioso teme molto di più di essere raccontato piuttosto dell’ergastolo. Di fronte alla