Vai al contenuto

Blog

Scambiare una provincia per un mulino a vento

Anche se di Don Chisciotte in giro se ne vedono pochi (e intanto abbondano i Sancho Panza), il decreto che abolisce le province è uno degli argomenti da bar più caldi dell’estate. E io ho sempre subito il fascino di quei discorsi davanti al primo caffè prima di andare al lavoro perché dentro c’è la rappresentazione e la proiezione che una comunità scorge dietro una legge. Perché i tagli (anche delle province) mettono tutti d’accordo (noi, almeno) ma i criteri, gli obiettivi e il risultato sono “politica”. E forse ci sarebbe qualcosa da rivedere. Ne riflette anche Leonardo Tondelli su L’Unità:

Alla base di molte chiacchiere c’è una competenza geografica data per scontata e che invece tante volte scontata non è. Così ci si scandalizza del fatto che un piccolo centro, Sondrio, continui a esercitare prerogative da capoluogo, ignorando il fatto che per quanto Sondrio possa essere piccolo, il territorio a cui fa capo (la Valtellina) è immenso, e separato dal resto della Lombardia da confini naturali. Non è che non si possano trasferire uffici e competenze a Bergamo, ma rimane da stabilire se sia un risparmio. Per il Tesoro magari sì, almeno nell’immediato; ma per i cittadini? I tagli hanno di buono che sul bilancio si vedono subito: le magagne, i disastri “naturali” che possono derivare da una gestione miope e lontana del territorio, all’inizio non si vedono, e comunque a calcolarli servono mesi, a volte anni. Monti e il suo governo saranno già lontani.

Molto spesso poi chi parla di abolire le province mostra di non riconoscere che un Paese non è soltanto una comunità di persone, ma è anche il territorio in cui queste persone vivono. Il fatto che alcune province, anche vaste, siano poco popolate, non dovrebbe costituire di per sé un motivo sufficiente per eliminarle. La gestione dei fiumi, delle valli, delle strade, deve essere efficace: la risposta alle emergenze deve essere pronta, anche se in quel territorio abitano poche migliaia di persone. Si sa che in altri Paesi i territori poco popolati sono compensati, in sede istituzionale, da una maggior rappresentatività: negli USA anche i grandi Stati del Midwest hanno i loro due seggi al Senato, anche se la loro popolazione è molto inferiore a quella degli Stati sulla costa. È un metodo, certo non perfetto, di riequilibrare grandi territori poco popolati e piccoli Stati fortemente urbanizzati.

La distribuzione della popolazione, in Italia, è molto diversa. Ma spesso chi ritiene inutili le province vive in grandi centri, come Milano o Roma o Napoli, dove a conti fatti la provincia è davvero un doppione, la cui abolizione non sarà affatto rimpianta. Però la stragrande maggioranza degli italiani non vive in questi grandi centri, ma in territori diversificati dove l’organizzazione provinciale dei trasporti pubblici o delle scuole superiori ha ancora un senso. Di queste cose sarebbe bello discutere, non soltanto sotto l’ombrellone, mentre aspettiamo che Monti & co. ci mostrino la nuova cartina delle province italiane. Più che delle risse di cortile, dell’angoscia dei materani costretti a mescolarsi ai potentini, eccetera eccetera.

20120711-084303.jpg

Regione Lombardia e quel bilancio fuori da questo tempo

[comunicato stampa] “È un assestamento di bilancio fuori dal tempo” così Chiara Cremonesi e Giulio Cavalli commentano l’approvazione dell’assestamento di bilancio oggi in Consiglio Regionale “e ancora una volta Formigoni non è capace di rispondere in maniera adeguata a una crisi che dura ormai da troppo tempo, questa volta con l’aggravante di non saper gestire la spada di Damocle dei tagli voluti dal Governo Monti”

“In questa già difficile situazione crea particolare sconforto la totale assenza di provvedimenti a sostegno del lavoro e del’innovazione. In un momento di grave crisi per molte aziende presenti sul nostro territorio, tra cui ricordo Nokia-Siemens (Cassina de’ Pecchi), Riello (Morbegno), o Sisme (Olgiate Comasco), ci sarebbe piaciuto vedere un forte segnale di impulso all’innovazione, per esempio attraverso investimenti nella banda larga visto che ancora 707 comuni su 1546 lombardi ne sono sprovvisti e ci sfugge il perché di un ampliamento del fondo NASKO, palesemente inefficace, anziché un maggior impegno finanziario sulle politiche di genere e sulla conciliazione dei tempi”

“Quanto meno, ora non resta che augurarsi che i due ODG, riguardanti il finanziamento della mobilità ciclistica e la previsione di una normativa regionale contro il consumo di suolo, approvati dal Consiglio Regionale” conclude Giulio Cavalli “non restino solo sulla carta, ma vengano trasposti in atti concreti.”

Il cambiamento virtuoso. Che già succede.

Su Repubblica di oggi c’è uno di quei pezzi che ti allargano i polmoni. Pensi che forse se riuscissimo a cogliere gli esempi che abbiamo saremmo anche tutti più ottimisti. Non ha bisogno di commenti, è solo da leggere e pensare che il cambiamento succede. Non si promette. E bisogna coglierlo.

I primi della classe sono riuniti nell´associazione Comuni virtuosi (da non confondere con la lista ufficiale del ministero dell´Economia degli enti che rispettano il patto di stabilità), nata nel maggio del 2005 con un obiettivo semplice: «Diffondere il buon esempio – spiega Marco Boschini, coordinatore dell´iniziativa – e creare una rete di condivisione delle esperienze mettendo a disposizione delibere e progetti già realizzati per chi vuole innovare». Perché un´altra amministrazione è possibile, anche con la crisi.

Sfogliando l´elenco dei virtuosi, ci si imbatte in Corchiano, 4000 abitanti, in provincia di Viterbo. I vigili girano in bici per inquinare meno, lo scuolabus è alimentato col biodiesel prodotto con gli oli esausti da cucina recuperati dal Comune, la fontana pubblica ha eliminato l´uso di 200 mila bottigliette, le ristrutturazioni degli edifici si fanno solo se migliorano l´efficienza energetica. C´è poi Cassinetta di Lugagnano, in provincia di Milano. Un borgo medievale sul Naviglio grande, 1800 abitanti, che per primo in Italia ha abolito gli oneri di urbanizzazione. «Difendiamo il territorio dalla cementificazione – spiega l´ex sindaco di centrosinistra Domenico Finiguerra – consentiamo solo restauri dei fabbricati esistenti. Per compensare gli incassi mancati, abbiamo tagliato le luminarie di Natale e i fuochi d´artificio. Ci siamo inventati i “matrimoni a mezzanotte” nelle ville del nostro paese. Portano 30 mila euro all´anno».

Far parte del club dei migliori comuni d´Italia, però, non è da tutti. Ci sono criteri rigorosi per l´ammissione: avere un livello di raccolta differenziata superiore al 65 per cento, una superficie urbanizzata inferiore al 15, un piano energetico comunale, forme di mobilità alternativa (piste ciclabili, car sharing, piedibus), stili di vita improntati alla sobrietà. Castellarano, in provincia di Reggio Emilia (vincitore nel 2011 del premio “Comuni a 5 stelle” indetto dall´associazione), fa quasi vergognare per quanto è perfetto. L´impianto fotovoltaico pubblico da un megawatt è stato realizzato su una vecchia discarica dismessa, evitando spreco del suolo. È nato qui uno dei primi Gruppi di acquisto solidale del fotovoltaico. Nelle aree verdi si utilizza il compost per la concimazione, negli uffici pubblici si usa solo carta riciclata e i dipendenti fanno la spesa via web. E non è finita: per gli operai del comprensorio della ceramica è stato messo in piedi un progetto di condivisione dell´auto per ridurre il traffico.

Si dirà che queste esperienze funzionano, ma solo nelle piccole realtà. «Non è così – ribatte Boschini – in Europa ci sono esempi di amministrazioni votate all´ecosostenibilità. Basti pensare a Friburgo, o anche ad alcuni progetti realizzati da Parigi e Londra. Con impegno e coraggio, le cose si possono fare anche a Roma o a Milano». In Italia il Comune virtuoso più grande per ora è Capannori, in Toscana, con 47 mila abitanti. Tra i vari meriti, ha anche quello di aver inaugurato l´era del bilancio partecipativo. I cittadini vengono informati con assemblee pubbliche di tutte le spese effettuate. «Dopodiché – spiega l´assessore all´Ambiente Alessio Ciacci – sono loro, tramite una votazione pubblica, a decidere come utilizzare 500 mila euro che ogni anno riserviamo ad hoc in bilancio». L´anno scorso sono serviti per finanziare la ristrutturazione di alcune scuole, voluta e votata dai cittadini.

A volte per essere bravi amministratori basta una piccola grande idea. A Melpignano nel Leccese il sindaco Ivan Stomeo si è inventato, caso unico in Italia, la cooperativa del fotovoltaico. «Sfruttando i tetti piani delle nostre case – racconta – abbiamo creato una cooperativa che compra gli impianti e li installa sulle case dei soci, gratis. La cooperativa si finanzia con gli incentivi del Conto Energia, chi aderisce ha energia gratis per vent´anni. Finora abbiamo installato una sessantina di impianti». E a Berlingo, nel Bresciano, 2500 abitanti, la giunta ha trasformato una discarica in centro in una struttura polifunzionale alimentata con fonti rinnovabili. Dal letame nascono davvero i fiori.

Rifiutarsi di fare denaro con il denaro

Ne parla Michela Murgia sul suo sito. E credo che sia importante leggerne perché in tempi di moneta lombarda in salsa leghista, esiste qualcuno che ha l’ardore di mettere insieme la finanza e l’etica. E dicono che possa funzionare:

L’idea di Gabriele si chiama Sardex ed è un gioiello di finanza etica. Funziona da soli cinque anni, ma la studiano ormai in tutta Europa. Insieme a lui l’hanno pensata e realizzata suo fratello Giuseppe e i loro due amici Piero e Carlo, che ci hanno messo intelligenza, competenze e passione. Convincere la gente che poteva funzionare non è stato facile. “Le persone sono abituate a pensare che nessuno ti dà niente per niente e che nel commercio vale il detto mors tua vita mea. Abbiamo dovuto dimostrare loro che un’economia è davvero forte e umana solo quando non emargina nessuno e permette a tutti di scambiare valore reale.”

L’idea di Gabriele e dei suoi soci realizza questa visione attraverso un sistema di mercato basato su una moneta complementare all’euro, che permette scambi commerciali anche in assenza di liquidità. La moneta, il sardex, non ha forma fisica: nessuno la stampa, nessuno la scambia, quindi tecnicamente non esiste. Il commercio senza il denaro sembra fantascienza, ma a dimostrare che funziona ci sono centinaia di aziende che negli ultimi anni, specialmente da quando è iniziata la crisi, grazie a questo sistema hanno potuto continuare a scambiarsi il valore del lavoro anche senza avere i soldi per effettuare le contrattazioni.

Se gli chiedo se funziona come un baratto, Gabriele scuote la testa con aria divertita. La mia ignoranza non lo spazientisce. “Se tu fossi un macellaio e ti servisse un’auto, non convinceresti mai un concessionario ad accettare il suo valore in bistecche. Ma se vendendo l’auto a te il concessionario sviluppasse un credito che può essere saldato da altre centinaia di aziende più interessanti per lui, allora l’auto può essere tua. E la carne che a lui non interessa, tu la venderai a un ristorante o a una mensa aziendale aderente al circuito”. Mi sembra chiaro, ma mi metto nei panni del macellaio: che succede se non riesce a ripagare il circuito con la carne? Gabriele mi sorprende ancora una volta con una risposta che di economico sembra non avere niente. “Alla fine dell’anno quello che manca al saldo lo paghi in euro, ma lo paghi al prezzo iniziale di acquisto. Così il circuito ti ha permesso di accedere a un bene che altrimenti non avresti acquistato, ti ha consentito di ripagare una parte del debito con il tuo lavoro ordinario e ti ha dilazionato il resto del pagamento senza interessi”.

Sembra così semplice che viene da domandarsi perché nessuno ci abbia pensato prima, ma Gabriele una sua teoria ce l’ha. È convinto che per realizzare idee simili ci voglia una visione umana ed economica opposta a quella della teoria capitalistica classica, che punta alla competizione selvaggia tra imprese e non alla solidarietà sociale. “Non chiedendo interessi, Sardex rifiuta di fare denaro col denaro, che poi è il modo in cui si arricchiscono i banchieri. Una volta pagato il servizio di affiliazione al circuito, gli scambi tra beni e servizi avvengono gratuitamente e in regime di pareggio. Ma nel capitalismo tradizionale non esiste il pareggio. Chi pareggia ha già perso e perdere in quel mondo significa fallire, chiudere, morire.” – mi dice serio – “Noi non possiamo accettare un mondo dove il sistema economico per stare in piedi debba generare i fallimenti, le chiusure e le morti che la cronaca ci insegna non essere più solo commerciali. Nella nostra visione il pareggio è l’unica prospettiva sostenibile, perché permette una vittoria senza sconfitti. E conviene a tutti.”

Ciao. Mi stai lasciando.

Lei è scesa di corsa sul marciapiede di fronte all’aeroporto. Quello pieno di gente, valigie sudate e vigili. Di fretta. Ha aperto la portiera al ritmo delle quattro frecce. Poi di corsa ha saltato un marciapiede atterrando sul successivo. Quasi una rana. E si è fermata. Come se fosse guarita dalla fretta. Ha salutato con la mano aperta ma troppo triste per sventolare. Lui ha sorriso, poi ha messo la retromarcia. Guardava lo specchietto e la mano. Che non sventolava. Come la scena sbagliata da rigirare in un brutto film. Poi lei è scesa con la mano. Ha fatto per rigirarsi e ha provato ancora a mettersi nel pugno le ultime briciole di quel saluto. Ancora con la mano. In alto. Lui sorride, come sorridono quelli che dentro dicono sì, ciao, ho capito, grazie, sono imbarazzato, ma adesso vai. Lei è rimasta un po’ lì. Impagliata da quella partenza che forse non voleva. Si è svegliata. Ha guardato in giro. Ci ha guardato negli occhi a noi che fumavamo nonostante il caldo e la poca ombra. E non si è vergognata nemmeno un secondo. Anzi. Fiera.
Stava partendo lei, ma l’aveva lasciata lui.

20120709-210141.jpg

Solidali dalla parte sbagliata

Invece, a voler fare uno sforzo di giudicare le cose come in un paese normale, succede che un ex capo della polizia e oggi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si sia detto “solidale” con dei dirigenti di polizia condannati in via definitiva per aver mentito e cercato di occultare le violenze compiute nella scuola Diaz, e le cui responsabilità in quelle violenze non sono state sanzionate solo per prescrizione dei reati. Succede che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio si metta dalla parte di chi, invece di proteggere delle persone, si è occupato di aggredirle, picchiarle, e far sparire le tracce di queste aggressione, cercando di addossare la responsabilità ad altri.

Succede, insomma, che ci aspetteremmo che un sottosegretario alla Presidenza del Consiglio oggi presenti le sue dimissioni, o che oggi lo stesso Presidente del Consiglio faccia in modo di ottenerle. Perché non è pensabile che si faccia come se fosse normale tutto questo, in un paese normale.

Luca Sofri scrive delle strabiche solidarietà di questo paese.

20120709-165650.jpg

Bilancio, Bologna, Roma, Massa Carrara: cosa e dove si va questa settimana

In Consiglio ci si occupa dell’assestamento di bilancio. Un bilancio tutto formigoniano nelle priorità. Ne parleremo.

Giovedì 12 luglio ci si vede a Bologna, ore 18 per la presentazione del bel libro DOVE ERAVAMO, ci si vede in Sala Armi – Facoltà di Giurisprudenza – Via Zamboni, 22 con l’editore Alessandro Gallo, il curatore Massimiliano Perna e direttore del giornale Dieci&Venticinque e redattore de i Siciliani Giovani Salvo Ognibene.

Venerdì 13 luglio a Roma, alle 18.30 Roma Fringe Festival organizza Il Fatto Quotidiano – Giuliano Girlando presenta:”I volti della bellezza contro le mafie”
ospiti: Giulio Cavalli, Danilo Chirico, Antonio Turri e Giovanni Tizian. Ci si vede a Villa Mercede San Lorenzo Via Tiburtina 115.

Domenica 15 luglio alle 21presentazione de “L’innocenza di Giulio”, Ed. Chiarelettere. Interviene Il Prof. Alessandro Volpi, Docente di Storia contemporanea e di Geografia politica ed economica della Facoltà di Scienze politiche dell’università di Pisa. Coordina Emanuela Ferrari Associazione InMovimento. Piazzetta dei Ronchi, Ronchi Marina di Massa (Ms).

Per vedere tutti gli impegni (inclusi quelli istituzionali) potete andare alla pagina appuntamenti.

20120709-112719.jpg

Sono orfano e non so cosa dire sulla ‘ruota’ alla Mangiagalli

Questo dovrebbe essere uno di quegli articoli che uno li legge e pensa, wow, pensa da solo con il suo essere solo, wow, che bell’articolo. Pubblicato così tardi, quasi notte, perché si è sicuri che giri comunque. Virale nonostante l’orario. Insomma.

E’ che ci sono rimasto due giorni, due, duegiornidue, su questa storia di Mario, che hanno lasciato nella ruota degli orfani della Mangiagalli a Milano. Depositato come un figlio spurio in contrassegno. Una cosa del genere. E voi già pensate che questo articolo è un articolo irrispettoso e duro, sono sicuro, che lo pensate. Ma adesso ci arriviamo. E vedete.

Il bambino dentro la ruota nel Medioevo (ce lo insegnano i libri del Medioevo, quelli scritti di quegli anni lì, mica sappiamo se sono stati i servi dell’informazione dell’epoca e allora li riprendiamo subito per buoni) è una pratica che dobbiamo storicamente accettare. Ci dicono che bisogna “storicamente” accettare quando ci presentano un vassoio impresentabile ma con cent’anni di motivazioni dietro. Abitudini, mica valori. Ma cent’anni di valori. Mica noccioline.

E’ che mi chiedo come si possa raccontare una storia di un orfano lasciato sulla ruota degli orfani. Perchè poi anche i giornali ci hanno messo del loro e hanno affilato le penne. Scrive il Corriere che: L’ultimo gesto d’amore della mamma in difficoltà è un biberon di latte materno e qualche vestitino lasciati al suo fianco. Prima di abbandonarlo. Sono le sei e mezza del pomeriggio di ieri quando una donna, probabilmente europea, schiaccia il pulsante rosso della «Culla per la vita» della clinica Mangiagalli, la saracinesca si alza per chiudersi quindici secondi dopo, dentro rimane il neonato, un ciuffo di capelli scuri e una tutina azzurra.

Sotto c’è una canzone soul troppo ubriaca per essere musicalmente credibile. Troppo.

E ora, per essere pronti allo sprint sempiterno delle primarie in tutti questi penultimatum politici, bisognerebbe anche capire bene come declinarla questa cosa. Del bambino lasciato solo come si lasciano soli i bambini lasciati.

Trovare un senso per scrivere il pretesto di un ordine del giorno, una mozione o un progetto di legge se sei un geniale legislatore del marketing politico.

Invece è solo dolore. Inadeguatezza. Senza parole senza, senza nemmeno una parola da dire.

E’ che sono stato adottato. Incredibile, direte voi, adottato. Lui. Giulio Cavalli che combatte la mafia. Pure adottato. Scortato e adottato. Che tristezza buona per farci la fascetta di un libro. Urrà, dicono  distributori di malinconia da scaffale.

E un po’ mi stupisce (mica io, mi stupisco, anche se sarebbe una bella frase ad effetto), mi stupisce che sono stato adottato e credo che la legge 194 sia da conservare, custodire e difendere a mani giunte come si giungono le mani laiche pronte a immolarsi per una valore con religioso coraggio.

E non so proprio cosa dire su Mario lasciato nella ruota. Un silenzio con dentro tutto un mondo di bene. Mica solidale. Inadeguato come ci si sente inadeguati davanti all’amore che si ha paura di perdere e di solito è l’amore della vita.

Però almeno sulla storia di Mario ho deciso di scrivere e confessare questo pezzo del mito da sgretolare. Anche perché sono finito a chiedere l’amicizia su facebook a mio fratello Giuseppe che non sa nemmeno di essere mio fratello. Perché il cognome è diverso e mi ha scritto “chi sei?”, così mi ha scritto. E io non gli ho risposto mai. Mai.

Buona notte Mario. Domani ti sveglierai e capirai (un pezzo, non troppo, con parsimonia) che tutto è terribilmente complicato da essere troppo affascinante per lasciare perdere.

Anche senza sofismi e conclusioni come quelle che ci si aspetterebbe da un aspirante statista.

In piedi signori, davanti a una donna

” Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subìto, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi Signori, davanti a una Donna!” ( W. Shakespeare )