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#salvaiciclisti per cambiare strada

Veni,vidi,bici. #salvaiciclisti sbarca a Roma e sembra passato un secolo da quando se ne cominciava a parlare. E invece quel secolo è il fiume di impegno che ha cominciato a scorrere e diventare urgenza sana per la mobilità dolce di questo paese. Eppure #salvaiciclisti è anche l’occhio finalmente vigile sulle morti continue di una strage che non si riesce ad arrestare.

Il temibile leader del movimento lascia le istruzioni per l’uso della bicifestazione di oggi. Pedaliamo in gruppo.

Se si spegne Telejato

Pino Maniaci e Telejato devono essere spenti. La notizia è di quelle che gelano il sangue perché Pino Maniaci e Telejato (con il suo telegiornale più lungo del mondo) da anni lottano per non essere spenti dalla mafia e invece alla fine a spegnerli sarà lo Stato. Non si sa se per superficialità, per miopia o per convergenza di interessi: certo quando lo Stato compie l’azione che la mafia ha tanto desiderato ne esce sconfitto il buon senso, la tutela del coraggio e la custodia delle fragilità attive.

Non serve solidarietà pelosa. Telejato, Pino e la sua famiglia ne hanno ricevuta a tonnellate in questi anni (buona e non buona). Serve mobilitarsi con un obiettivo chiaro: sappia il Governo cosa sta spegnendo, decida dopo aver conosciuto la vita, il progetto e le lotte di Telejato e dia delle spiegazioni. La mobilitazione deve puntare a chiunque possa scrivere un’interrogazione, un ordine del giorno o una mozione tra gli scranni del Parlamento. E noi possiamo chiederlo (e dobbiamo chiederlo) con insistenza: come Pino quando tiene in mano il microfono.

Auguri Renato Rascel

Oggi compirebbe 100 anni.

Il pubblico è come un bambino. Se gli si lascia un bel giocattolo lo rompe subito. Bisogna aver pazienza, giocare assieme.

Renato Rascel nasce “per caso” a Torino durante una tappa della tournée della compagnia d’arte in cui lavorano suo padre Cesare Ranucci, cantante di operetta, e sua madre Paola Massa, ballerina classica. Riceve il battesimo nella Basilica di San Pietro secondo il desiderio del padre, romano da sette generazioni, ed alla città eterna la sua vita resterà sempre legata.

Affidato dai genitori ad una zia, a causa del loro lavoro che li costringeva a continui spostamenti, Renato cresce nell’antico rione di Borgo insieme alla sorella Giuseppina (scomparsa prematuramente a soli diciassette anni). Frequenta la Scuola Pontificia Pio IX, gestita dai Fratelli di Nostra Signora della Misericordia i quali, oltre ad impartire l’insegnamento scolastico, organizzavano corsi di canto, musica e recitazione. Già durante la partecipazione a queste attività Renato mostra i segni del suo precoce talento, al punto di essere ammesso a far parte, all’età di dieci anni, del Coro delle Voci Bianche della Cappella Sistina, allora diretto dal Maestro don Lorenzo Perosi. Sempre in questo periodo si esibisce per la prima volta in pubblico come batterista di un complesso jazz di dilettanti scritturato dal Circolo della Stampa.

Poco tempo dopo debutta in teatro a fianco del padre, divenuto direttore della filodrammatica “Fortitudo”, nel dramma popolare Più che monelli, dove interpreta la parte di un ragazzino che muore a causa di un sasso tiratogli da un compagno di giochi.

Consapevole del fatto che la carriera artistica non è tra le più facili e remunerative, il padre cerca di avviare Renato a lavori più sicuri e redditizi. Per qualche tempo lavora come apprendista calderaio, muratore e garzone di barbiere, ma il richiamo dell’arte è troppo forte per lui. Renato ha solo tredici anni quando viene scritturato in pianta stabile come musicista dal proprietario del locale “La Bomboniera”, ed in seguito suonerà alla “Sala Bruscolotti” noto ritrovo della Capitale. A quindici anni entra a far parte del complesso musicale “Arcobaleno”. L’impresario teatrale napoletano Luigi Vitolo, notata la sua esuberanza, lo spinge ad improvvisare negli intervalli dell’orchestra numeri di danza e di arte varia che riscuotono ilarità e successo dal pubblico. Il resto qui.

#preferenzepulite per Articolo21

pubblicato su Articolo21

C’è un porcellum più odioso di qualsiasi alchimia elettorale dei partiti o tecnici di governo che arrancano per preservarsi. E’ una dinamica elettorale odiosa perché cresce sulla disattenzione degli onesti e lascia praterie da percorrere da indisturbati a pezzi di criminalità organizzata. L’utilizzo del voto di preferenza è il modo democratico per dichiarare che quella persona, quel nome e cognome, è il portatore dei nostri interessi leciti. E’ passato questo concetto? Tra i siti di informazione, i giornali, i blog ci siamo preso la responsabilità di dichiarare con forza che la lobby degli interessi leciti è obbligatoria per una cittadino utile alla democrazia? Perché negli ultimi anni ci siamo stupiti per i successi elettorali di uomini vicini alla criminalità organizzata e non ne abbiamo studiato le cause? Le mafie negli ultimi anni hanno utilizzato la convergenza sulle preferenze per avere la certezza di un proprio uomo all’interno delle istituzioni. Hanno vinto non solo sul piano dell’illegalità ma anche (e soprattutto) sulla consapevolezza e la conoscenza dei meccanismi politici. Noi non siamo stati abbastanza vivi: non abbiamo raccontato, analizzato, spiegato, alzato la voce. Per questo io e Pippo Civati chiediamo a voi (e a noi) di sfruttare le prossime amministrative per recuperare il tempo perso. La campagna #preferenzepulite è un memorandum per tutti: scegliete il vostro sindaco, la vostra coalizione ma presidiate anche il consiglio comunale scegliendo il vostro consigliere. Più si alza la soglia numerica di preferenze per entrare in Consiglio Comunale e più le mafie saranno disturbate nei loro uomini. E poi, in fondo, ogni volta che si sfrutta una possibilità di esprimere un voto, vince la Costituzione e la Democrazia.  Nelle ultime elezioni amministrative la criminalità organizzata ha avuto gioco facile nell’eleggere un consigliere all’interno delle istituzioni a cui fare riferimento e su cui esercitare le proprie pressioni. I dati elettorali degli ultimi anni indicano chiaramente come bastino qualche decina di voti per entrare nei consigli comunali di città importanti per dimensione, posizione e attività sul territorio. Ne parla spesso anche Nando Dalla Chiesanel suo decalogo antimafia e le ultime operazioni contro le mafie (anche in Lombardia) hanno stilato l’elenco dei nomi e dei cognomi.  Se ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra utilizzano lo strumento del voto di preferenza meglio e più consapevoli della stragrande parte degli elettori il problema non è solo politico: è un problema di cittadinanza praticata troppo poco. Se le mafie dimostrano di conoscere gli strumenti democratici e di utilizzarli a proprio vantaggio significa che anche su questo punto noi dobbiamo provare ad essere più vivi. Il “porcellum mafioso” è garantito dagli argini troppo bassi.  Per questo chiediamo in questi ultimi giorni di campagna elettorale che i candidati sindaci, la stampa, i partiti, la rete e la società civile alzino la voce sull’uso responsabile della preferenza da esprimere nel seggio. Indicare un cognome di cui fidarsi e a cui affidarsi non è solo il modo per non delegare solo alla coalizione l’attenzione per i punti di programma e avere una persona di riferimento; dare il voto di preferenza significa alzare l’argine contro le mafie per rendere più difficile la loro gestione del consenso.

Votate. E date una preferenza.

Su twitter #preferenzepulite

Giulio Andreotti, il politico bifronte

DA LEFT di SIMONA MAGGIORELLI

Andreotti non è stato assolto. “Ma in Italia la parola prescrizione viene scambiata per assoluzione”. Denuncia lo scrittore e attore Giulio Cavalli. Che nel libro L’innocenza di Giulio ricostruisce i rapporti fino al 1980 fra il senatore e la mafia.  Intano la gestione andreottiana del potere, con rapporti pericolosi con malavita e lobbies, ha  fatto scuola in Italia 

Vero è che la stragrande maggioranza dei cittadini italiani è convinta (in perfetta buona fede, perché questo le è stato fatto credere con l’inganno) che Andreotti sia innocente. Di più: vittima di una persecuzione», scrive Gian Carlo Caselli nella prefazione al libro di Giulio Cavalli L’innocenza di Giulio.Andreotti e la mafia(Chiarelettere).

Un testo che ha il merito di raccontare in modo puntuale come sono andate veramente le cose, riportando in primo piano il fatto che «l’imputato fu dichiarato responsabile del delitto di associazione a delinquere con Cosa nostra per averlo commesso fino al 1980», per dirla ancora con le parole di Caselli che, come capo della procura te dell’opinione pubblica italiana».

Anche per questo, per «un dovere di civile di ripristinare la verità storica» l’autore de L’innocenza di Giulio sta viaggiando in lungo e in largo per la penisola presentando il libro con intellettuali e magistrati, cercando di stimolare un pubblico dibattito:( il 29 al festival del giornalismo di Perugia con Caselli e il 30 a Milano con l’avvocato Umberto Ambrosoli, figlio di quel Giorgio Ambrosoli che si trovò ad indagare sulla banca di Sindona e che non si piegò ai ricatti. Per questo fu ucciso nel 1979.

Nel frattempo, per raggiungere un pubblico ancora più vasto, L’innocenza di Giulio è diventato anche uno spettacolo teatrale. In scena Cavalli ingaggia un serrato corpo a corpo con il “Divo Giulio” che, a mani giunte, giganteggia nella scenografia alle sue spalle. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare». «Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato»

. Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo pio. Accanto alla verità processuale sul palcoscenico si concretizza l’ombra non di uno statista, bensì di un «uomo dalla tiepida umanità», capace di battute agghiaccianti, come quella volta che, intervistato sull’assassinio di Ambrosoli ebbe a dire «se la è andata un po’ a cercare».

«Nello spettacolo ho inserito alcune di quelle funeree battute che Andreotti era solito fare; espressioni feroci, per esempio, verso il generale Dalla Chiesa, che lasciano senza fiato». Il teatro dunque come un’altra faccia di quell’impegno civile, come tramite artistico per fare informazione in modo più intenso ed efficace.

«Penso che serva un linguaggio nuovo. Ma anche che sia venuto il tempo di fare una storia dell’antimafia pop», chiosa Cavalli, con un pizzico di provocazione. «Ma autenticamente pop, ovvero popolare. Non credo che la pericolosa perdita di memoria e di partecipazione che attanaglia l’Italia abbia bisogno solo di un nuovo Pier Paolo Pasolini, di intellettuali profeti. Penso piuttosto che sia necessario parlare semplice e chiaro perché la gente possa farsi autonomamente la propria opinione».

Pareggio di bilancio. Consapevole?

Con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Legge Costituzionale 20 aprile 2012 n. 1, il principio del pareggio di bilancio entra nella nostra Costituzione.

Il provvedimento entrerà formalmente in vigore il prossimo 8 maggio anche se, come previsto dall’art. 6, le disposizioni della legge costituzionale si applicheranno a decorrere dall’esercizio finanziario relativo all’anno 2014.

Visto che in seconda lettura sia alla Camera dei Deputati sia al Senato della Repubblica è stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti, non si dovrà ricorrere al referendum confermativo.

La riforma costituzionale dà così attuazione a uno degli impegni assunti prima dal precedente governo di Silvio Berlusconi e poi confermato dall’esecutivo di Mario Monti per rassicurare i mercati sulla sostenibilità del debito pubblico italiano.

Tale modifica prende spunto dalla necessità di rafforzare l’impegno italiano a risanare le finanze pubbliche, in attuazione dei vincoli posti dal “Patto Europlus” nel marzo 2011 e nel “Six Pack” nell’ottobre 2011 dal Consiglio ECOFIN (successivamente ribaditi nel “Fiscal Compact” nel gennaio 2012).

Stupisce il silenzio che ha accompagnato questo processo di modifica costituzionale in corso ormai da mesi, mentre in altri paesi europei su questi temi e sul connesso Fiscal Compact si stanno sviluppando discussioni e confronti assai vasti.

Stupisce come in un Paese come il nostro in cui su questioni di scarsa rilevanza si fanno spesso campagne di stampa ampiamente sopra le righe, su un tema di così rilevante portata, che tocca un cardine della Costituzione e la strumentazione della politica economica presente e futura, il silenzio è totale.

Ma c’è consapevolezza di ciò che è stato approvato? È ammissibile che ciò sia avvenuto su un tema così importante?

Carlo Rapicavoli prova a spiegare.

Il Fatto Quotidiano sulla campagna #preferenzepulite

Lombardia, appello alle “preferenze pulite” contro il voto mafioso

A pochi giorni dalle elezioni amministrative, i consiglieri regionali Civati (Pd) e Cavalli (Sel) esortano i cittadini a sostenere i propri candidati. Per contrastare il consenso organizzato della criminalità. Gratteri: “La ‘ndrangheta fa politica al nord da decenni”

In Lombardia pochi cittadini esprimono preferenze nel voto amministrativo, mentre i gruppi mafiosi concentrano efficacemente il loro consenso sui candidati “amici”. Così due consiglieri regionali,Giuseppe Civati del Pd e Giulio Cavalli di Sel, in vista delle elezioni di maggio lanciano la campagna “Preferenze pulite” (anche su twitter) e invitano i cittadini a indicare sulla scheda “un cognome di cui fidarsi e a cui affidarsi”. Facendo propria una battaglia lanciata da Nando dalla Chiesa, che nel “decalogo antimafia” illustrato nel suo libro La convergenza mette al punto 8 “Spendi il tuo voto”. Perché, scrive il sociologo, “la mafia cede i suoi pacchetti di voti ai candidati in cambio naturalmente di favori, senza distinzione di partito, anzi in tutti i partiti. Così noi dobbiamo utilizzare il nostro voto in funzione antimafia”.

Il ragionamento parte dai numeri: nei piccoli centri possono bastare poche decine di voti per piazzare il proprio uomo in consiglio comunale, che poi tornerà utile quando si discuteranno appalti, licenze edilizie e altri potenziali business. Basti a pensare che in una grande metropoli come Milano l’ultimo degli eletti siede in consiglio con 461 voti. Il “porcellum mafioso”, insomma, “è garantito dagli argini troppo bassi”. Da qui l’appello perché “i candidati sindaci, la stampa, i partiti, la rete e la società civile alzino la voce sull’uso responsabile della preferenza da esprimere nel seggio”.

Anche a Milano “nelle ultime elezioni amministrative la criminalità organizzata ha avuto gioco facile nell’eleggere un consigliere all’interno delle istituzioni a cui fare riferimento e su cui esercitare le proprie pressioni”, affermano Civati e Cavalli in un comunicato. Nomi e cognomi “stanno nelle ultime operazioni contro le mafie”. E sono tanti. Per lo più non indagati, ma colti dagli investigatori in stretti rapporti con i boss. Per esempio Armando Vagliati, consigliere comunale del Pdl in assiduo contatto con Giulio Lampada, finito in carcere per associazione mafiosa. O quelli citati nelle fitte telefonate nelle quali Carlo Chiriaco, direttore dell’Asl di Pavia oggi sotto processo a Milano per concorso esterno, discuteva su quali cavalli puntare i voti a disposizione di presunti boss “lombardi” come Pino Neri e Cosimo Barranca. E tanti altri casi di consiglieri e assessori di comuni dell’hinterland di Milano che la ‘ndrangheta considera, a torto o a ragione, “a disposizione”.

L’operazione Crimine-Infinito del 13 luglio 2010 “ha messo in luce le connessioni delle cosche con 13 esponenti politici lombardi”, ricordava l’anno scorso Nicola Gratteri, procuratore aggiunto a reggio Calabria.”Sindaci, assessori, consiglieri comunali, provinciali e regionali, deputati e semplici candidati. I media ne hanno parlato per qualche giorno poi niente più”. L’iniziativa di Civati e Cavalli, dice a ilfattoquotidiano.it, va bene ma è “un palliativo”, perché “i candidati puliti possono anche essere specchietti per le allodole infilati tra faccendieri a sostegno di candidati sindaci collusi con la ‘ndrangheta”. Secondo Gratteri, meglio sarebbe “agire a monte, sulla scelta dei candidati, con una legge elettorale diversa e con le primarie”. Il magistrato conferma che il voto mafioso esiste in Lombardia, come in Piemonte e in Liguria, “da decenni”. Le locali di ‘ndrangheta si danno da fare ” a destra come a sinistra”. E’ vero, sono “minoranze, ma qualificate e organizzate in blocco, mentre la società civile va alle urne in ordine sparso”.

Niente rogo per il libro ‘Il Casalese’

Una buona notizia: la richiesta di sequestro e di distruzione de Il Casalese, il libro dedicato alle biografia politica e criminale di Nicola Cosentino, è stata rigettata dal Giudice. Ne avevamo già parlato: ora che si è evitato il rogo rimane la richiesta di un milione e 200mila euro di risarcimento danni. L’ho già detto e lo riscrivo: quel libro (che oggi ancora di più vale la pena di leggere e comprare) è l’unica biografia non autorizzata dell’ex sottosegretario salvato dal servilismo bipartisan di un parlamento garantista con i potenti e macellaio con i poveri. Quel libro è il simbolo oggi del giornalismo che decide di scrivere il fatto che sarebbe meglio oltrepassare, di fare quel nome che porta solo guai e di non essere compiacente. Mai.

Sonia Alfano non è più in IDV. E fanno finta di niente.

La newsletter di Niccolò Rinaldi, capo delegazione IDV in Europa e membro dell’Ufficio di Presidenza del partito:

Pur ormai fuori dalla delegazione IdV, vista la divergenza con le scelte condivise dal partito in Sicilia e altrove, ma sempre parte della più larga delegazione italiana che rappresento nel gruppo ADLE, Sonia Alfano é stata eletta Presidente della Commissione temporanea sulla criminalità organizzata che abbiamo fortemente voluto per far capire al resto dell’UE che mafia, evasione fiscale, corruzione, sono tutti drammi di uno spazio comune dell’illegalità al quale non fanno ancora fronte volontà e strumenti comuni a tutta l’Europa. Evviva: col concorso di tanti anche questo é stato un successo, anche se ora la commissione dovrà rimediare a un involontario peccato originale: presidente, relatore, e un vicepresidente sono italiani, fatto anomalo in un organo europeo, quasi a dire che é cosa nostra…

 

Morire di bici

Succede che si continua a morire di bici, qui. Ci si merita qualche riga di giornale e ci si va ad aggiungere alle statistiche. Che sono quelle di un primato tutto italiano: 2557 in 10 anni.

2557 “danni collaterali” che fotografano l’arretratezza di un Paese che abbandona chi sceglie un’alternativa ecologica, sostenibile e umana alla motorizzazione per forza. Sono i temi che la campagna #salvaiciclisti ha proposto con forza in rete fino ad arrivare in Parlamento. E in Regione Lombardia (nel nostro piccolo, quello che possiamo).

Poi leggi che il numero 2557 è Laura. Laura aveva 36 anni e andava al lavoro da Desio verso Giussano, Qui da noi. Lascia due figli e la bicicletta per terra. Ed è la sorella di una nostra amica.

E quando dai numeri gocciolano le storie e le persone, così vicine, rimane lo sgomento e la dimensione dell’impegno. Di tutti, nelle battaglie che da lontano sembrano così piccole e dentro hanno un milione di storie.

Un abbraccio stretto, Arianna.

Giulio Cavalli e Pippo Civati