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Morire di bici

Succede che si continua a morire di bici, qui. Ci si merita qualche riga di giornale e ci si va ad aggiungere alle statistiche. Che sono quelle di un primato tutto italiano: 2557 in 10 anni.

2557 “danni collaterali” che fotografano l’arretratezza di un Paese che abbandona chi sceglie un’alternativa ecologica, sostenibile e umana alla motorizzazione per forza. Sono i temi che la campagna #salvaiciclisti ha proposto con forza in rete fino ad arrivare in Parlamento. E in Regione Lombardia (nel nostro piccolo, quello che possiamo).

Poi leggi che il numero 2557 è Laura. Laura aveva 36 anni e andava al lavoro da Desio verso Giussano, Qui da noi. Lascia due figli e la bicicletta per terra. Ed è la sorella di una nostra amica.

E quando dai numeri gocciolano le storie e le persone, così vicine, rimane lo sgomento e la dimensione dell’impegno. Di tutti, nelle battaglie che da lontano sembrano così piccole e dentro hanno un milione di storie.

Un abbraccio stretto, Arianna.

Giulio Cavalli e Pippo Civati

Buon 25 aprile

Signor Presidente [Luigi Einaudi], Lei che tanto bene conosce la storia del Piemonte, ricorderà la fiera risposta data da Vittorio Amedeo II agli emissari di Luigi XIV i quali gli spiegavano come le condizioni del suo esercito gli togliessero ogni possibilità di resistere alle potenti armate d’oltralpe: «Batterò col piede la terra, e n’usciran soldati d’ogni banda». Ebbene, l’8 settembre, e in seguito, a Cuneo e intorno a Cuneo avvenne proprio così: i soldati, cioè i partigiani uscivano da ogni parte, perché qualcuno aveva battuto col piede la terra; ma non era stato un sovrano, re o principe che fosse, bensì una forza più alta e maestosa, quella che si chiama la coscienza civile, la vocazione nazionale, il senso dei valori supremi, quella essenziale virtù insomma, che, magari sotterranea ed invisibile per lungo volgere di anni, erompe nei momenti decisivi, e spinge un popolo a non mancare nell’ora del dovere storico. (Dante Livio Bianco)

A chi serve l’Ordine dei Gionalisti?

Non serve (e non è mai servito) a garantire la qualità del prodotto giornalistico, una soglia minima di decenza al di sotto della quale non si può più parlare di giornalismo. Non serve più, ai pubblicisti, che entro il 13 agosto dovranno essere cancellati dall’albo professionale, come prevede il decreto del governo Monti, sulla base di un principio banale ma sacrosanto: chi non ha superato l’esame di Stato non può essere iscritto all’albo professionale. Non serve ai citizen journalist, ai titolari di blog, alle migliaia di giovani colleghi senza tutela che ogni giorno si sforzano di raccontare questo Paese oltre i recinti corporativi dell’appartenenza professionale e che spesso vengono sanzionati ‘’per esercizio abusivo della professione’’. Non serve più sotto il profilo disciplinare, visto che il decreto Monti lo ha svuotato di questo potere, affidandolo ad un collegio esterno.  Non serve ai giornalisti, quelli veri, che non hanno bisogno di un Ordine arroccato a presidio di un’identità ormai virtuale e che negli anni hanno assistito alla mutazione genetica degli elenchi: oggi l’Ordine ha110.000 iscritti, il 70,7% sono pubblicisti, solo il 19 per cento ha un contratto di lavoro, 84 mila di essi sono sconosciuti all’Inpgi e dei restanti 26 mila, 6 su 10 hanno un reddito inferiore a 5000 euro lorde l’anno. Chi sono questi 84 mila e cosa fanno dentro il nostro ordine professionale? Gli resta, come giustificazione della sua esistenza, la formazione professionale, ma è solo un business, fallimentare sotto l’ aspetto didattico e, oggi, anche economico: a Bologna, dove la scuola esiste da anni, hanno sospeso l’ultimo corso, i candidati non ce l’hanno fatta a superare i test di cultura generale. Una riflessione di Giuseppe Lo Bianco. Mentre il ‘giornalista’ Pino Maniaci (un amico di cui ho parlato spesso) chiude Telejato come racconta Ivan Asaro.

L’Italia boia del mediterraneo

Notizie del Corriere che passano in secondo piano nel cassetto delle futili fragilità.

L’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa (Apce) ha approvato con 108 voti favorevoli su 151 il rapporto con cui si chiamano in causa Italia, Spagna e Malta, oltre che la Nato, per la morte di 63 migranti avvenuta nel Mediterraneo nel marzo del 2011. Nel votare il dossier l’assemblea ha rifiutato la totalità degli emendamenti presentati dai rappresentanti del Ppe della delegazione italiana che miravano a eliminare la parte del testo in cui si asserisce che l’Italia come primo Paese ad aver ricevuto la chiamata di aiuto era da considerarsi responsabile per il coordinamento degli aiuti.

Secondo il blog Fortress Europe, che da anni monitora le morti nel Mediterraneo raccogliendo le storie dei sopravvissuti e dei famigliari delle vittime, «dal 1994 nel solo Canale di Sicilia sono morte almeno 6.226 persone, lungo le rotte che vanno da Libia, Tunisia e Egitto verso le isole di Lampedusa, Pantelleria, Malta e la costa sud orientale della Sicilia. Più della metà (4.790) sono disperse. Il 2011 è stato l’anno più brutto: tra morti e dispersi, sono scomparse nel Canale di Sicilia almeno 1.822 persone. Ovvero una media di 150 morti al mese, 5 al giorno: un’ecatombe. E senza tenere conto di tutti i naufragi fantasma, di cui non sapremo mai niente».

#preferenzepulite una campagna per le amministrative

Nelle ultime elezioni amministrative la criminalità organizzata ha avuto gioco facile nell’eleggere un consigliere all’interno delle istituzioni a cui fare riferimento e su cui esercitare le proprie pressioni. I dati elettorali degli ultimi anni indicano chiaramente come bastino qualche decina di voti per entrare nei consigli comunali di città importanti per dimensione, posizione e attività sul territorio. Ne parla spesso anche Nando Dalla Chiesa nel suo decalogo antimafia e le ultime operazioni contro le mafie (anche in Lombardia) hanno stilato l’elenco dei nomi e dei cognomi.

Se ‘ndrangheta, cosa nostra e camorra utilizzano lo strumento del voto di preferenza meglio e più consapevoli della stragrande parte degli elettori il problema non è solo politico: è un problema di cittadinanza praticata troppo poco. Se le mafie dimostrano di conoscere gli strumenti democratici e di utilizzarli a proprio vantaggio significa che anche su questo punto noi dobbiamo provare ad essere più vivi. Il “porcellum mafioso” è garantito dagli argini troppo bassi.

Per questo chiediamo in questi ultimi giorni di campagna elettorale che i candidati sindaci, la stampa, i partiti, la rete e la società civile alzino la voce sull’uso responsabile della preferenza da esprimere nel seggio. Indicare un cognome di cui fidarsi e a cui affidarsi non è solo il modo per non delegare solo alla coalizione l’attenzione per i punti di programma e avere una persona di riferimento; dare il voto di preferenza significa alzare l’argine contro le mafie per rendere più difficile la loro gestione del consenso.

Votate. E date una preferenza.

Su twitter #preferenzepulite

Giulio Cavalli e Pippo Civati

Le risposte a Grillo

Poi, quando finalmente si smetterà di rispondere a Grillo nei modi peggiori, e si deciderà di rispondere alle prospettive politiche degli elettori del Movimento 5 Stelle ragionando anche nel merito, ecco qualcuno mi avvisi. Perché ora quello che si legge è più populistico dei peggiori populisti possibili.

Negato il permesso di entrare al CIE. Di nuovo.

Comunicato Stampa.

“Un altro ingresso negato al Cie di via Corelli. Dopo che lo scorso marzo la Prefettura aveva impedito l’accesso di una giornalista di Redattore Sociale, oggi la storia si ripete a fronte della nostra richiesta congiunta di visitare il Centro nella giornata del 25 aprile, nell’ambito della campagna “LasciateCI Entrare”, promossa per la settimana in corso dall’Arci.

E il paradosso è che le motivazioni addotte non coincidono.

A Cavalli è stata comunicata l’impossibilità di accedere alla struttura trattandosi di un giorno festivo. Che fa anche un po’ sorridere, se si pensa a centri commerciali e negozi aperti, mentre un amministratore locale viene ostacolato nel suo legittimo ruolo di vigilanza e controllo sulla situazione all’interno del Cie.

All’Arci hanno detto invece che la loro richiesta è stata inoltrata al Ministero dell’Interno per le verifiche del caso e che quindi la data di ingresso è differita.

Fatto sta che mercoledì, non si potrà entrare in via Corelli. E il punto, al di là del dettaglio che da una parte o dall’altra non la si conta giusta, è proprio questo: la difficoltà enorme – e inaccettabile – di avere libero accesso a una struttura nella quale persone che non hanno commesso alcun reato vengono trattenute in condizioni, per quanto si è potuto in passato più volte verificare, lesive della dignità umana.

Il Cie si conferma un luogo per nulla trasparente, sottratto alle visite esterne addirittura più di un carcere. Ma noi non intendiamo arrenderci e invieremo subito un’ulteriore istanza di ingresso. Intanto, al corteo del 25 aprile sfilerà lo striscione Aprire gli occhi, aprire Corelli!”.

Milano, 23 aprile 2012

AUGURI ENRICO – tutti a Milano per i 90 anni di Berlinguer

venerdì 25 maggio 2012 dalle ore 20,30 presso l’Aula Magna del Liceo Classico G. Parini di Milano, via Goito 4

Data la recente notizia dell’intitolazione di una Piazza ad Enrico Berlinguer a Milano (anche grazie alla nostra petizione), in occasione dell’inaugurazione, venerdì 25 maggio 2012, alle H 20:30, i ragazzi di enricoberlinguer.it, insieme all’Associazione Culturale immaginARTE ed il contributo di varie associazioni, un evento per ricordarlo.

Il luogo dell’evento sarà l’Aula Magna del Liceo Classico G. Parini di Milano, via Goito 4. Per partecipare delle spese dell’evento (rimborsi per gli ospiti che vengono da fuori, affitto sala), chiunque volesse contribuire anche solo con 1 euro, ci farebbe un grandissimo piacere. Potete usare il modulo paypal a questo indirizzo (http://www.enricoberlinguer.it/auguri-berlinguer/) oppure il giorno dell’iniziativa faremo girare delle cassette per il finanziamento con cui potrete fare un’offerta.Tutti i fondi raccolti via paypal saranno registrati e verranno interamente utilizzati per la realizzazione dell’evento. I soldi accumulati in eccesso saranno utilizzati unicamente per l’hosting del sito (annuale) e per l’organizzazione di altri eventi in giro per l’Italia. Di default, nella pagina Sostienici, pubblicheremo tutti i contributi ricevuti dal sito e le spese relative. Alla fine dell’evento, per trasparenza, pubblicheremo l’entità totale dei fondi raccolti online e non con la specifica delle spese sostenute.

A tutte le associazioni che eventualmente volessero partecipare alla realizzazione dell’evento verrà richiesto un contributo minimo di 50 euro.

Aggiorneremo in calce tutte le associazioni attive nell’organizzazione, che avranno provveduto al pagamento della quota di 50 euro. I dettagli sull’evento e i partecipanti li comunicheremo in seguito.

Per informazioni e per aderire all’evento, inviate una mail ad auguriberlinguer@enricoberlinguer.it

L’evento è promosso e organizzato da:

www.enricoberlinguer.it

Giulio Cavalli e il suo Staff

Associazione culturale ImmaginARTE

Associazione culturale Progetto Civile

La Lega e la mafia

Un articolo importante di Lirio Abbate per centrare un punto che sembra fin troppo inosservato. E per uscire dalla questione del Trota o dei diamanti. E perché Maroni forse (vista la retorica antimafia di questi ultimi anni) dovrebbe risponderci anche su questo. Qui non bastano le scope di saggina.

Il tesoriere lumbard e l’ex cassiere dei Nar. Insieme in affari con ‘ndrangheta e massoneria. Ecco cosa emerge dalla sorprendente indagine reggina. Che rilegge la storia del Carroccio
(di Lirio Abbate – l’Espresso)

Il tesoriere della Lega e l’ex cassiere dei terroristi neofascisti: una connection da brivido che emerge dagli atti dei magistrati. Non l’unica, perché tutta l’indagine condotta dalla procura antimafia di Reggio Calabria sugli affari spericolati del Carroccio mostra un incredibile filo nero che corre lungo tutta la Penisola, intrecciando massoneria, ‘ndrangheta, eversione, fino ad arrivare a casa Bossi: il tradimento di tutti gli slogan dell’orgoglio padano, quasi uno sfregio per l’identità legalitaria lumbard. Un’inchiesta solo apparentemente sorprendente: vent’anni fa, nel momento di massima crisi della prima Repubblica, lo stesso disegno venne tentato da fratellanze deviate, estremisti di destra e padrini per replicare a Sud il partito lumbard di Umberto Bossi. Oggi a muoversi su quel solco è stato Francesco Belsito, che si autodefiniva “il tesoriere più pazzo del mondo”: è nato a Genova, ma da una famiglia di immigrati che ha mantenuto radici forti tra Pizzo Calabro e Vibo Valentia.

In quella zona hanno sede le logge più potenti del Meridione, capaci di mobilitare i fratelli in ogni parte del pianeta e metterli “a disposizione” degli altri iscritti. Una vocazione massonica che – stando agli investigatori – avrebbe trovato adepti anche nelle file della Lega. Così Belsito entra in contatto con un altro calabrese residente a Genova: Romolo Girardelli, detto “l’ammiraglio”, con una militanza di estrema destra e considerato dagli inquirenti vicino alla potente cosca De Stefano. Dall’intesa tra i due si apre un canale che sarebbe servito per ripulire grosse somme di provenienza oscura: soldi da far transitare attraverso le casse della Lega.

Sull’origine di questi fondi ora indaga il pm Giuseppe Lombardo, che sta facendo analizzare migliaia di ore di intercettazioni per ricostruire la rotta del denaro e i suoi sbocchi. A partire da uno studio del centro di Milano, proprio accanto a piazza San Babila, dove ha sede la Mgim srl: una sigla di cui è socio Pasquale Guaglianone, altro calabrese trapiantato a Nord con una storia personale tutta a destra. In gioventù è stato un membro dei Nuclei Armati Rivoluzionari, NAR, gestendo la cassa della formazione di Giusva Fioravanti e Massimo Carminati: dal casellario giudiziario risulta una condanna a suo carico per banda armata e associazione sovversiva. Nel 2006 si è candidato alla Camera nelle liste di Alessandra Mussolini, poi si è schierato con Ignazio La Russa, a cui è ancora politicamente legato. Ma negli ultimi anni è stata soprattutto la sua attività di commercialista, curando le iniziative di aziende meridionali, a renderlo molto ricco. Ed è nel suo studio che approda un trentenne reggino, Bruno Mafrici, ingaggiato come consulente personale da Belsito quando era sottosegretario del ministroRoberto Calderoli: al telefono il giovane dottore in giurisprudenza mostra entrature profonde nella politica calabrese, incluso il governatore Scopelliti, e una fiorente attività anche in società estere.

Le intercettazioni effettuate dalla Dia di Reggio Calabria hanno permesso di ricostruire una lunga catena di affari in cui veniva utilizzata la “cassa” della Lega Nord, ma la strategia finanziaria era partorita nello studio di cui è socio Guaglianone. In questo modo in un ufficio a 500 metri dal Duomo di Milano, seduti attorno a una scrivania, i calabresi – ognuno dei quali aveva in tasca la tessera della Lega, la collaborazione con un ministro padano, l’iscrizione a una loggia massonica, un passato da estremista di destra e collegamenti con la ‘ndrangheta – decidevano dove spostare grossi capitali.

Quanti? E dove sono finiti? È questo che l’indagine deve accertare, analizzando i pc e l’iPad sequestrati al tesoriere, seguendo la pista delle conversazioni e dei pedinamenti di Belsito e compari attraverso i palazzi del potere: le visite ai ministeri, le entrature nelle aziende statali, le mediazioni private per garantire lucrosi contratti. Quando il tesoriere verde fa affari conFincantieri, corteggia Finmeccanica o sollecita convenzioni pubbliche agisce in conto proprio o è l’emissario dei suoi sponsor più spregiudicati?

Nel primo rapporto investigativo, la Dia sottolinea anche l’intreccio politico di fondo. Fin troppo simile al modello di quella clonazione meridionale del Carroccio tentata nei primi anni Novanta. Per questo gli investigatori stanno rileggendo una storia solo in apparenza remota, che risale agli albori della seconda Repubblica. Dagli accertamenti infatti emerge che quei movimenti sudisti “stabilirono rapporti con la Lega Nord” favoriti dal fatto che, soprattutto alle origini, vi erano importanti personaggi “legati alla massoneria” nel partito di Bossi. Un pentito di grande attendibilità come il mafioso Leonardo Messina sottolineò il ruolo del professore Gianfranco Miglio, l’ideologo della prima espansione bossiana. In quel periodo ci fu un proliferare di leghe meridionali, sponsorizzate da Licio Gelli, dall’ex esponente di Avanguardia Nazionale Stefano Delle Chiaie, con “l’appoggio fornito da Umberto Bossi alle loro iniziative anche con la diretta partecipazione ad alcune manifestazioni”.

L’impronta nera è molto marcata anche a Nord. Fin dalla nascita del movimento, e in particolare all’interno della Liga Veneta, è presente una significativa componente legata agli ambienti dell’eversione neofascista. Risulta, da accertamenti eseguiti dalla Dia, che all’epoca venne candidato nelle liste della Liga Veneta, in alcune consultazioni elettorali, l’avvocato Stefano Menicacci, con un passato di primo piano negli ambienti degli attivisti della destra estrema, legale di Delle Chiaie, ma anche del leader della Liga Franco Rocchetta. Gli inquirenti antimafia che hanno analizzato il passato della Lega Nord, sono giunti alla conclusione che l’avvocato Menicacci è “l’elemento di collegamento principale” fra la Liga Veneta e le iniziative leghiste centro-meridionali sviluppatesi negli anni Novanta.

“C’è un grande passato nel nostro futuro”, gridavano i nostalgici del Ventennio. E ora questo slogan sembra tornare vivo nella mescolanza di politici, affaristi e uomini d’oro che ha già portato alla fine dell’era di Umberto Bossi.

La politica dopo Utoya

Direi: non mollate. So che l’Italia ha gravi problemi economici in questa fase ma la cattiva salute dell’economia non dev’essere un motivo per gettare la spugna. È la politica a creare le condizioni dello sviluppo economico, è la politica a stabilire le regole del gioco. In tutti i campi dobbiamo affrontare sfide sempre più complesse, basta fare una ricerca tra i forum online per vedere che il problema dell’estremismo esiste. Chi deve decidere come sarà il mondo che abiteremo? Se noi per primi rinunciamo a dire la nostra, cosa resta della democrazia? Il 22 luglio ha cambiato il mio Paese, i giovani hanno capito che ciò che davano per scontato – la libertà, la tolleranza, la pace – era in pericolo. E hanno deciso di agire, di partecipare

Il 22 luglio Stian era sull’isola di Utoya per il campo estivo del partito. Quando cominciò la carneficina, lui si mise a correre con altri compagni verso il bosco, rimase nascosto per oltre due ore, con un pensiero fisso: “Forse oggi morirò”. Non è morto e interrogato su politica e Italia fissa tre punti: la libertà, la tolleranza, la pace. 

Quanta libertà, quanta tolleranza e quanta pace ci sono nell’agenda della politica? Perché forse è una mia sensazione ma sembra che ci sia un pudore (per inadeguatezza e poca credibilità) nel pronunciarle queste tre parole, qui da noi, che mi fa chiedere se noi siamo sopravvissuti per davvero.