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Caro collega, non ti chiedo l’eroismo, ma solo un po’ più di coraggio e di passione. (di A. Zanotelli)

Qualsiasi dominio dipende dai dominati. Anche quello dei media: lettori e giornalisti possono ogni giorno scegliere, possono ribellarsi.  Un appello di Alex Zanotelli ai giornalisti: “Mettete qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo”.  

Alex-ZanotelliCaro/a giornalista, pace e bene! So quanto sia difficile fare oggi il giornalista in Italia, dentro un sistema in cui i media sono nelle mani dei potentati economico-finanziari. Per questo non ti scrivo per chiederti l’eroismo, anche se in Italia abbiamo avuto tanti giornalisti ,che hanno pagato con il sangue, il coraggio di dire la verità al potere, sia esso politico, economico-finanziario o mafioso. Ti scrivo solo per chiederti di mettere qualche ‘sassolino’ nell’ingranaggio dell’informazione, facendo passare qualche notizia in più sui drammi dei più poveri, soprattutto del sud del mondo.   Ti confesso che mi fa tanto male vedere come l’informazione in questo paese sia così provinciale, così centrata sui nostri problemi, così persa nei meandri dei pettegolezzi della nostra vita politica e sociale. Come missionario sono profondamente indignato per il pochissimo spazio dato alle gravi crisi che attanagliano il sud del mondo, in particolare dell’Africa, il continente più vicino a noi. (E solo grazie alle testate missionarie, che gira qualche notizia in più e non nel grande circuito dei media). Non riesco a capire come, per esempio, si parli così poco delle tragedie in atto in quel continente.   Penso all’ attuale guerra civile in Sud Sudan, con migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Penso alla drammatica situazione della Repubblica Centrafricana, dove si è innescata un’altra spaventosa guerra fratricida. Penso ai bombardamenti in atto nel Sudan contro il popolo Nuba, da parte dell’esercito di Khartoum. Penso a tutta la zona saheliana che vive una stagione di grave instabilità. Siamo di fronte a immensi drammi umani, a massacri di popolazioni inermi, a milioni di rifugiati che ora premono alle porte dell’Europa. E tutto questo in un incredibile silenzio stampa. Ricevo ogni giorno appelli di missionari che chiedono di far conoscere i drammi dei loro popoli . Ma è quasi impossibile far passare tutto questo nei media nazionali. Siamo di fronte alla ‘globalizzazione dell’indifferenza’, come ha detto papa Francesco a Lampedusa. Caro giornalista, mi appello a te, alla tua umanità, perché tu possa darci una mano a far conoscere il grido di dolore di tanti uomini, donne e bambini. Te lo chiedo perché porto, da una vita, nel mia carne, la loro sofferenza. Ma anche perché come giornalista, ho pagato caro l’aver detto la verità al potere. Caro giornalista, vorrei che anche tu potessi aiutarci, invitando i tuoi colleghi a fare altrettanto. Se tanti giornalisti della carta stampata, del web, della radio e della televisione dessero solo un piccolo contributo, avremmo un miracolo informatico. Caro collega, non ti chiedo l’eroismo, ma solo un po’ più di coraggio e di passione.

I primi effetti della legge elettorale

Deve ancora passare “l’italicum” e Casini annuncia di tornare indietro:

Casini ha spiegato che il nuovo Ppe italiano sarà costruito “con Alfano ovviamente. Ma da Toti a Fitto, insieme a slogan del passato, ho sentito anche cose sensate. Per noi quella di Berlusconi é una grande questione che esiste. Le divaricazioni drammatiche che ci sono state non possono essere ricomposte con una battuta ma con un dibattito politico serio”.

Camorra, Stato e quell’altra trattativa

La fonte è il Procuratore Nazionale Antimafia Franco Roberti:

«In quegli anni (era il 1981, ndr) un coraggioso giudice istruttore, Carlo Alemi, nello svolgere le indagini venne posto in un assoluto e grave isolamento, addirittura con un ambiente ostile come quello della Procura dell’epoca, che gli remava contro». «Quando, dopo anni, pentiti del calibro di Pasquale Galasso e Carmine Alfieri conffrmarono che a trattare con Raffaele Cutolo e con le Brigate Rosse furono apparati dei servizi segreti – ha proseguito Roberti – noi pm recuperammo l’istruttoria e la sentenza-ordinanza scritta da Alemi, avendo totale conferma di quanto egli era riuscito ad accertare. E questa fu la prima vera “trattativa” tra Stato e mafia. La verità è che già in quell’occasione si volle stendere un velo di omertà con la complicità di apparati dello Stato. E fu necessario allora un intervento del presidente Pertini perché non si realizzasse un accordo scellerato con le Br e si riuscisse a spedire Cutolo all’Asinara. Niente, nella storia del nostro Paese è slegato: ma da allora a oggi se grandi passi sono stati compiuti lo si deve anche al sacrificio di magistrati come Livatino, Falcone e Borsellino».

(link)

 

Nelle accuse a Grillo facciamo i seri

Oggi leggevo Sergio Boccadutri nella pagina dell’attività istituzionale di SEL accusare Grillo di fare propaganda a pagamento perché

“Su internet sono facilmente reperibili le date e i prezzi di un tour a pagamento di Beppe Grillo in primavera che toccherà diverse città italiane proprio a ridosso delle elezioni europee, dal titolo non casuale, Te la dò io l’Europa”.

Io non amo i metodi di Grillo, non amo il suo linguaggio, non amo l’ignoranza esibita di alcuni suoi eletti e non amo lo svilimento della democrazia però non sopporto l’abbassamento del dibattito anche nel tentativo di demolirlo. Provo a spiegarmi: nel 2010 durante la mia campagna elettorale per le elezioni regionali in Lombardia alcuni esponenti del Popolo delle Libertà (a quel tempo Forza Italia si chiamava così) mi accusavano di fare politica nei miei spettacoli oppure di fare spettacoli nella politica. Ne ridevamo tutti. Insieme ci dicevamo quanto fossero vili nell’accusare le professioni intellettuali come conflitto di interessi. Poi è venuto il tempo di Celentano ma, a proposito di politica, già nel 1974 Gigi Proietti faceva politica negli spot per il NO all’abrogazione della legge sull’aborto (per i ficcanaso curiosi potete guardarvelo qui). Accusare Beppe Grillo di “fare propaganda a pagamento” è un attacco che non ha senso. Qualcuno mi dice “l’importante è che non faccia comizi” ma vi chiedo: se qualcuno vuole pagare i comizi di Grillo è un problema per la democrazia? No, non credo. Il tour di Grillo risponde a logiche commerciali e non a logiche politiche e in più non pesa sulle casse dello Stato. Io non amo Grillo ma non vedo gravità nei suoi spettacoli a pagamento nel Paese che finanzia Libero o Il Giornale. SEL che attacca Grillo nella sua attività attoriale (che può piacere o meno ma è “altro”) è una brutta caduta di stile. Prepari uno spettacolo Boccadutri, faccia un musical Renzi o prepari un circo Angelino Alfano, con soldi propri, con spettatori per scelta: questo sarebbe un Paese migliore.

Per il resto parliamo di politica, per favore. E la scelta della Boldrini di non dare spazio alle opposizioni è stata una pessima scelta.

Questo vi dovevo. Con tutta la mia lontananza da Grillo e dagli ultimi atteggiamenti di alcuni dei suoi.

La lezione dei detenuti ai commentatori (online)

Ai commenti idioti siamo abituati. Ai commentatori stupidi pure (e mica solo online).  Mantenere la discussione sul confronto senza offesa è un’impresa sempre più ardua per una serie di concause che contribuiscono al decadimento culturale generale su cui abbiamo tanto scritto e continuiamo tanto a leggere. Per esperienza personale devo ammettere che il luogo di pubblicazione cambia moltissimo il tono dei commentatori presenti e proprio per questo mi colpisce piacevolmente la risposta dei detenuti di Rebibbia ai commentatori de Il Fatto Quotidiano online. Una lezione di umanità, certo, ma soprattutto una lezione di utilizzo più maturo della parole (sul web): il potere scrivere di getto non toglie la possibilità di essere letti con calma.

E ancora, per l’ennesima volta, vogliamo ringraziare anche il signor Paolo. Quest’ultimo, nel suo messaggio al sito, non si limita agli insulti. Ma tenta un ragionamento. Dice che la difesa dei detenuti non deve appartenere alla cultura del Fatto Quotidiano e aggiunge che temi come questi, al massimo, possono trovare spazio su l’Unità. Una risposta ce l’aspettiamo anche da parte della redazione del Fatto, ma intanto noi una cosa al signor Paolo la vorremmo dire. Ricordandogli che è laCostituzione che dovrebbe obbligare i responsabili al reinserimento dei detenuti nella società. E il rispetto della Carta Costituzionale non crediamo che appartenga ad una sola parte politica, ma dovrebbe essere un elemento che
unisce tutti i partiti, tutte le culture, tutti gli orientamenti. O no? E infine, una parola su ‘leuciscus’. Lui ci vuole ben chiusi qui dentro. E chiede che si butti via la chiave. Noi non sappiamo chi sia che si nasconde dietro questo nomignolo. Magari è una persona integerrima, quelle “tutte di un pezzo”. Però le persone, tutte le altre persone al mondo, non sono fatte così. Capita nella vita di sbagliare. Capita di sbagliare molto e gravemente. Il diritto ad avere un’altra occasione,  dopo anni passati qui dentro, non sarà una norma prevista dalle leggi, ma crediamo debba essere un imperativo morale. Almeno per le persone che vogliono restare umane.
Sì, la cosa che più ci ha colpito della stragrande maggioranza dei commenti è proprio questa mancanza di umanità. E un mondo senza umanità è orrendo. Per chi sta in cella, ma anche per chi sta fuori.

Minacce in aula

Comunque la si pensi le minacce (in un’Aula di Tribunale) rivolte a Christian Abbondanza oggi da Peppino Marcianò sono la testimonianza che la misura è colma e la responsabilità dell’antimafia evidentemente sfilacciata:

“Tu ridi perché io sono qui dentro e tu sei là fuori. Ma se fossi fuori, non rideresti più”. Dalla gabbia dell’aula Trifuoggi del tribunale di Imperia, dove si sta svolgendo il processo per ‘ndrangheta “La Svolta”, Vincenzo Marcianò, figlio del presunto di boss di VentimigliaPeppino, non rinuncia a minacciare (guarda l’intervista a Peppino Marcianò nel video di ilfattoquotidiano.it). Vittima dell’intimidazione è Christian Abbondanza, presidente della Casa della Legalità di Genova, che assisteva all’udienza in prima fila. L’episodio si è poi ripetuto nel pomeriggio, poco prima che gli imputati decidessero di abbandonare l’aula come forma di “rispetto” e “in solidarietà” con Peppino Marcianò che, a 81 anni, non si è sentito bene e – per la seconda volta in due giorni – ha lasciato il processo.

Aspettando di essere tradotto fuori dalla gabbia con il padre in sedia a rotelle, Vincenzo si è rivolto ad Abbondanza apostrofandolo per due volte “pezzo di merda” e indicando le sbarre che lo separavano da lui. Le minacce sono state prese seriamente dagli agenti in servizio presso il tribunale, che hanno invitato l’attivista della Casa della Legalità a sporgere denuncia. Questo anche per li clima di tensione che si respira nel procedimento che vede 36 persone alla sbarra e che potrebbe arrivare a sancire per la prima volta la presenza della ‘ndrangheta in Liguria. Lo stesso pm della Dda, Giovanni Arena, che sta conducendo l’accusa, è stato posto sotto protezione dopo che alcuni imputati si sono lasciati andare a frasi ingiuriose e di tono minaccioso durante una delle ultime udienze.

Non è stato questo il primo avvertimento ricevuto dal pm. Già a luglio scorso, il collaboratore di giustizia Francesco Oliverio, lo aveva avvertito: “Lei dottor Arena è a rischio. La ’ndrangheta, quando vi saranno delle sentenze o delle conflsche di beni, gliela farà pagare. Non aspettate che succeda perchè poi sará tardi. Non necessariamente agiscono con criminali ma il più delle volte tramite persone insospettabili che vengono definite “corpo riservato”» Quelle di oggi non sono state le prime minacce neanche per Abbondanza, il cui nome ricorre più volte nelle intercettazioni dell’inchiesta La Svolta, profferito dagli imputati.

Dalle carte dell’indagine, infatti emerge che Peppino Marcianò era molto attento alla stampa e a quanto veniva pubblicato. Soprattutto da “quel cornuto di Ventimiglia (il blogger Marco Ballestra ndr) e Savona” (Abbondanza ndr). “Dovrebberlo aspettarlo e non lo devono ammazzare, ma gli devono tagliare la faccia, perché sta facendo troppi problem” si lascia scappare una volta Marcianò, mentre il figlio Vincenzo, l’autore delle ultime minacce, puntualizza “che secondo lui sarebbe da chiudere in qualche strada di campagna e sparargli alle gambe come avvertimento, e che comunque, se fosse capitato a lui di essere bersagliato a quell modo, lo avrebbe ammazzato”.

Chissà che qualcuno non rifletta. Perché queste certo non sono minacce che si possano inventare. O no?

Un Paese dopato

economia-criminaleInsomma l’economia è diventata da tempo il metro di giudizio della riuscita di un popolo. Non piace ma è così. E allora tutti a sciorinare numeri (avete notato che la ripresa è stata annunciata già una decina di volte da questo Governo, no?) e tutti a fantasticare dietro al feticcio del PIL. Io che lavoro con le parole non mi ci ritrovo ma questo srebbe il meno se non fosse che non ci si ritrova ultimamente chiunque abbia a che vedere con la felicità e la dignità. E quando ci illustrano i numeri continuano a parlare di un fatturato che non è reale poiché troppo appesantito dall’economia illegale che dopa la prestazione come nei peggiori sportivi olimpionici. Così oggi esce un articolo su Repubblica che dovrebbe almeno far vacillare le sicurezze dei capi di partito e dovrebbe rimettere in sesto le priorità e invece (scommettiamo?) rimarrà letto e incustodito come tutti gli altri:

Come una metastasi, l’economia nera, quella che reinveste, riciclandolo, il denaro pompato dal crimine, divora il Paese con percentuali di crescita spettacolari. Il denaro sporco immesso nel nostro circuito finanziario ed economico – secondo quanto documentato dalla Guardia di Finanza – ha abbondantemente superato nel 2013 il 10 per cento del Pil, ed è stimato in 170 miliardi di euro l’anno (75 dei quali sottratti al Fisco). Con margini di ricavo che oscillano tra i 17,7 e i 33,7 miliardi di euro e con una divisione del mercato che, sempre su base annuale, vede in cima all’istogramma della redditività il narcotraffico (7,7 miliardi di euro), seguito dalle estorsioni (4,7 miliardi), lo sfruttamento della prostituzione (4,6 miliardi) e la contraffazione (4,5 miliardi).

Il lavoro della Finanza ha consentito negli ultimi dodici mesi di sottrarre a questa immensa torta 3 miliardi di euro (si tratta del valore dei beni sequestrati alla criminalità organizzata). Un dato in sé lusinghiero e tuttavia infinitesimale se tradotto in percentuale (meno del 2 per cento) rispetto a quel valore assoluto – 170 miliardi – che definisce appunto il perimetro dell’economia criminale. Le mafie italiane e il loro fiorentissimo indotto di illegalità e riciclaggio nelle sue diverse forme – dall’usuraio di quartiere, alle società finanziarie, ai broker assicurativi – lavorano infatti in un mercato dei capitali aperto che cammina assai più rapido degli strumenti legislativi o amministrativi costruiti per aggredirlo. E a dimostrarlo basterebbero le 86 mila segnalazioni di operazioni finanziarie sospette girate nel 2013 dall’Uif della Banca d’Italia alla Polizia valutaria, il 40 per cento in più del 2012.

Le buone priorità per un buon governo

“Ieri la procura di Roma e la Guardia di Finanza hanno sequestrato beni per 154 milioni di euro, oggi sono stati sequestrati altri 270 milioni per un totale di 424 milioni di euro, un importo che equivale alla mini Imu. In due giorni sono stati sequestrati beni per oltre 400 milioni di euro – ha detto Pignatone – quanto la mini Imu sulla quale il Parlamento si e’ cosi’ affaticato negli ultimi mesi per trovare un modo per non farla pagare. Se si riuscisse a fare una seria lotta all’evasione…”.

Giuseppe Pignatone, Procuratore Capo della Procura di Roma

Mutolo e l’importanza di tenere alta l’attenzione

In un’intervista il pentito Gaspare Mutolo rispondendo a Silvia Truzzi de Il Fatto Quotidiano ancora una volta ci ricorda quanto “tenere alta l’attenzione” sia un fastidioso problema per le mafie. La risposta non è scontata non solo per il giudizio sull’azione politica (c’erano dubbi?) ma soprattutto perché investe i famigliari di vittime di mafia (e quelli che amplificano la loro voce) di una responsabilità pubblica oltre il dolore privato che per fortuna ha funzionato meglio della politica e continua a funzionare.

Mutolo, che cosa pensa delle intercettazioni di Riina?
Le aspettative di Riina, ma non solo le sue, sono state tradite: si capisce da come parla con Lorusso, quel compagno di sventura suo. Dopo tanti anni di collusione tra mafia, politica e affari, tutti questi grossi personaggi come Riina sono finiti in galera. Secondo la loro mentalità storta è perché sono stati traditi. La realtà è che i politici sono stati incalzati, in questi anni, dalle associazioni, dai familiari delle vittime della mafia. Penso a Maria Falcone, a Salvatore Borsellino, ai figli di Dalla Chiesa, alla moglie di Rocco Chinnici: persone che hanno continuato a mantenere alta l’attenzione sulle cose della mafia. Sono loro gli unici che lottano alla mafia, la volontà politica non c’è. Non vedo nessuna volontà di tagliare questi cordoni ombelicali tra le istituzioni e Cosa Nostra.

Il villaggio turistico della ‘ndrangheta

vista-generale-2_kleinLa Guardia di finanza ha sequestrato a Brancaleone un complesso turistico-residenziale del valore di 200 milioni di euro, alla cui realizzazione sarebbero state interessate le cosche di ‘ndrangheta degli Aquino e dei Morabito.  Il sequestro è stato fatto dal Comando provinciale di Reggio Calabria e dallo Scico di Roma delle Fiamme gialle, in esecuzione di un decreto di sequestro preventivo emesso dal gip del Tribunale reggino su richiesta della Dda. Cinque persone, tra imprenditori e pubblici funzionari, sono state denunciate in stato di libertà con l’accusa di abuso d’ufficio e falsità ideologica aggravati dalla finalità di agevolare l’attività della ‘ndrangheta, oltre che per reati paesaggistici ed urbanistici. Le indagini, coordinate dalla Dda di Reggio Calabria, hanno portato ad accertare la realizzazione nella zona jonica reggina, parte della quale sottoposta a vincolo paesaggistico, di opere abusive di imponente portata a favore delle due cosche di ‘ndrangheta.

Decine di ville realizzate su un ex terreno agricolo prospiciente il mare destinato ad uso turistico-residenziale grazie alla complicità di settori amministrativi comunali: è questo il complesso “Gioiello del mare” sequestrato dalla Guardia di finanza a Brancaleone ed alla cui realizzazione erano interessate le cosche di ‘ndrangheta degli Aquino e dei Morabito. Il cambio d’uso del terreno sul quale è stato realizzato il complesso turistico è stato ottenuto, secondo quanto è emerso dalle indagini, grazie ad una variante dello strumento urbanistico comunale che sarebbe stata illegittima. Tra le cinque persone denunciate c’è anche il dirigente dell’ufficio tecnico del Comune di Brancaleone, l’architetto Carmelo Borrello, di 45 anni, responsabile del procedimento in base al quale è stato realizzato il complesso turistico. Il sequestro e le denunce di oggi rappresentano il seguito dell’operazione Metropolis che nel marzo del 2013 portò all’arresto di alcuni imprenditori collegati alle stesse cosche di ‘ndrangheta coinvolte nell’operazione odierna. Tra di loro, due, Antonio Cuppari, di 50 anni, e Domenico Vitale, di 40, sono tra i cinque denunciati di oggi. Le altre persone coinvolte sono gli imprenditori Antonio Toscano, di 43 anni, e Antonino Iriti, di 56.

Beni per 12 milioni di euro sono stati sequestrati agli imprenditori Giuseppe e Pasquale Mattiani, di 79 e 51 anni, padre e figlio. L’operazione è stata portata a termine dagli agenti della Polizia di Stato di Reggio Calabria e Palmi e dal personale della Dia reggina e di Roma. Il provvedimento di sequestro, al termine di indagini condotte dalla Dda, è stato emesso dai giudici del tribunale di Reggio Calabria. Ai Mattiani sono stati sequestrati una villa, un fabbricato composto da quattro appartamenti, un immobile commerciale e vari terreni siti a Palmi, oltre ad altri tre immobili in zone lussuose di Roma. Il 12 novembre scorso a Giuseppe e Pasquale Mattiani furono già sequestrati beni per 150 milioni di euro, tra cui due alberghi a quattro stelle: l’hotel Gianicolo a Roma e l’Arcobaleno a Palmi.

(fonte: ansa)