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Fondazione Maugeri: gli innocenti che patteggiano

Un milione di euro a titolo di sanzione pecuniaria e la confisca di immobili per un valore di 16 milioni di euro. È il patteggiamento della Fondazione Maugeri, ratificato oggi dal gip di Milano Andrea Ghinetti. La fondazione pavese era indagata in base alla legge sulla responsabilità amministrativa nell’inchiesta milanese a carico, tra gli altri, dell’ex Governatore lombardo Roberto Formigoni, ora senatore del Pdl.

L’accordo di patteggiamento era stato raggiunto nei mesi scorsi tra i pm Laura Pedio, Antonio Pastore e Gaetano Ruta e la difesa e stamattina è stato ratificato dal giudice al termine dell’udienza. I 16 milioni di euro sono parte del profitto del reato, in relazione all’associazione per delinquere e alla corruzione di cui rispondono gli ex vertici e i consulenti del polo di riabilitazione con sede a Pavia, tra i quali l’ex direttore amministrativo Costantino Passerino e l’ex presidente Umberto Maugeri. Anche loro, così come altri indagati (cinque in tutto), hanno concordato patteggiamenti che dovranno essere ratificati nelle prossime settimane.

La notizia la riposta La Stampa e mi riporta alla Commissione Sanità della scorsa legislatura, quando abbiamo dovuto sopportare i pidiellini (e i leghisti al seguito) che ci accusavano di essere dei giustizialisti e di volere mettere in discussione l’etica del patron della Fondazione. Ancora una volta la giustizia arriva mentre la politica è secondaria (nel senso che arriva seconda) mentre passano le legislature e gli anni.

Ma il meglio deve arrivare: tra poco tocca l’udienza preliminare per Roberto Formigoni, che qualcuno in questa legislatura è riuscito a far diventare Presidente di Commissione, tra l’altro.

La disfatta del Nord

disfattaHo appena finito di leggere l’importante libro di Filippo Astone “La disfatta del Nord” e credo sia un fondamentale manuale politico per la classe dirigente padana. Dentro c’è il manuale delle cattive pratiche del nord e dei suoi amministratori in questi ultimi anni, con tutte le dannazioni delle esasperazioni leghiste e formigoniane. Leggendolo mi viene da pensare a quanto poco siamo riusciti a comprendere con ampiezza un fallimento culturale oltre che amministrativo.

Nel 1994 la nuova classe dirigente leghista e berlusconiana calava su «Roma Ladrona» con il preciso intento di risolvere la questione settentrionale e con essa tutti i mali del Paese. Celebrando le virtù del libero mercato, del lavoro e dell’imprenditoria, il nuovo potere nordista proclamava di voler cancellare decenni di centralismo, inefficienza e corruzione partitocratica.
A vent’anni di distanza non solo i leader del Nord non hanno imposto i loro presunti valori al resto d’Italia ma paiono averli dimenticati. Alla meritocrazia si è sostituito il nepotismo, alla concorrenza i favori personali, al libero mercato i sistemi di potere foraggiati con i soldi pubblici, all’austera operosità borghese una sfacciata rincorsa alle ricchezze, all’onestà i legami più o meno consapevoli con la criminalità organizzata.
Passando da Maroni a Formigoni, da Monti a Tosi e Ponzellini, dalla Lega a Comunione e Liberazione; tra banche che finanziano gli amici anziché le piccole imprese, grandi aziende pronte a fuggire all’estero, ricchezze accumulate a scapito della salute dei cittadini e amministratori che antepongono gli interessi privati al bene collettivo, Filippo Astone sfata definitivamente il mito dell’efficienza settentrionale.
La disfatta del Nord ripercorre passo dopo passo l’inesorabile corsa verso il declino economico, politico e morale delle regioni che pretendevano di guidare il riscatto del Paese ma hanno finito per scoprire che Meridione e Settentrione non sono poi così diversi e che esiste solo un’eterna, irrisolta questione italiana.

Domani torno a Cosa Nostra

Domani sera sarò all’Arci di Lodivecchio, alle ore 21, in via Giosuè Carducci. Nel lodigiano, insomma: a casa mia. Mi ero ripromesso di non fare più nulla per due motivi: perché nel lodigiano troppe cose devono ancora essere spiegate (e indagate) su ciò che mi è successo e come è stato gestito e perché nonostante la mia ostinazione non amo vivere un territorio che mi ha ferito e con cui fatico a fare pace.

Domani però torno con alcune novità: torno con un’indagine aperta sulle convergenti versioni di due diversi collaboratori di giustizia (avete letto bene: almeno due) su di me e la mia eliminazione. E questa certo non è una grande notizia ma è l’inizio di molte cose, sicuro. E poi torno con arresti eccellenti e molto lodigiani: i nomi che escono dall’ordinanza (ovviamente sono ipotesi, eh, non do la soddisfazione di farmi anche querelare oltre che minacciare) sono molto più lodigiani di quello che “timidamente” è stato scritto. Sono a Lodivecchio, a Tavazzano e sono anche i proprietari a Lodi di un’edicola proprio in Piazza e ex proprietari di una nota pasticceria di Corso Roma nonché di un panificio pasticceria (vi ricordate quando dicevo che l’omicidio del carabiniere Sali era avvenuto in un quartiere “ricco” di criminalità organizzata e tutti si erano straniti? Beh, è proprio lì a 100 passi, per dire). Insomma è vero che il giudizio di un GIP è solo l’inizio di un iter giudiziario che deve decidere colpevoli o no ma l’inopportunità di certi atteggiamenti è un fatto che può anche essere giudicato moralmente e i fratelli Catanzaro (che compaiono nell’ordinanza) hanno un modus operandi che dovrebbe aprire domande. Subito. Urgentemente. E senza paura.

Si legge nell’ordinanza (a pagina 521) e in un bell’articolo di Cesare Giuzzi sul Corriere della Sera che:

Vale la pena di prernettere un breve excursus cronologico in ordine alia presenza sui territorio lodigiano dei fratelli CATANZARO
I fratelli CATANZARO Stefano ed Ignazio giungono al Nord provenienti da Palermo tra !a fine degli anni ’70 e i primi anni ’80 in stato “dichiarato” di poverta, tanto da usufruire dei sussidi comunali.

lnizialmente avviano un panificio, poi un bar nella centrale via Roma di Lodi ed infine, dopo aver ceduto tutte le attivita commerciali, si dedicano in via esclusiva aile costruzioni edili, per poi tornare ad occuparsi di attivita commerciali, mantenendo attivi entrambi i settori.
Nel1985, Catanzaro Stefano, in concorso con altre persone di origine palermitana viene arrestato per rapina nei confronti di un gioielliere di Lodi. Qualche anno prima era stato denunciato per un furto in un cantiere.

Evidentemente, dopo tali condotte penalmente rilevanti, sfociate in denunce per reati contro il patrimonio. Stefano CATANZARO inizia Ia ascesa economica operando ininterrottamente per un lungo periodo nel settore della edilizia ,fino ad assumere una posizione di spicco nella zona di Lodi e di Massalengo, luogo nel quale le irnprese edilizie individuali di Stefano ed lgnazio CATANZARO hanno costruito diverse unita abitative , co!tivando i rapporti con le banche del luogo.

Ad oggi sono tutti in attesa di giudizio, certo. Ma i dettagli intanto pongono dubbi, domande. Non spetta a noi dare risposte, ma ci spetta coltivare e custodire le domande. Almeno questo.

L’evento su facebook è qui.

Governo sull’orlo di una crisi di servi

Alla fine quelli del PDL anche oggi urlano di voler fare cadere il Governo. E non lo faranno perché non sono ancora abbastanza forti per presentarsi alle elezioni e perché il semestre europeo bisogna completarlo per non perdere la faccia. Ma ancora una volta oggi gli interessi di uno tengono in bilico tutto il resto scrivendo un’agenda delle priorità che è disgustosa e indegna per una democrazia reale. Ancora una volta oggi dobbiamo constatare che le “larghe intese” sono state semplicemente la legittimazione di un politico che senza questo centrosinistra sarebbe già finito. So che alla fine sono sempre gli stessi discorsi, so che alla fine siamo sempre gli stessi (e in tanti) ad essere d’accordo su questo ma non possiamo esimerci dal valutare quanto sia impossibile parlare di politica in senso più ampio e compiuto. Alla fine tocca essere d’accordo con Renzi quando dice che questo è il tempo dell’immobilismo.

Sarà così ancora a lungo. E quando non sarà così vorrà dire che Berlusconi e Forza Italia saranno abbastanza forti per non essere battibili. E’ un capolavoro di idiozia politica, davvero.

In Lombardia si insultano tra di loro.

Grande spettacolo in Regione Lombardia, eh:

Volano gli stracci tra Roberto Formigoni e Bobo Maroni. Al Celeste non è andata giù la decisione di Regione Lombardia di costituirsi parte civile nel processo per lo scandalo Maugeri, per il quale è imputato per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. Ancor meno gradita la nomina di un legale esterno all’amministrazione regionale per depositare in cancelleria la costituzione di “parte lesa” nel procedimento in cui l’attuale presidente della Commissione Senato dell’Agricoltura.

L’avvocato in questione è Domenico Aiello, già legale della Lega Nord e sodale di Roberto Maroni. La cronaca giudiziaria è questa. Secondo l’accusa la Fondazione Maugeri avrebbe ottenuto da Regione Lombardia presunti rimborsi indebiti per prestazioni sanitarie, per circa 200 milioni di euro, attraverso una quindicina di delibere della giunta regionale. Parte di quei soldi, 61 milioni di euro secondo l’accusa, sarebbero stati distratti dalle casse della Maugeri, tramite il faccendiere Daccò e l’ex assessore regionale Antonio Simone. In cambio delle delibere, sempre secondo l’accusa, Formigoni sarebbe stato ripagato, attraverso i soldi distratti, con benefit di lusso per un valore di oltre 8 milioni di euro: viaggi, vacanze ai caraibi, la messa a disposizione di tre yacht, un maxi-sconto sull’acquisto di una villa in Sardegna, ma anche finanziamenti per cene e soggiorni al meeting di Comunione e Liberazione e 270 mila euro in contanti.

Se il riconoscimento dello stato di “parte lesa” da parte di Regione Lombardia non garantisce automaticamente la richiesta di danni ma solo l’eventuale partecipazione al processo, è abbastanza evidente che con l’udienza preliminare alle porte nessuno fino a ieri si era deciso a compiere il fatidico passo.

Formigoni, raccontano i suoi fedelissimi, era arciconvinto che Regione Lombardia sarebbe rimasta fuori dal procedimento. E allora scatta immediata la reazione. «Si tratta di un fatto mai visto prima e configura una scorrettezza istituzionale»,spiega in una nota l’ex presidente del Pirellone. «La vera notizia è che il Presidente Maroni ha dato l’incarico non all’Avvocatura regionale che è un organo istituzionale assolutamente qualificato e di grande efficacia, ma al suo avvocato personale al quale verrà evidentemente corrisposta congrua parcella a spese della Regione Lombardia».

Dall’entourage di Maroni si sussurra che la scelta si è resa necessaria per evitare che dipendenti scelti da Formigoni non risultassero sufficientemente “neutrali”. La replica è stizzita: «Sono professionisti che c’erano prima del mio arrivo, che hanno superato concorsi nazionali e che rispondono in prima persona delle loro azioni. E’ un insulto non attingere a tali risorse».

L’articolo di Marzio Brusini è qui. L’opposizione è lì.

Cavalli: «Avevo segnalato 3 anni fa le situazioni oggi venute a galla»

Intervista rilasciata a ILCITTADINO

«Chi si ostina a rivendicare che la mafia nella propria città o nel proprio paese non esiste, o è un ebete o è un colluso». Non usa mezzi termini Giulio Cavalli, attore e autore antimafia lodigiano, anche direttore artistico del Teatro Nebiolo di Tavazzano, dove ha ricevuto le prime minacce dalla criminalità organizzata e dove ieri è stato effettuato uno degli arresti “lodigiani” della maxi operazione antimafia della Direzione distrettuale antimafia di Milano. «Avevo parlato già nel 2009 in un incontro pubblico della cooperativa di facchinaggio di Cinzia Mangano e qualcuno se l’era anche presa – ha sottolineato ieri a “il Cittadino” l’autore lodigiano, che vive sotto scorta – : quella di ieri è un’operazione importante per diversi motivi. In primis perché dalla carte emerge che a Cinzia Mangano bastava pronunciare il suo cognome per intimidire e questa è una fantastica novità dal punto di vista della mafia e dell’antimafia. Porgere il cognome per “oliare” meccanismi industriali ed economici, dimostra che anche la regione Lombardia ha già un perfetto substrato paramafioso». Cavalli poi si concentra sulle condizioni di lavoro delle cooperative, «che vengono definite animalesche: questo dimostra che in alcuni settori c’è una latitanza non solo delle forze dell’ordine, ma anche dei sindacati lombardi che dovrebbe aprire una riflessione». Poi c’è il tema della diffusione del sistema delle connivenze nella realtà economica locale. «Il fatto che gli arresti siano stati effettuati in luoghi diversi ha un peso – chiude l’attore ed autore lodigiano – : significa che chiunque si ostini a rivendicare che la mafia nella propria città, o nel proprio paese, non esiste, o è un ebete o è un colluso. In entrambi i casi, inadatto al ruolo che riveste come amministratore. Ora la domanda è: siccome continuiamo a premere sulla politica perché ci sia consapevolezza delle infiltrazioni della malavita, il nostro territorio – dal punto di vista di forze dell’ordine e istituzioni – è pronto ad avere coscienza del problema e ad affinare la sensibilità? Oltre ad un minacciato ed un mafioso arrestato, in un comune deve cadere una bomba atomica per mettere in allarme?».

(Rossella Mungiello)

Ritornare a Kabum!

Lo spettacolo Kabum! per me è stato una chiave di volta: il primo monologo con cui abbiamo deciso di raccontare il presente e farlo in un modo nuovo. Se penso a Kabum penso alle tournée con Guido Baldoni e Stefano, penso a quanto ci siamo divertiti e riscoperti sui palcoscenici e tra il pubblico e penso alla soddisfazione di riportare il senso della Resistenza con una grammatica nuova.

Torniamo con Kabum, dopo così tanti anni, proprio a Boves che è il cuore dello spettacolo per la manifestazione Boves Letteraria. Se siete da quelle parti noi sabato siamo lì.

La figlia di Mangano e quello che avevamo scritto tempo fa

La notizia che rimbalza oggi è questa:

In manette genero e figlia di Mangano.
La Direzione distrettuale antimafia di Milano ha colpito un’organizzazione criminale di stampo mafioso attiva in Lombardia. Otto gli arresti, tra cui ci sono anche il genero e la figlia di Vittorio Mangano, l’ex stalliere di Arcore condannato per omicidio e considerato collegato alla mafia siciliana. L’uomo che Marcello Dell’Utri definì “un eroe” e che Borsellino pensava fosse una sorta di ‘chiave’ del riciclaggio di denaro sporco in Lombardia.

L’operazione della Dda, eseguita dalla polizia, riguarda un’organizzazione che dagli inquirenti è ritenuta emanazione diretta di Cosa nostra: gli agenti hanno eseguito perquisizioni di società cooperative attive nella logistica e nei servizi che mediante false fatturazioni e sfruttamento di manodopera hanno realizzato profitti in nero dal 2007.

Tra gli arresti, come detto, anche Cinzia Mangano, figlia di Vittorio, e il genero di lui, Enrico Di Grusa. In manette anche Giuseppe Porto, ritenuto l’uomo di fiducia a Milano di Di Grusa.

L’operazione ha evidenziato un cospicuo flusso di denaro che serviva per mantenere latitanti ma che veniva anche investito in nuove attività imprenditoriali, infiltrando ulteriormente, quindi, l’economia lombarda.

Noi l’avevamo scritto il 28 novembre 2009 qui e qualcuno si era arrabbiato. La curiosità paga.

Il mestiere di Vittorio Feltri

Scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

testata_homeHo letto con ribrezzo le parole di Vittorio Feltri (non riesco, per ecologia lessicale, a chiamarlo giornalista) su Fiorello in difesa del padrone Silvio Berlusconi e del suo videomessaggio. La vicenda è semplice come una litigata alle scuole elementari: Fiorello decide di mettere online una parodia delvideomessaggio di Silvio Berlusconi e Feltri risponde parlando di “schifo” e aggiungendo “con Fiorello sul suo vizietto della droga abbiamo taciuto”. Cioè: noi sì che siamo etici che non abbiamo detto che Fiorello si drogava.

Dice (bene) wikipedia che: la preterizione (dal verbo latino “praeterire”, letteralmente “andare oltre”, “tralasciare”), nota anche come paralessiparalissi o paralipsi (dal verbo greco παραλείπω, avente il medesimo significato), è una figura retorica con la quale si finge di non voler dir nulla di ciò di cui si sta parlando, e quindi lo si dice a chiare lettere. Vittorio Feltri ha usato un preterizione per dirci di non dire che Fiorello è colpevole.

Codardia semantica, verrebbe da dire, oltre che intellettuale. Ma oltre a questo c’è dentro tutta la deriva di un berlusconismo culturale che rivendica il diritto di un eccesso di difese sanguinoso e continuo appena qualcuno osa mettere in discussione il re: un metodo Boffo come ragione di vita e esibito con vanto. E non sarà un caso se proprio Vittorio Feltri sia stato sospeso dall’Ordine dei Giornalisti per avere “intaccato la fiducia tra stampa e lettori”.

Considerare le responsabilità di un uomo di spettacolo come Rosario Fiorello pari a quelle dell’uomo politico che ha guidato per vent’anni il Paese o confondere un reato con un’inopportunità (personale, tra l’altro) è il meccanismo della polvere alzata per nascondere l’orizzonte e la prospettiva reale: bitume rivenduto come cronaca, morale impastata con la merda e un po’ di pornografia lessicale per fare notizia, il tutto al ritmo della marcetta del “così fan tutti”.

Il comico Rosario Fiorello ha fatto il suo mestiere confezionando un parodia su Silvio Berlusconi. Il giudice per professione ha giudicato l’imputato Silvio Berlusconi. Secondo voi, in tutto questo che mestiere ha svolto Feltri?

Riaccendere la Mehari di Giancarlo Siani

Il 23 settembre del 1985 viene ucciso Giancarlo Siani, giornalista che si occupava di camorra, dicono le cronache.

Sbagliato.

Giancarlo Siani era un precario che poneva domande non convenzionali in un mondo come quello del giornalismo (ma non solo, perché ora è il mondo del lavoro, della politica, dell’ingegno applicato a qualsiasi professione) dove la precarietà è più pericolosa di una minaccia. O forse è la minaccia più pericolosa.

Mettere in fila i fatti e suggerire un ordine logico di lettura è la differenza tra il cronista passivo e l’osservatore (f)attivo: Giancarlo era un osservatore, un allenatore di logica e di consecutio dei fatti. Se non si coglie la differenza forse è inutile anche parlarne.

A Napoli in questi giorni si è deciso di riaccendere l’auto di Giancarlo (la Citroen Mehari) per ripercorrere il viaggio di Siani ma soprattutto per farsi una promessa: insistere con il dovere della curiosità e della logica e, se possibile, farla diventare una moda proprio oggi che va così poco di moda come allora.

Io, noi, ci vediamo per Giancarlo martedì 15 ottobre alle 18 al P.A.N.

Tutti gli eventi sono qui. Sperando che sia un buon viaggio soprattutto per noi.

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