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La Ragion di Stato

Da leggere stasera Francesco Migliore sull’affare Mukhtar Ablyazov:

Una volta  Noberto Bobbio scrisse che “ veri o finti, reali o inventati, i complotti che appaiono sulla nostra scena quotidiana sono comunque la rivelazione di una democrazia malsana”. L’Italia è lo Stato con più misteri al mondo.  La cultura del complotto , delle trame oscure e degli intrighi di potere ha sempre affascinato la mente dell’italiano. Lo ammise lo stesso  ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga, scomparso il 17 agosto di tre anni fa.  Il Presidente Picconatore, dalle pagine del suo libro “La versione di K”,  rispondendo al politologo torinese , disse che effettivamente “ siamo sempre portati a cercare altre verità. Ma aspirare alla quadratura del cerchio fa si che spesso ombre riottose sfidino le leggi della percezione e affollino impazzite la scena fino a oscurarla del tutto”.

Tuttavia, nella vicenda più tragicomica delle spy storie europee , quella dell’affare Mukhtar Ablyazov  non c’è bisogno di nessun tipo di analisi dietrologica. Citando il giornalista de il fatto quotidiano Alessandro Robecchi, “la davantologia basta e avanza” . Non c’è nessuna trama di film di serie Z, nessun  intreccio, doppio o triplo che sia.  D’altronde è lo stesso Cossiga a spiegare che “ nonostante tutto questo Paese è sempre riuscito a evitare che la sua democrazia, per quanto malsana, si ammalasse del tutto”.  Purtroppo è quella insopportabile  “Ragione di stato” connessa a  quella disgraziata posizione geografica che ha condannato e condannerà sempre il nostro paese alla sudditanza e subalternità del dittatore/ potente di turno.

Quello che spesso viene scambiato per complotto, per trama oscura o , volgarmente, per dietrologia è la semplice storia del nostro paese.  La storia  “come il cauterio del chirurgo: brucia, ma risana” (Riccardo Bacchelli, Il mulino del Po, 1938/40) .

Tra me e me

Tra me e me pensavo che salvare oggi Angelino Alfano, oggi che dovrebbe essere il giorno della commemorazione di Paolo Borsellino con la sua versione rigida e univoca della giustizia, ecco, salvare oggi Alfano con i voti di quelli che hanno votato una coalizione per non avere più tra i piedi i berlusconismi con tutti i suoi servetti, insomma, farlo oggi che ricordiamo Paolo che ha compiuto l’errore di non accettare mediazioni non solo fuori dalla legge ma anche quelle inopportune, ecco, proprio oggi il rispetto dello Stato ci ha detto quanto è diverso da quello di Borsellino.

Se davvero abbiamo lo spazio

C’è sempre una strana sensazione quando mi capita di stare qualche ora in aeroporto, in attesa della coincidenza che non coincide o sotto il cavolo di un ritardo mentre ritarda: l’inadeguatezza alla moltitudine.
Potrebbe sembrare agorafobia ma è piuttosto una domanda. Se veramente ci stanno tutte queste preoccupazione, queste frette pestate con i piedi, queste speranze di un buon arrivo o che sia giusta la partenza e queste mani che cercano di tenere tutto insieme. Se c’è un Paese davvero che riesca ad avere lo spazio non solo fisico ma dico proprio nel “recinto sentimentale” di quello che siamo quando cerchiamo di darci un nome che ci indichi tutti insieme. Una cosa così. Che poi credo sia anche politica. Forse. Ci vediamo stasera, a Marsala.

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Dove sono finito

Dove sono finito?  La domanda è un appunto sempre poco gentile. Vorrebbe avere il tono del ciaocomestai ma ha una curiosità che freme di sconfitta, di speranza solo per buona educazione. Dove sono finito, finisce che mi dico anch’io, o mio dio, dove sono finito per riflettere dentro gli occhi persi di una domanda come un miserere.

Ricordo che quando ero un ragazzino, dico appena iniziata la teatralità più come ispirazione che funzione,  che ci insegnavano a stare sulla corda. Dico, erano due gli esercizi più importanti: la barca e stare sulla corda. Sulla barca ci si spostava come sacchi sballottati per tenere in equilibrio la zattera immaginando un mare così stupido per le sue onde contrattempo. Invece la corda, lo stare sulla corda, intendo, era qualcosa come un insegnamento di vita: tenere sempre affamata la voglia e sempre tangibile l’ispirazione. Poi la corda in tensione l’ho ritrovata nella politica, banalizzata certo, e strumentale all’esibizionismo continuo. Stare, ma stare sui giornali piuttosto che esserci, esistere, ma esistere nell’elenco quotidiano dei megafoni, parlare, ma parlare dove ci si può notare, piuttosto zitto ma riconoscibile, riconoscibile mi raccomando, riconosciuto, la solita squallida litanìa dell’apparire come unico alimento.

Ecco, dove sono?

Qualche settimana fa, io non sono mai bravo con i tempi, dico ti richiamo e capace che passino anni come se fosse un mio diritto mettere in pausa il resto del mondo nei miei rapporti, come se il ritmo delle cose nostre fosse fuori dalle imposizioni del calendario, cronologicamente anarchico, una cosa del genere, insomma qualche settimana fa mi ha scritto una persona che conosco. E’ importante quello che mi ha scritto:

Stimavo Giulio, e tanto…
Ma la nuova vita da intellettuale/eremita, dissociato dal mondo e freddamente distaccato dalle persone che l’hanno seguito e sostenuto per ciò che faceva, l’ha reso una persona irriconoscibile.

Ecco, perché è importante quello che mi ha scritto: perché è la stessa domanda del doveseifinito ma più diretta, senza fronzoli, senza nemmeno il finto ardore di avere il tempo di aspettare una risposta. Scritto così, come un fulmen in clausola.

Se c’è una domanda che mi faccio tutte le mattine da almeno dieci anni è che lavoro faccio. Se devo tenere la corda tesa nel teatro, nella scrittura, nella politica e, se mi avanza anche il tempo, nel decidere dove finire. Devo pubblicare un libro all’anno? Devo avere ogni semestre una nuova “coraggiosa, civile e ben fatta” indignazione eroica da trasferire sul palcoscenico? Devo essere il pupazzetto onnipresente in tutti i circhi dell’antimafia? Devo essere il portatore sano della scelta giusta per la sinistra che vorremmo mentre ci si stringe il culo nell’essere democristiani già trentenni? Devo essere sempre ecumenico anche con le delusioni che ho dato e ricevuto? Sempre educato e gentile con gli arrivisti prodotti in serie che sanno benissimo dove arrivare e io non so nemmeno dove sono finito.

Sono finito a riprendermi un po’ tutti i pezzi che avevo lasciato in giro. Certi li ho ritrovati sottili e commoventi come i cocci riparabili di un vaso bellissimo, altri erano brandelli andati a male lasciti troppo in frigo, poi ci sono quelli che non ricordavo nemmeno come la caramella che ti salva il pomeriggio infilata nella piega cartonata della borsa, e poi mi sono messo a contarli. Sparpagliati sulla spiaggia. Anche senza spiaggia. Sono finito a rileggere il mio itinerario. Succede. Non credo sia una mania, una malattia, o un bel momento, non credo che capiti solo a me.

Scrivo. Erano anni che non riuscivo più a scrivere. Scrivo. Ora sì. Un romanzo che uscirà il prossimo anno che è il mio primogenito tra i miei romanzi. Scrivo uno spettacolo nuovo, mio, non solo mio, in cui provo a metterci il cuore.

Studio, studio senza volere credere che sia sano confondere le opinioni con gli insegnamenti e rinnamorandomi  dei fatti.

Recito. E mi sforzo di non prendermi mai troppo sul serio.

Seguo la politica. Sì. Da mediamente deluso senza troppi straniamenti. Ascolto, incontro e discuto con Pippo che riesce a tenere la barra diritta, mi incontro con le persone con cui sono politicamente cresciuto e progetto. Progettiamo. Senza preoccuparci di tenere tesa la corda. Così.

Per il resto sono finito a leggere da dove sono partito. E che la strada sia sempre quella.

Oggi non si invidia più ma si disprezza.

Viviamo nell’età del disprezzo?
«Siamo passati dall’ammirazione per il potere all’invidia e alla conseguente frustrazione. Oggi non si invidia più ma si disprezza. La società si è divisa tra i molti che disprezzano e i pochi che sono disprezzati».

Chi sono i pochi?
«Sono le oligarchie che un tempo erano nascoste e oggi sono percepite come tali».

Ovvero gli inammissibili privilegi di cui ancora godono?
«Sono mondi — finanziari e politici — chiusi all’esterno e molto litigiosi al loro interno. Da qui ne consegue quello che per me è diventato il chiodo fisso: aprire il mondo dei piccoli numeri ai grandi numeri, immettere energie sociali nuove in questo mondo chiuso »

Gustavo Zagrebelsky, uno dei pochi intellettuali di questi nostri anni, intervistato da Antonio Gnoli.

Ligresti, eh

Svolta clamorosa nell’inchiesta su Fonsai: questa mattina è finita agli arresti l’intera famiglia Ligresti: Salvatore, ai domiciliari, e i tre figli Giulia, Jonella e Paolo. Con loro sono stati arrestati dalla Guardia di Finanza di Torino su richiesta della procura di Torino anche gli ex amministratori delegati di Fonsai, Fausto Marchionni ed Emanuele Erbetta e l’ex vicepresidente Antonio Talarico. Le ipotesi sono di falso in bilancio aggravato per grave nocumento al mercato e manipolazione del mercato. Alle 11 si terrà una conferenza stampa degli inquirenti per spiegare l’operazione. Per i componenti della famiglia Ligresti e per le altre persone arrestate il reato contestato è quello di false comunicazioni sociali.

Adesso sarebbe bello ascoltare con attenzione la decennale classe dirigente milanese e lombarda che ha fatto da zerbino ad una famiglia che in una democrazia sana avrebbe meritato ben altro atteggiamento: almeno una sana diffidenza piuttosto che un collaborazionismo sospetto. No?

E preferisco non scrivere piuttosto che vendermi. I miei articoli sono in vendita, io no.

Dell’orrido e meraviglioso lavoro di scrivere dagli e degli Esteri, dopo la denuncia di Francesca Borri, risponde la giornalista Barbara Schiavulli. E la sua risposta è da leggere non solo per l’angolatura da cui mostra l’essere freelance inviata di guerra ma anche, e soprattutto, perché senza omertà fa i nomi e i cognomi. Come piace a noi.

Sono stufa dell’omertà dei miei amici colleghi, che per paura di non scrivere, non dicono niente. Non sto parlando da vittima, ma da frustata sì, le cose devono cambiare. E preferisco non scrivere piuttosto che vendermi. I miei articoli sono in vendita, io no. Se avessi un giornale prenderei i pezzi con le proposte migliori e nel caso di un evento avrei il mio giornalista freelance di fiducia, e lo vorrei sempre aggiornato nel suo campo. I ragazzi dovrebbero capire che valgono quanto prendono, se consenti a qualcuno di pagarti 2 euro, stai distruggendo te stesso e la categoria. Se tutti cominciassero a dire “no”, o in redazione se lo scrivono da soli o verrebbero a patti, e siccome le redazioni sono sempre meno affollate, non hanno altro modo che chiedere a noi. Sono stata lunga, ma l’argomento è spinoso e centrale per la vita di tutti. Non ho parlato di pericoli, di guerra, di cosa accade quando siamo in giro, perché questo è qualcosa che spetta a noi gestire. L’importante è che io la sera porti il mio pezzo a casa e lo possa mandare. Laggiù il problema è mio e me lo gestisco io. Qui, invece, è di tutti, è un problema di sostanza e futuro. La vastità di Internet fa credere di avere un sacco di informazioni, di cui però nessuno è sicuro, perché manca la professionalità di chi poteva garantire una notizia. Si perde la voglia di approfondire, di godersi un articolo scritto bene che ti trasporta lì dove le cose accadono, ci si nutre di politica e di pettegolezzi, ci si abitua a non pensare e a non chiedere. Ci si abitua a dimenticare e a fare finta di niente. E io e tutti quelli come me, moriamo. Ci crepa l’anima. Mi dicono che ci si deve riciclare, che bisogna essere aperti ai cambiamenti, che bisogna trovare altri modi, perché alla fine quello che conta è pagare il mutuo. Le rate della macchina non si saldano con i sogni o con l’impegno che abbiamo preso verso il mondo che vorremmo. E io sono, appunto, a quel bivio: devo continuare a credere che fare cultura sia importante anche quando nessuno la vuole, per essere quel tarlo che si insinua e rende comunque la vita più ricca, o mollare per non piangere più sui soldi che mancano sempre? Rottamarsi da soli, riciclarsi, dimenticare. Ingoiare la pillola amara dell’ignoranza e fare finta che non ho scritto sperando che le storie tremende che ho trovato, non si ripetessero di nuovo. Dovrei essere seria. Pensare a me. Ma sull’orlo di un paese in crisi, invece di trovarmi un lavoro concreto, vorrei fondare un giornale. Inguaribile, mi dico, come fosse un insulto. I sogni te li conficca il diavolo. E senza soldi, senza sponsor, senza nessuno che condivida un’idea, sono solo una malata terminale. Io e tutte quelle storie che potrebbero non essere mai più raccontate.

La sua lunga risposta è qui, per Valigia Blu.