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La memoria breve

memoria-iconAlessandro la chiama “principio dell’irresponsabilità” ma il concetto di fondo è lo stesso: gente che ha governato e improvvisamente indossa le vesti dell’opposizione contestando i propri atti di governo, politici da decenni che ci vorrebbero convincere di essere stati illuminati all’improvviso smentendo le decennali opportunità di governare che hanno collezionato in carriera, partiti ripuliti nel giro di una notte, macerie di partiti riciclate in movimenti civici e spartizione di posti e poltrone ancora prima che si siano celebrate (e magari vinte, se qualcuno se ne interessasse davvero) le elezioni.

Faccio una piccola proposta per la campagna elettorale che ci aspetta: non avere paura di parlare di discontinuità e magari praticarla. E costruire un’idea nuova di discontinuità che non abbia bisogno (solo) di cambiare le persone ma di sostituire vecchi metodi e gli antichi balbettamenti. E fare le cose seriamente: chiarire un programma che sia preciso nei suoi punti principali e che già oggi ci dica cosa vogliamo recuperare dalle demolizioni montiane nel campo del lavoro (l’articolo 18 ad esempio), dei diritti e nell’interpretazione dei rapporti di forza in Europa e nell’economia. Allo stesso modo in Lombardia smettere di lambiccarsi su ciò che di buono ha fatto Formigoni e raccontare cosa di diverso siamo pronti a mettere in campo noi.

Perché ogni tanto mi coglie il dubbio che in questa moda di “moderatismo” le diversità che ci impauriscono di più siano proprio quelle di interpretazione politica del nostro Paese. In un mare che assomiglia più ad un brodo in cui tutti galleggiano senza volere spiegare le vele. Galleggiare per trascinarsi alle prossime elezioni da sopravvissuti più che da timonieri. E poi stupirsi dei risultati delle radicalità, magari. E chiamarle populismi. Alla Monti.

Io non voglio morire d’intenti

Schermata 2013-01-01 alle 16.53.17Non ho mai ben capito se gli intenti vadano scritti la sera dell’ultima sera dell’ultimo giorno dell’anno o la mattina del primo dell’anno successivo. Confesso che non sono mai stato bravo con i bilanci e i consuntivi: mi immalinconiscono come le anziane nel letto d’ospedale che non ricevono mai visite e fingono di farsi compagnia con i parenti degli altri, promettendosi che gli basti così. Peggio ancora con gli esami di coscienza: ho un incalcolabile difficoltà con i sensi di colpa che mi rende clinicamente ossessivo e compulsivo verso le mie mancanze.

Potrei anche sognare intanto un anno che mi liberi le spalle da blindature e scorte. Non ci avevo mai pensato in questi ultimi anni, era un desiderio nella cesta dei desideri indesiderabili e invece mi si è acceso giusto giusto ieri notte mentre i botti diventavano un soffio rauco di polvere da sparo incollacciata sul marciapiede. E’ stato un desiderio che mi ha sorpreso: un ardimento spericolato dove ho pensato a me stesso con la cura che non pensavo di riuscire più ad usare. Perché se c’è un alone che mi ha unto in questi ultimi anni è proprio questa sensazione di eterna solitudine sorvegliata a vista che mi fa sentire di troppo in un mare di troppo poco e che non sono mai riuscito a spiegare. Rileggo il pezzo di Marco di due anni fa e mi sembra che ci sia la stessa musica di sottofondo. Non so se mi spiego: anni come un recinto che disegna i cerchi del mio tronco con le cicatrici al posto delle linee della crescita. Una cosa così. Pensavo che la mia vita fosse in una parentesi di controffensiva difensiva e invece è l’imboccatura di una strada di cui non se ne vede l’orizzonte. Niente panico o letteratissimi tormenti, per carità, ma una noia usurante che ha l’abitudine come unica lenizione possibile.

C’è il lavoro: il mio lavoro con la parola e la scena. In un anno di ricerca di nettare e nido tornare in scena con Duomo d’onore è stato un dito che ha toccato corde che temevamo non suonassero più. Ho bisogno di stare sul palcoscenico per parlare con me. Semplicemente. E non dovere rendere conto a nient’altro che i fatti e la bellezza: due compagni che litigano spesso. Ho ritrovato la mia quotidianità nel freddo e il disordine dei camerini, nei “due minuti” dati prima di cominciare bussando piano alla porta, nei vestiti di scena stropicciati come le donne bellissime con le loro rughe, negli amici che ti danno il cenno che è andata bene e nelle cene mangiate troppo tardi con la fame che corre contro il sonno. Se dovessi augurare un lavoro ai miei figli gli augurerei la fortuna di lavorare con la soddisfazione che va a dormire dopo di te, come capita a me. C’è la scrittura: questo 2012 è stato un anno di scrittura a singhiozzo tra la quotidianità delle cose quotidiane che lasciano sabbia nei reni e negli ingranaggi della penna. Mi ero promesso un romanzo per provare a volare e mi hanno lasciato a terra le informative, le sentenze e le scelte: questo mio nuovo anno ha quel romanzo da recuperare tra i bagagli smarriti.

C’è la politica: che è cambiata come un figlio che si fa grande nel tempo del tuo ultimo viaggio e lo ritrovi con la sensazione di avere perso proprio quel minuto in cui ti chiedeva di essere un padre presente. Ho amici sparsi in questa confusa tela di colori diffusi eppure distanti mentre l’occasione ci chiede di essere preparati alla raccolta. Qualcuno mi chiede perché non abbia partecipato alle primarie per il parlamento, qualcuno ancora insiste nel rinfacciarmi un “ritiro” per la presidenza lombarda, qualcuno mi chiede di Luigi De Magistris e gli arancioni (dimenticando Leoluca Orlando e quel pezzo di IDV che ci sta dentro e ci ha sempre voluto fuori), qualcuno mi dice che dovrei seguire Pippo Civati e gli altri (come se fosse un trenino dopo pranzo quando si è tutti un po’ brilli intorno ai tavoli con la cravatta slacciata) e qualcuno dice che Cavalli ha un assessorato promesso da Ambrosoli: continuiamo il nostro lavoro in Lombardia, semplicemente, con la serietà dei progetti iniziati e degli impegni presi con un Formigoni in meno. Non sembra difficile capire che la politica diffusa non è confusione nello spazio ma allargamento di persone e di idee. Fare rete piuttosto che preoccuparsi di stare in un buon posto nella rete.

Poi c’è la vita: e quest’anno la vita mi ha aperto stanze meravigliose e fresche, mi ha sbattuto in faccia porte che mi hanno fatto male e insegnato l’impegno e l’etica degli affetti. Vorrei imparare ad essere coraggioso senza bisogno di baldanza, vorrei fare pace con i dolori che non ho mai voluto guardare negli occhi, vorrei essere capace di sorridere di avere un fratello trentaquattro anni dopo che lo siamo stati prima di non saperlo fino ad oggi, vorrei togliermi l’alibi della solitudine per nascondere la cura che non mi voglio prendere, vorrei trovare le parole per spiegare ai miei figli che le scelte sono i mattoni necessari per i muri portanti della dignità, vorrei ascoltare chi ho deluso, ascoltarli per ore senza avere la debolezza di interromperli per giustificarmi, vorrei convincere più gente possibile che restare umani paga, e vorrei convincermene anch’io, vorrei avere l’intelligenza di perdonare con durezza e difendermi senza la macchia della vendetta, vorrei riconoscermi e farmi riconoscere in quello che faccio, quello che dico e quello che scrivo senza lasciare spifferi per dietrologie e isterismi.

Vorrei anche avere usato il “voglio” e non il condizionale ma non voglio tornare indietro a correggere le ultime righe. Le tengo così, come un impegno più che non un intento. Per non morire d’intenti. Con intenzioni serie.

Che sia un buon 2013.

 

 

A proposito di propositi

Il termine utopia è la maniera più comoda per liquidare quello che non si ha voglia, capacità, o coraggio di fare.

Un sogno sembra un sogno fino a quando non si comincia da qualche parte, solo allora diventa un proposito, cioè qualcosa di infinitamente più grande.
( A. Olivetti )

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Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?

P.: Oh che vita vorreste voi dunque?
V.: Vorrei una vita così, come Dio me la mandasse, senz’altri patti.
P.: Una vita a caso, e non saperne altro avanti, come non si sa dell’anno nuovo?
V.: Appunto.
P.: Così vorrei ancor io se avessi a rivivere, e così tutti. Ma questo è segno che il caso, fino a tutto quest’anno, ha trattato tutti male. E si vede chiaro che ciascuno è d’opinione che sia stato più o di più peso il male che gli è toccato, che il bene; se a patto di riavere la vita di prima, con tutto il suo bene e il suo male, nessuno vorrebbe rinascere. Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura. Coll’anno nuovo, il caso incomincerà a trattar bene voi e me e tutti gli altri, e si principierà la vita felice. Non è vero?
Malvino (in Leopardi) questo inizio anno è proprio da leggere.
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Buon anno secondo Einstein

Einstein2“Non possiamo pretendere che le cose cambino, se continuiamo a fare le stesse cose.

La crisi è la più grande benedizione per le persone e le nazioni, perché la crsi porta progressi.

La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce dalla notteoscura.

E’ nella crisi che sorge l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie.

chi supera la crisi supera sè stesso senza essere “superato”

Chi attribuisce lla crisi i suoi fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e da più valore ai probelimi che alle soluzioni.

La vera crisi, è la crisi dell’incompetenza.

L’inconveniente delle persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie d’uscita.

Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una routine, una lenta agonia.

Senza crisi non c’è il merito.

E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze.

Parlare di crisi significa incrementarla, e tace nella crisi è esaltare il conformismo.

Invece, lavoriamo duro.

Finiamola uno volta per tutte con l’unica crisi pericolosa. che è la tragedia di non voler lottare per superarla.”

(Albert Einstein)

Fare antimafia con “Abbondanza” in Liguria

Il mio pezzo scritto per IL FATTO QUOTIDIANO

gli-innominabili-FOTIA_ii-vol-quaderni-dell-attenzione“Due colpi di pistola alle gambe e se continua a scrivere un colpo alla testa che gli passa la voglia”, “Sanno tutto, scrivono di tutti”, “vanno lasciati perdere per un paio d’anni per eliminarli dopo”.
Dicono così i protagonisti delle intercettazioni dell’inchiesta “La Svolta” che ha colpito la ‘ndrangheta in Liguria. Messaggio chiaro: Christian Abbondanza e Marco Ballestra rischiano la pelle. Anche perché sono soli. Niente protezione per loro.

Comincia così l’articolo (che è più un grido di allarme) di Ferruccio Sansa su Il Fatto Quotidiano nel numero della vigilia di Natale; del bandito Christian ne abbiamo parlato e ne parliamo da un po’ cercando di sostenere  le sue denunce che risultano antipatiche e spigolose come sono spigolosi i rompipalle per vocazione. Vocazionista dell’antimafia più che professionista, si dovrebbe dire.

Se c’è qualcosa che a Christian va riconosciuto (da sempre) è l’amore per i dati, i confronti, i passaggi, le date e i collegamenti: merce rara in un movimento antimafia che rischai di diventare sociologico credendo di potersi bastare senza scendere nei dettagli investigativi e nella mappatura dei “cattivi” oltre alla memoria dei “buoni”, soprattutto se i “cattivi” sono sani, operativi e politicamente accolti nei loro territori.

So già (succede che me lo ricordino nei commenti ogni volta che ne scrivo) che Christian Abbondanza e la Casa della Legalità sono considerati scomodi anche da voci autorevoli dell’antimafia a cui sono molto legato (ne parla Savona News qui e risponde direttamente l’associazione qui) ma credo che il punto che oggi ci deve interessare sia un altro: la memoria antimafia deve essere abbastanza contemporanea da sfociare nella vigilanza per essere utile. E su questo credo non sia difficile essere uniti.

Oggi la Casa della Legalità decide di pubblicare uno dei loro Quaderni dell’Attenzione che contiene la raccolta (oltre 200 pagine), dal 2010 – 2012, delle pubblicazioni dedicata alla famiglia FOTIA ed alle loro imprese (il file è allegato). Il link per scaricare il volume [5,27 Mb] è questo (http://www.casadellalegalita.info/Gli-innominabili-FOTIA.pdf ).

La Nota Introduttiva al volume:

Questa è una raccolta dei testi sui FOTIA scritti e pubblicati tra il 2010 ed il 2012.
Molti di questi articoli hanno anche dato spunto ad attività investigative e giudiziarie e rotto
il silenzio che avvolgeva la famiglia FOTIA nonostante gli Atti parlassero da tempo
chiaramente.
Tutte le pubblicazioni si fondando su fatti di rilievo pubblico indiscutibile, ed informazioni
pubbliche relative ai FOTIA ed alle loro società.
Tra le fonti ufficiali utilizzate vi sono Atti Giudiziari (Sebastiano FOTIA, Pietro FOTIA,
SCAVO-TER, Mario VERSACI, indagine MAGLIO 3 e LA SVOLTA, TAR); Relazioni e
Rapporti della Procura Nazionale Antimafia, DIA, Commissione Parlamentare Antimafia;
Informative ROS e Polizia di Stato.
Sono stati inoltre richiamati articoli di stampa nonché documenti contabili e visure camerali
delle imprese dei FOTIA, oltre a delibere e determine di Enti Locali.
E’ una verità scomoda che qualcuno, oltre a loro, vuole oscurare, con una vera e propria
censura. Da un lato hanno tentato di fermarci con intimidazioni palesi, dall’altro con azioni
legali a raffica volte sempre a cercare di farci tacere. Hanno tentato aggressioni e
delegittimazioni di ogni genere… ma noi non abbiamo mai ceduto!
Noi non chiniamo il capo, altri sì, lo hanno fatto e lo continueranno a fare. Per noi conta la
verità dei fatti, piaccia o non piaccia agli “innominabili” signori FOTIA, secondo gli Atti:
cosca MORABITO-PALAMARA-BRUZZANITI.
Siamo o no dei “banditi”? Quindi, ecco a voi, questa storia, fatta di capitolo dopo capitolo,
in ordine cronologico di pubblicazione, dove la situazione veniva aggiornata, pezzo dopo
pezzo, sino ad oggi. Tasselli scomodi di una realtà indecente che bisogna conoscere!
Buona lettura e se volete diffondete!

Mi sta sempre a lato l’ombra d’essere stato un disgraziato.

Il rimorso

 

Ho commesso il peggiore dei peccati

che un uomo possa commettere. Non sono stato

felice. Che i ghiacciai dell’oblio

possano travolgermi e disperdermi, senza pietà.

 

I miei mi generarono per il gioco

rischioso e stupendo della vita,

per la terra, l’acqua, l’aria, il fuoco.

Li frodai. Non fui felice. Realizzata

 

non fu la giovane loro volontà. La mia mente

si applicò alle simmetriche ostinatezze

dell’arte che intreccia inezie.

 

Ereditai valore. Non fui valoroso.

Non mi abbandona, mi sta sempre a lato

l’ombra d’essere stato un disgraziato.

 

(Jorge Luis Borges – El remordimiento, in La moneda de hierro, 1976)

borges

La prof senza nome

scuolaNo, non vi racconto di lei, ho promesso, ma di normali commozioni. Grondanti di tenerezza da far schifo a me per prima. E invece non c’è niente di retorico, è la normalità. Che una prof si commuova per i temi che legge scritti dai suoi alunni, per i pensieri troppo grandi di ragazzi così piccoli, per le piccole opere d’arte disegnate o gli sgorbietti con dedica e te li scambi come le figurine, specialmente quando arrivano dal figliol prodigo. Quello che era andato via e te lo sei visto tornare una mattina.

“Guarda, guarda, leggi qua “io un giorno andrò via per ritornare””e non partono mai “Tu guarda questo quanto è bravo… Non imbrocca un verbo ma guarda che bella mano”.

Ce l’ho, ce l’ho, mi manca. Quello col padre in carcere? Ce l’ho. Quello che viene a scuola in pigiama e si riaddormenta sul banco? Ce l’ho. Quello che ti salta giù dalle finestre? Ce l’ho. Quella brava che sembra che frequenti un college? Ce l’ho. La madre dell’alunno che si presenta con la scopa in mano fuori dai cancelli perché te le vuol dare e non potendo entrare si scatena col cofano? Ce l’ho. E il fidanzato di quella della 3G che si pianta alla finestra e le manda baci da fuori e le lancia baci perugina e tu stancamente al bidello “maniscalco senta me lo allontana da fuori”? Ce l’ho. E l’alunno che ti ha aggredita? Ce l’ho. E la varicella a 42 anni e il morbillo a 44? Se vabbè. Giuro. Ce l’ho. Ce l’ho.

E quello che dice “basta con questa retorica delle scuole a rischio?” Cavolo, ne ho tre, no..forse di più.. E quello che si sente uno strafigo pazzesco nel dirti “sì, ma i prof di oggi, ai miei tempi…”? E il ministro che viene a visitare la scuola dopo l’atto vandalico, regala una targa al preside e una medaglietta al primo della scuola e però ti taglia il fondo di funzionamento d’istituto e non ci son soldi per i supplenti e dunque quel giorno la 3G entra a 2° ora e Mannino la prima ora se la passa a tirar pietre da fuori a quelli della 2F che gli hanno detto “troia tua madre”? E che fai? Lo sospendi così continua a tirar pietre da fuori? Te lo tieni in classe. Ce l’ho. Ce l’ho. E il prof che arriva e ti dice “ma siete pazzi?” rimane 15 giorni e se ne va? E quello che fa più danni che altro? Ce l’ho. Dai, qualche testa di cazzo c’è,  normale statistica.

E ridiamo, eccome se ridiamo. E ci incazziamo. Eccome se ci incazziamo.

Sempre bravissima Mila Spicola e il suo guardare la scuola con gli occhi del cuore.

Un buon voto di fine anno

Dunque domani in Lombardia si vota per le primarie dei parlamentari di SEL e PD. Conta sottolinearlo perché su giorni, orari e modalità mi sembra che ci sia un po’ di confusione e allora forse è il caso di ricordarlo.
Qui trovate il sito per le primarie, qui l’elenco dei seggi, qui i candidati SEL nella circoscrizione Lombardia 1.

Io scriverò con convinzione Paolo Oddi e Patrizia Quartieri per la Camera: perché l’agenda del primo poggia su un bilancio umano che si preoccupa più dell’uguaglianza che del pareggio e perché il lavoro di Patrizia in Consiglio comunale a Milano è sotto gli occhi di tutti.
Per il Senato scrivo Roberto Imberti perché credo che faccia bene a SEL giovarsi della sua esperienza.

Il merito comunque credo che vada riconosciuto a tutti i candidati (alcuni che apprezzo, altri che non ho avuto modo d conoscere) che rendono questo 29 dicembre un altro giorno di partecipazione che non può che fare bene alla politica, ai partiti e a noi.

Qualcuno mi chiede di me: noi siamo qui a lavorare per portare avanti il lavoro in questa Lombardia che ci sta tanto a cuore e che sembra potersi slegare dal formigonismo di questi anni. Lo facci perché credo nell’impegno che mi sono preso già due anni fa con i miei elettori e perché credo che un “pezzo” di rivoluzione (o meglio di “prepotente evoluzione”) debba essere coltivato qui. Lo faccio perché sono uno OSTINATAmente Smoderato che non ama i travestimenti centristi che si vogliono arancionare e riciclare anche qui: insomma credo che ci sia da continuare a fare lo “scassaminchia” in Lombardia. Qualche piccolo mistificatore parla di un assessorato che mi è stato garantito. Me l’aspettavo (l’avevo predetto qui): chiederò l’assessorato alle malelingue croniche così ho già in mente una folta schiera di dirigenti.

Poi qualcuno mi chiede di Civati che come saprete (e se non. Lo sapete apprendetelo in fretta e spargete e voce agli amici di Monza e provincia) partecipa alle primarie per la Camera nelle liste del PD in Brianza. Pippo di queste primarie è uno dei “padri” lombardi per l’impegno con cui le ha chieste e ottenute: era normale che questa fosse la strada che ora deve percorrere (tra l’altro mettendosi in gioco senza rivendicare pesi interni o posti garantiti. La sua non è una dipartita, è un allargamento (chilometrico e politico) di collaborazione.

Buon voto.

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Lucidare scarpe

“Mi ami ancora?” chiedeva.
All’inizio della nostra storia quella domanda era una specie di gioco segreto a cui io ero felicissimo di rispondere.
“Certo che ti amo” le rispondevo “nessuna è mai riuscita a farmi lucidare le scarpe tante volte come te. Mi piace lucidare le scarpe. Credevo fosse impossibile e invece mi piace lucidare le scarpe. Vuol dire che ti amo.
All’improvviso era diventata una domanda con pressione da abisso oceanico.
(Cristiano Cavina, I frutti dimenticati Marcos y Marcos, 2008)
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