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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

‘Ndrangheta in Lombardia: cosa (non) hanno detto i politici Abelli e Giammario

«Il contesto processuale nel quale questi personaggi politici e le persone del loro entourage sono stati chiamati a testimoniare era fra i più delicati ed imbarazzanti che si possano immaginare, visto che qui si discute di ’ndrangheta e di patto di scambio politico-mafioso: si possono perciò ben spiegare le prese di distanza, il riferimento al gran numero di persone che si finisce con l’incontrare nel corso di una campagna elettorale». Per questo «i contributi dichiarativi» sono risultati «estremamente prudenti, assai generici, a tratti sfuggenti e in più di un passaggio inconciliabili con altre emergenze processuali: insomma, poco utili per l’accertamento della verità».

(Motivazioni della sentenza con cui i pm di Milano hanno inflitto le 41 condanne nel processo Infinito, tra cui quelle all’ex manager Asl Carlo Chiriaco e all’avvocato Giuseppe Neri)

L’antipatico adagio della “sinistra”

Mi chiedono cosa ho intenzione di fare, in politica. Sì, bello, bravo, mi dicono, sei stato bravo e bello ma cosa sei e ancora meglio cosa vuoi essere? La politica è una cosa seria quando serve ad alleggerire l’oppressione degli oppressi ma diventa un esercizio dialettico nei salotti romani. Un reality dove l’isola è il parlamento e le facce vendono sempre più delle idee. E poi sbuca sempre prima o poi (appena un secondo prima della proposta dell’aperitivo) la “sinistra”. Dici “sinistra” di questi tempi e sei già stimabile di tuo perché hai il coraggio di pronunciarla senza eccezioni di parte. Tempi bui questi in cui una parola si porta con sè un bagaglio intero di pregiudizi.

C’è stata la sinistra responsabile che voleva dimostrare di avere la maturità di stare al governo. E ne è uscita (mio dio con che eleganza però, eh) un secondo dopo il governo appena impastato e fatto.

C’è la sinistra dura e pura che a forza di essere puramente dura e duramente pura ha finito per allearsi con quei quattro aspiranti confindustriali che stavano nel partito a forma di piscina gonfiabile insieme a Tonino Di Pietro.

Poi c’è la sinistra di Ingroia che ha voluto essere apartitico con tutti i segretari di partito capilista. Non sarebbe nemmeno servita un’indagine dei vigili urbani per capire che il ricambio era un’ispirazione rimasta bloccata come un nodo in gola e alla fine aveva la forma e l’odore di uno sputo minoritario per sintesi organica.

Poi c’è la sinistra extraparlamentare, extrapotentati che ha finito per essere anche extrasociale come un barricadero intriso di rhum ma simpaticissimo, per carità, come affascina seduti al bancone nessuno mai, mai.

Poi c’è la sinistra del centrcentrocentrosinistra che non vuole cambiare la partita ma vuole cambiare il partito e alla fine vorrebbe convincerci che la loro battaglia sia totalizzante nonostante il recinto. Perché per costruire una sinistra in Italia, ci dicono, bisogna fare che il PD diventi di sinistra. E poi giù con le risate finte come nelle commedie in pellicola incrostata e incerottata degli anni ’50.

Rimane di sinistra qualcuno, sì. Rimangono di sinistra gli anziani seduti al bar che vorrebbero far pagare in modo direttamente proporzionale le tasse come avevano scritto quei tali nella Costituzione parlando di “ognuno secondo la propria capacità contributiva”. Vorresti far pagare quindi i ricchi? Chiedono sdegnati i responsabili del bar ACLI la giù nella bassa provincia di qualsiasi provincia qualsiasi e quelli, responsabilmente alcolici come erano alcolici i compagni qualche decennio fa, dicono che sì, che dovrebbero pagare la crisi quelli che non l’hanno sentita che spesso sono quelli che l’hanno provocata per una disuguaglianza che costa troppo ormai. Ma nessuno li prende sul serio, nessuno.

Poi ci sono i “cantori della sinistra”. Meravigliosi. Aprono un cantiere al giorno e intanto dentro le proprie mutande nominano anche il segretario di circolo. Perché il controllo è tutto, dicono, e poi da lì credono che passi la potenza mentre spariscono nelle percentuali.

Vincono tutti lì dentro il recinto e sono preoccupatissimi di quello che si potrebbe preparare fuori. Mi telefonano allarmati e allarmanti. Perché a lavorare normali, senza commissioni e strategie da caffè, ma lavorare normali con un lavoro che sia di scadenze e cliente e impegni presi non riescono a concepirlo. Proprio no.

Cosa stai facendo? mi chiedono. Cosa hai intenzione di fare, intendo politicamente? Osservo il teatrino della sinistra più mendace e borghese di questi ultimi anni. Poi si vedrà. Come in “via col vento” perché mi vergogno anche solo a citarlo, Berlinguer.

La ‘ndrangheta scarica i rifiuti a Lodi

Sono state eseguite dall’alba di martedì in Lombardia otto ordinanze di custodia cautelare a carico di imprenditori lombardi attivi nel settore del movimento terra. L’indagine, nata da una costola dell’operazione «Infinito», avrebbe dimostrato l’esistenza di legami tra l’imprenditoria locale e alcune famiglie calabresi legate alla ‘ndrangheta. L’operazione è stata condotta dai carabinieri del Noe e del comando provinciale di Milano a conclusione di un’inchiesta coordinata dalla Procura di Milano.

LE CAVE – Gli imprenditori arrestati si sono aggiudicati diversi appalti in cantieri di Milano e dell’hinterland: attraverso il sistema del «giro bolla», che falsifica sulla documentazione la vera natura del rifiuto, sarebbero riusciti a smaltire illecitamente tonnellate di rifiuti in due cave dislocate in provincia di Lodi e Novara. Gli accertamenti, secondo quanto spiegano i carabinieri, hanno consentito di deferire in stato di libertà altri 20 soggetti, tra autisti e «padroncini», la cui presenza all’interno delle aziende degli arrestati veniva imposta dalle «famiglie» della ‘ndrangheta.

SEQUESTRI – Sequestrate due aziende di trasporto, due impianti di trattamento rifiuti e circa 30 automezzi utilizzati per il trasporto delle terre inquinate.

O mio dio, ho la scorta

Di solito fanno una faccia mutevole di corsa: cambiano espressione e passano dal pentimento di non conoscermi attraverso la pena fino alla stima incondizionata. Il tutto in tre, quattro minuti in cui la vita davanti però se la vedono passare gli altri, mica io. Sono sette anni che vivo sotto protezione. Dal 26 aprile 2006. Come un anniversario ma con meno dolcetti, spumante e candeline. E in questi sette anni la scorta, lì fuori dove si scrive sui social o sui giornali, è diventata di tutto e di più: una condanna, un’esibizione, un privilegio, un costo, un diritto, un dovere, uno spreco fino a questi tempi ultimi in cui è scontata quasi banale.

Il primo giorno sono uscito dal cancello e ho trovato due tizi più stralunati di me che sembrava mi chiedessero i tempi del copione di questa drammaturgia inaspettata: avere la scorta a Lodi (quella provincia che esiste per essere la prima verso sud dopo il casello di Melegnano) è più o meno come girare nudo con un calzino sul pene per le vie di Roma o Milano, ti si nota, eccome.

Poi è venuta l’abitudine ma è un’abitudine inquieta. Sembra un ossimoro, effettivamente.  Ma l’abitudine ha l’occasione ciclica per essere spezzata della paura perché sì, ho avuto paura, ne ho ancora, ma è una paura che richiede anni di studio e alfabetizzazione per essere colta dal gambo in su senza fermarsi ai petali che fanno notizia ma sono solo un’escrescenza del totale.

Poi è venuta la delazione: quella subito, in contemporanea alle minacce perché in fondo hanno le stesse radici e pure la stessa natura, anche se i delatori pensano di poter essere i censori dei minacciati. Sono stati tanti e comunque simpatici: prima piccoli potentati lodigiani (sono in corsa in queste elezioni) che da sinistra sono riusciti ad essere sinistri solo per cercare di colpire me o Andrea Ferrari (un amico, in quei tempi, e si costruiva insieme) e che poi si sono sciolti anche solo per una presenza a qualche festival democratico, poi sono arrivate le delazioni dei berluscones (eppure proprio da quelle parti era arrivata l’offerta di una scorta “pagata privatamente per garantire la mia sicurezza”) e infine le delazioni peggiori, quelle dei divi antimafia che hanno il pregio di essere figli e presidenti o qualche altro membro di una qualsiasi accolita dei rancorosi.

Poi è venuta la lotta politica. Che non è mica lotta “in” politica ma sempre lotta “dalla” politica. E così ho un elenco lungo di dirigenti diligenti della sinistra che mi scrivono grosso sui manifesti delle iniziative elettorali ma poi bisbigliano più biliosi di una vecchia suocera e megera. Del tipo: Cavalli ha la nostra vicinanza perché scortato ma è un rompicoglioni. Perché gli sfugge che in un tempo così banale basta essere un rompicoglioni per avere bisogno di una tutela armata piuttosto che amabile. I delatori di sinistra sono fantastici: riescono a organizzare grandi fiaccolate per te e intanto organizzano l’ennesimo eccesso di difesa per un attacco che non ho mai sferrato. Pagherebbero per monetizzare politicamente una situazione come la mia. Rimangono basiti solo un attimo quando gli dico che vorrei indietro almeno i miei figli.

Poi ci sono i “pretini”: dicono che la scorta è una sventura. O mio Dio. Si inginocchiano e pregano, Pregano così forte che non hanno nemmeno un secondo per ascoltarti o al minimo sentirti.

Poi ci sono i democristiani della paura: ti dicono che la scorta è un dolore troppo grande per la politica. Come se Dell’Utri, Cosentino, Mangano, Mancino, Violante e Berlusconi fossero dei foruncoli che sono usciti solo per lo stress della paura. Gli dici che sei di sinistra, comunista forse, o comunque che Peppino Impastato era un “compagno” e si mettono le mani sulla faccia invocando dio (quello minuscolo funzionale alle schede elettorali) dicendo che la scorta e la paura non sono né di destra né di sinistra. Ma io no, perdio.

Poi ci sono gli indifferenti. Tanti, tantissimi e sempre eleganti. Camminano per la loro strada che di solito è un vicolo bavoso e angusto e ti insegnano che l’indifferenza è il balsamo della vita. Stanno bene. Hanno l’abito del magister e la responsabilità di un servitore gentile: ringraziano, si inginocchiano, omaggiano e poi cercano il riscatto nella pippata del sabato sera.

O mio dio (minuscolo) ho la scorta e così poca penna per raccontare tutto l’unto tutto intorno.

Non esiste un solo ettaro in Italia di natura “naturale”.

La sostenibilità è uno dei mantra dell’architettura del  nostro inizio millennio. Ma che significa, in pratica? “Chilometro zero”, “emissione zero” (spero non “tolleranza zero”!), e poi? Una visione dell’Italia del futuro che non comprenda che il tema vero dovrà essere la “cubatura zero” è una visione ancora legata al narcisismo puerile dell’idea di moderno. Sappiamo che la popolazione nazionale comunque crescerà, anche grazie alle forze nuove che vengono dalle epocali immigrazioni globali. Ma dobbiamo abbandonare il mito devastante, e in fondo piccolo borghese, della frontiera (mito importato, imposto, deleterio). La sfida autentica sarà costruire senza neppure rubare un solo metro quadrato di territorio agricolo, di costa, di argine, di declivio. La cubatura zero è un imperativo morale.

Oggi 100 metri quadrati al minuto di Pianura Padana vengono cementificati nel nome delle magnifiche sorti e progressive. E gli ettari di abusivismo edilizio spalmati per l’intero stivale neppure si contano. Tutto ciò non si può più sostenere, è un suicidio simbolico, artistico e materiale. La tela dell’opera d’arte globale che è l’Italia ha bisogno di ricuciture degli strappi, di attenzione, di cura. Ecco la sfida per la nuova generazione di architetti: censire, discernere, conservare. Ma anche approntare cancellature nel palinsesto, non avere paura a demolire e riprogettare intere parti del territorio, riedificare meglio e con maggiore consapevolezza le nostre città. Contraendo, piuttosto che invadendo, modificando abitudini di mobilità privata, ridisegnando gli spazi metropolitani, estendendo le superfici dedicate all’ambiente.

Il lavoro è enorme. Riqualificare le coste, dalla Liguria alla Calabria, demolendo chilometri di inutile edilizia di scarsa qualità, seconde, terze case sfitte e decrepite; ridefinire e consolidare gli argini e i letti dei nostri fiumi, riforestare i crinali contenendo i dissesti idrogeologici, liberare la Brianza dallo sprawl indifferenziato, bonificare la Terra di Lavoro dalle discariche abusive tossiche , etc. etc.

Gianni Biondillo implacabile (sì, è l’aggettivo giusto) su Nazione Indiana.

Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia

“Ai miei amici che vivono fuori dalla Turchia: scrivo per farvi sapere cosa sta succedendo a Istanbul da cinque giorni. Quattro giorni fa un gruppo di persone non appartenenti a nessuna specifica organizzazione o ideologia si sono ritrovate nel parco Gezi di Istanbul. Tra loro c’erano molti miei amici e miei studenti. Il loro obiettivo era semplice: evitare la demolizione del parco per la costruzione di un altro centro commerciale nel centro della città. Il taglio degli alberi sarebbe dovuto cominciare giovedì mattina. La gente è andata al parco con le coperte, i libri e i bambini. Hanno messo su delle tende e passato la notte sotto gli alberi. La mattina presto quando i bulldozer hanno iniziato a radere al suolo alberi secolari, la gente si e’ messa di mezzo per fermare l’operazione. Non hanno fatto altro che restare in piedi di fronte alle macchine.Nessun giornale né emittente televisivaera lì per raccontare la protesta. Un blackout informativo totale. Ma la polizia è attivata con i cannoni d’acqua e lo spray al peperoncino. Hanno spinto la folla fuori dal parco. Nel pomeriggio il numero di manifestanti si è moltiplicato. Così anche il numero di poliziotti, mentre il governo locale di Istanbul chiudeva tutte le vie d’accesso a piazza Taksim, dove si trova il parco Gezi. La metro è stata chiusa, i treni cancellati, le strade bloccate. Ma sempre più gente ha raggiunto a piedi il centro della città. Sono arrivati da tutta Istanbul. Sono giunti da diversi background, da diverse ideologie, da diverse religioni. Queste persone sono miei amici. Sono i miei studenti, i miei familiari. Non hanno “un’agenda nascosta”, come dice lo Stato. La loro agenda è là fuori, è chiara. L’intero Paese viene venduto alle corporazioni dal governo, per la costruzione di centri commerciali, condomini di lusso, autostrade, dighe e impianti nucleari. Si sono ritrovati per fermare la demolizione di qualcosa di più grande di un parco: il diritto a vivere dignitosamente come cittadini di questo Paese.”

La lotta all’evasione. Per finta.

«La strategia» di lotta all’evasione «adottata dal legislatore nel corso della passata legislatura» è stata «caratterizzata da andamenti ondivaghi e contraddittori». La critica è contenuta nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, secondo cui «il contrasto all’evasione continua a essere un elemento centrale e imprescindibile nell’azione di risanamento della finanza pubblica, sia per i suoi effetti sull’entità delle entrate sia per la redistribuzione del prelievo fiscale». 

Il nuovo redditometro non sarà decisivo nel contrasto all’evasione fiscale. Il giudizio è contenuto nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, secondo cui «il clamore mediatico suscitato dal nuovo meccanismo di ricostruzione sintetica dei redditi appare francamente sproporzionato rispetto alle limitate potenzialità dello strumento e alla presumibile efficacia dello stesso che continuerà, inevitabilmente, a costituire un criterio complementare per l’accertamento dell’Irpef». 

Il nuovo spesometro potrebbe aver favorito un aumento degli acquisti in nero. Il giudizio è contenuto nel Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti secondo cui la «rilevazione sistematica delle operazioni verso i consumatori finali di importo pari o superiore a 3.600 euro» potrebbe aver «indotto effetti negativi sui consumi o, peggio», potrebbe aver «incrementato la propensione a effettuare acquisti di beni e servizi »in nero«.

Toh, guarda. La politica che intanto si interroga sul semipresidenzialismo.

Lo Stato della follia (e degli OPG)

In Italia esistono 6 Opg (Ospedali psichiatrici giudiziari), comunemente chiamati manicomi criminali. All’interno sono rinchiuse circa 1500 persone. Il documentario “Lo Stato della follia” di Francesco Cordio mostra questi luoghi, la condizione passata e presente dei sei ospedali. Nasce dai sopralluoghi negli Opg realizzati dal regista per conto della Commissione d’inchiesta sull’efficacia e l’efficienza del Servizio Sanitario Nazionale. La commissione ha fatto luce sullo stato di abbandono, degrado e non cura degli internati. Il Parlamento ha approvato una legge che stabilisce la chiusura degli Opg: ne era prevista l’applicazione entro il 2013, ma la chiusura è stata prorogata al 2014. Il film sarà proiettato a Roma il 7 giugno 2013 alle ore 22.30 presso il Cinema Aquila. (via)

Un impegno che ci sta molto a cuore da tempo.