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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Francesco

Se quel Papa che oggi è sbarcato a Lampedusa senza fronzoli e vestali e ha parlato all’Italia e all’Europa dicendo che “Dio ci giudica da come trattiamo i migranti” è il rappresentante “istituzionale” (credenti o no) più coraggioso nel campo della solidarietà e dei diritti significa che che abbiamo una notizia buona e una notizia cattiva.

La notizia buona è che la Chiesa in queste parole assomiglia molto alla Chiesa che in molti vorrebbero (credenti o no) e finalmente parla ai cuori senza perdersi in mediazioni.

La notizia cattiva è che il messaggio politico più forte di questi ultimi mesi (e, forse più di sinistra) non arrivi dal centrosinistra (nessuno con un po’ di sale in zucca se lo aspetterebbe, figurarsi, dal Governo Pd – PDL) ma da una figura esterna (potremmo chiamarlo “tecnico” della solidarietà, eh) mentre la sinistra si accartoccia su se stessa e il Partito Democratico si spende per regole congressuali e regole d’ingaggio con gli amici berluscones.

Fa venire le vertigini in questa epoca di nani, Francesco.

Ambientalismo attenuato

“Nei casi in cui le acque di falda contaminate determinano una situazione di rischio sanitario, oltre all’eliminazione della fonte di contaminazione ove possibile ed economicamente sostenibile, devono essere adottate misure di attenuazione della diffusione della contaminazione conformi alle finalità generali e agli obiettivi di tutela, conservazione e risparmio delle risorse idriche stabiliti dalla parte terza”.

Sono le parole del Decreto Fare del Governo Letta che stanno allarmando le associazioni ambientaliste e non solo. Basta leggerlo con attenzione per cogliere come il fattore economico diventi la componente principale per valutare una bonifica. Spaventa anche ‘l’attenuazione’ come soluzione accettabile. Io non so cosa ne pensino gli EcoDem o le persone per bene che da dentro il PD in tutti questi anni si sono spesi per una seria legge contro il consumo di suolo e una nuova responsabilità ambientale in politica ma certo le associazioni sono sul piede di guerra. La delusione invece, quella, ormai è già sdraiata al sole.

Ne scrivono diffusamente gli amici di A Sud qui.

Il centrosinistra peggiore. Nel VI (ex VIII) municipio di Roma.

Piccoli errori centrosinistri. Per niente piccoli. Scritto da Andrea.

– ai Servizi Sociali (delega importantissima per un Municipio) va la figlia di Antonio MadamaAssessore PDL della precedente Giunta Lorenzotti, appartenente allora alla cordata di Samuele Piccolo, che nel frattempo è transitato col suo sodale Ezio D’Angelo (unico politico locale inquisito all’epoca dello scandalo che coinvolse Piccolo e famiglia) e con tutto il resto della truppa al PSI. E’ utile notare che il Consigliere municipale eletto dal Partito Socialista, tale Reale, è il nipote di Madama. Stiamo parlando dello stesso Antonio Madama che negli anni ’90 ammise di aver incassato un’ingente somma di denaro per votare il Presidente della Circoscrizione (che all’epoca veniva eletto dal Consiglio);

– alla Scuola e alla Cultura va un’altra figlia di! Si tratta stavolta di Andreina Di Maso, figlia dell’ex Consigliera municipale Livia De Pietro. Andreina Di Maso è stata candidata, ma non eletta, nella lista PD;

– all’Urbanistica va Verticchio (Lista Civica), anziano collaboratore personale dell’ex Consigliere Regionale ed ex Presidente del Municipio Giuseppe Celli, di cui ho avuto recentemente modo di parlare a proposito dell’elezione della figlia Svetlana in Consiglio Comunale (leggi anche qui);

– ai Lavori Pubblici va Vittorio Alveti (PD), che entra in giunta dopo una ventina d’anni di Consiglio!

– allo Sport va Valter Mastrangeli, Consigliere municipale, oggi PD, dopo aver trascorso la consiliatura precedente tra Gruppo Misto e API, oltre a collezionare un nutrito book fotografico in assemblee pubbliche con l’ex Sindaco Alemanno;

– da ultimo, al Bilancio va Daniele Palmisano, proveniente da San Giovanni (Municipio VII, ex IX), componente della Segreteria PD di Roma e fac totum della cordata di Umberto Marroni interna al PD, cui lo stesso Scipioni fa capo. Palmisano sarà Vicepresidente.

Il punto vero sulle intercettazioni

Per chi, e sono tanti, crede che l’Italia si meriti da tempo un’antimafia giudiziaria all’altezza della mafia il cosiddetto “problema delle intercettazioni” sta nella difficoltà per ragioni di bilancio di potervi accedere come strumento di indagine. Un po’ perché solo in Italia le compagnie telefoniche incassano così bene per un servizio che andrebbe ricontrattato sui parametri europei e un po’ perché le enormi professionalità che abbiamo nel campo delle indagini sono monche per motivi banalmente economici.

Ha ragione il sostituto procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Napoli Giovanni Conzo, titolare nel capoluogo partenopeo di alcune tra le indagini più significative a contrasto della diffusione nel nostro paese della criminalità organizzata non autoctona, quando dice:  “I cinesi che possono contare su un’economia illegale di grande profitto, hanno usante e riti molto differenti dai nostri. Per cui sono un universo inesplorato e vorrei dire inesplorabile. Inesplorabili perché hanno tanti dialetti, tante lingue e fare intercettazioni telefoniche è difficile, perché è difficile trovare interpreti. La maggior parte di loro ha paura, ma non solo. Occorrono risorse per pagarli, visto che svolgono un lavoro che naturalmente deve essere retribuito il giusto. E così, se non ci sono i fondi, è evidente che queste indagini nemmeno possono iniziate”.

 

Il nostro compito primario

Parli di “forze retrosceniche”. Sono sempre esistite. Che la politica “sulla scena” delle istituzioni sia una messinscena per distogliere gli occhi del pubblico dalla realtà del potere (che “sta nel nucleo più profondo del segreto”, ha scritto Elias Canetti) è un’idea realistica. Un tempo, il retroscena era visto come il luogo dell’oscurità, degli intrighi, dei complotti, delle cose indicibili: tutte cose negative,
da combattere in pubblico, attraverso istituzioni veritiere. Pensiamo, per esempio, alla ‘glasnost’ di Gorbacëv che, per un certo periodo, ha coltivato quest’idea. Oggi? Oggi siamo di fronte a qualcosa di nuovo. Le conseguenze sulla vita delle persone sono evidentissime, la matrice anche: il predominio dell’economia sregolata e manovrata dalla finanza speculativa. Ma è una matrice incorporea che, per ora, sembra inafferrabile, non stanabile “sollevando un velo”.
Constatiamo il declino della politica, fino alla pantomima dei suoi riti: personaggi inconsistenti, che talora si presentano come “tecnici”, rivelandosi così esecutori di volontà altrui; “posti” come posta d’una lotta che, usurpando la parola, continua a chiamarsi politica; nessun progetto dotato d’autonomia; parole d’ordine 
tanto astratte quanto imperiose: lo chiedono “i mercati”, la “Europa”, lo “sviluppo”, la “concorrenza”. Questo degrado, che si manifesta macroscopicamente come immobilismo e consociativismo, è la conseguenza di quello che è oggi il vero “nucleo del potere”. Per poter essere contrastato con i mezzi della democrazia, deve essere innanzitutto compreso, senza fermarsi solo a deplorarne le conseguenze, scambiandole con le cause.
Tu poni la domanda cruciale: che fare affinché ci si possa riappropriare di almeno un poco dell’espropriata nostra capacità politica?
Noi apparteniamo alla cerchia di chi esercita una professione intellettuale. Il nostro compito primario (non voglio dire esclusivo) è cercare di capire, non di cambiare il mondo. Sarà pur vero, come tu dici, che non sono alle viste nuovi Marx o Tocqueville. Ma il nostro compito, nel piccolissimo che è alla nostra portata, è di questa natura. Il che significa innanzitutto rifiutare il ruolo di consulenti che con tanta abbondanza questo sistema di sterilizzazione della politica offre a chi ci sta. Sarebbe
 già una bella rivoluzione.
(Gustavo Zagrebelsky
 dialoga con Luciano Canfora su ‘oligarchie e potere’. via)

Santanchè e l’inverno democratico della democrazia

Quello che avrei voluto scrivere l’ha già scritto Monica per Resistenza Internazionale:

Prima di parlare dello svuotamento di dignità, immagine e contenuti delle cariche dello Stato ad opera di una Santanchè che non ha cause pendenti con la Giustizia ed è già stata sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, mica poco, dovremmo ricordare tutti, -noi, il PD e gli schizzinosi della democrazia in genere-, che in un contesto simile (PD e PDL uniti a sostenere il Governo Monti, non nella notte dei tempi) nessuno ha mai fatto una piega su Rosy Mauro, vicepresidente di un Senato retto da Schifani. Peculato e odor di mafia allegramente insieme, e tutti contenti . Che non ci scompone Alfano alla Giustizia nel Governo Letta, né Gasparri e Calderoli vicepresidenti del Senato con la Mussolini tra i segretari.

Non è Daniela a voler dinamitare, per capriccio personale, un equilibrio politico di per sé inconcepibile ad ogni sensibilità davvero democratica, e pretendere di aprire così una crisi di Governo; la vera crisi perpetua è quella di coscienza del PD, uno squarcio -geneticamente restio alla sutura- che sotto la garza della cosiddetta responsabilità suppura da novembre del 2011, dalla cacciata di Berlusconi. L’arte del procastinare ogni soluzione di autunno in autunno non è stata inventata adesso. L’inverno della democrazia non ce lo togliamo di dosso da anni e loro, all’improvviso, danno la colpa a quella che va in giro in luglio col piumone addosso.

Riinafobia

“Nel processo Falcone c’è un aereo nel cielo che vola mentre scoppia la bomba: questo aereo non si può trovare di chi è, e così si condanna Riina perché fa comodo. E il processo Borsellino? Lì sul monte Pellegrino c’è l’hotel con i servizi segreti, quando scoppia la bomba i servizi scompaiono, però non vengono mai citati perché si condanna Riina, perché l’Italia è combinata così”.

Le parole sono di Salvatore Riina durante il processo di Firenze, pronunciate il 10 marzo 2009, quattro anni fa che sembrano un’era geologica tenendo conto degli sviluppi giudiziari sui rapporti tra Cosa Nostra e Stato.
Sarà forse che in questi ultimi anni (ancora prima di quel 2007 e quella deposizione) abbiamo girato l’Italia per svestire Riina dal patetico vestito del boss come principe nero per mostrarlo in tutte le sue miserevoli nudità (intellettuali, prima che pelose) ma il prurito curioso che in questi giorni si leva per qualche bisbiglio del boss rinchiuso ad Opera è patetico almeno quanto lui.
Riina in questi anni ha parlato a chi doveva parlare, ha dichiarato più volte di essere stato un ingranaggio di un meccanismo molto più grande che comprendeva alte sfere dello Stato (“l’ammazzarono loro” disse riferendosi a Paolo Borsellino), agli uomini di Stato disse “guardatevi dentro anche voi” e fece intendere di essere stato “tradito” e “venduto” in occasione del suo arresto. Riina dunque è loquace da tempo, molto più di quanto torni utile a chi vorrebbe sensazionalizzare qualche sua parola per alimentarne la lontananza e il mito: gli ingredienti perfetti per mantenerlo senza luogo e senza tempo nella teca dei cattivi. Vorrebbero farci dimenticare che Riina è lo stesso che a colloquio con il figlio in carcere ebbe a dire che “Schifani era una mente” o che i comunisti erano “un problema contro lo Stato”.
Il problema non è il piccolo Totò che ciclicamente parla ma tutto intorno il Paese che non lo ascolta o, peggio ancora, che lo alleva nel pascolo dei cattivi per un buon editoriale all’anno.
Eppure senza riinafobia lo spartito sarebbe più chiaro e più popolare, facendo a meno della poesia, e Riina apparirebbe più contemporaneo e lucido di quelli che vorrebbero analizzarlo.

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