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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Ma pensa

I protocolli antimafia servono solo se vengono rispettati e fatti rispettare oltre che essere presentati in conferenza stampa. I controlli di EXPO stanno nella lingua molto lunga di una politica che è oratoria pura e sparisce nei fatti. La chiusura degli uffici della DIA di Malpensa è uno schiaffo in faccia all’antimafia e EXPO e gli incendi dell’ultimo anno non hanno bisogno di professionisti per risultare allarmanti.

L’abbiamo ripetuto per mesi dappertutto. Ora lo scrivono anche i “saggi” della Commissione Antimafia del Comune di Milano. E vale la pena ripeterlo.

 

Gli schiavi cuciono i libri?

Bisognerebbe, secondo l’ultima lavoratrice, “cominciare a dire di no”. Ma nelle testimonianze raccolte sembra piuttosto prevalere il senso di frustrazione, l’avvilimento, la mancanza di “coraggio di denunciare” le condizioni di lavoro, in cui si trovano ad operare i precari del settore, e la paura di “esporsi individualmente” per il timore di non essere riconfermati. Precarietà che erode i diritti, che rende tutti più ricattabili, e disposti a sottostare alle richieste di sempre maggiore disponibilità avanzata da tanti committenti e datori di lavoro. In diverse testimonianze, sembra, purtroppo, prendere il sopravvento – come già emerso in altri studi e ricerche – una sorta di accettazione dello “stato di cose presente” (Ires Emilia-Romagna, 2010), ripiegando su soluzioni di tipo individuale, con il venire meno progressivamente del senso di appartenenza alla dimensione collettiva. Bisogni individuali di tutela che appaiono, dunque, difficilmente trasformabili in istanze collettive, anche perché sembra spesso mancare, in molte considerazioni degli intervistati, un tassello fondamentale affinché le singole domande possano essere rappresentate collettivamente: il passaggio, cioè, dalla delega – in questo caso alle organizzazioni sindacali – alla disponibilità “in prima persona” ad impegnarsi, mobilitarsi e partecipare attivamente per la difesa e l’estensione dei propri diritti. Ritengo che attualmente ci siano pochi strumenti di tutela per i giovani – e non solo – che fanno questo mestiere e vengono

L’IRES pubblica i risultati di un’inchiesta su editoria e precarietà e i risultati sono chiari in tutto il loro disagio sociale oltre che lavorativo. È che di solito lo schiavo lo immagini che cuce un pallone in un paese lontano mentre invece sta nel libro che vorrebbe insegnarti l’etica e la bellezza. Per dire.

Io, lo giuro

Non avrei mai creduto che saremmo arrivati fin qui con l’agenda politica dettata ancora una volta dai problemi personali sulla giustizia di Berlusconi. Avrei potuto pensare alla ‘grande coalizione’ tra PD e PDL (l’unica promessa che mi ero permesso di fare era la certezza che almeno SEL sarebbe rimasta fuori, e così è stato), avrei anche potuto temere (da sempre) che il cambiamento sarebbe rimasto più nei manifesti elettorali che nelle nomine e nell’effettiva amministrazione (dice un antico proverbio cinese che “quando soffia il vento del cambiamento alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento”) ma la desolazione di questi giorni sta nello schiacciamento politico, intellettuale, morale, comunicativo e decisionale di un centrocentrocentrocentrosinistra che dall’avere vinto e poi pareggiato è passato ad essere il servitore bastonato e scemo. Come un Arlecchino ma nemmeno con l’arguzia.
Non avrei mai creduto che la sconfitta fosse intellettuale e morale. Ecco. Basta guardare le trasmissioni televisive o gli editoriali su Ruby per rendersi conto che mentre il lavoro sparisce (ancora) tra le priorità ci si occupa di tutto tranne di politica.
Come piace a lui.
E come fa vincere lui.

La (silenziosa) Commissione Antimafia in Lombardia e l’occasione persa

Il mio articolo per I Siciliani che, purtroppo, si è avverato:

La sconfitta di Umberto Ambrosoli e il centrosinistra in Lombardia è (anche) una sconfitta dell’antimafia lombarda. Inutile negarlo; peggio ancora fingere di non volerlo analizzare perché sarebbe troppo totalizzante, secondo alcuni. Non c’è cultura antimafiosa nel formigonismo, non ce n’è nel percorso ciellino che ha demolito la meritocrazia nel mondo della sanità e non ce n’è nella Lega Nord che in Consiglio Regionale in passato ha negato l’istituzione di una Commissione Antimafia archiviandola con un sorriso di sufficienza.

Poi c’è stato Maroni, e su Maroni si è scritta una certa letteratura (figlia di un berlusconissimo revisionismo e di una neodeclamazione dei numeri e degli arresti) che l’ha avvicinato a rappresentazione di “antimafioso nonostante Berlusconi”.

Sarebbe inutile elencare per l’ennesima volta solamente le colpe storiche del movimento leghista che è passato dal latrato antiberlusconiano con la foto di Dell’Utri in prima pagina de ‘La Padania’ alla convivenza sopita fino alla connivenza più spietata nell’ultimo periodo del Governo Berlusconi (quello contro la magistratura, la trattativa, il reato di concorso esterno, lo scudo fiscale e troppo altro ancora). Eppure la verginella Maroni è riuscita a scrollarsi di dosso le gocce della melma e ripresentarsi candido, candidabile e perfino nuovo Governatore della regione cameriera delle mafie, ‘ndrangheta in primis: la sfiorita Lombardia.

C’è stata in campagna elettorale la solita desolante sensazione di un centrosinistra applicato ad un’antimafia di “maniera” che si è ritenuta sazia dell’avere candidato il figlio dell’avvocato Ambrosoli. Troppo facile – si diceva – vincere contro una parte politica decaduta dal governo regionale sotto le accuse di uno scambio mafioso di voti. Troppo facile – pensavano. E pensavano male.

Tant’è che mentre nel sottobosco lombardo si vive una primavera di giovani attivi, preparati e consapevoli (vengono in mente i ragazzi di Stampo  Antimafioso, per fare un esempio) il centrosinistra ha balbettato qualche ovvietà di cortesia sulla mafia che è brutta, sporca e cattiva poi qualche pensierino di memoria e carità e speravano che bastasse così. E non è bastato.

Alla fine nella Lombardia leghista qualche giorno fa Bobo Maroni ha comunque deciso di istituire una Commissione Antimafia (ex post, si direbbe) aprendo uno spazio di azione possibile. Verrebbe da pensare che i partiti (tutti i partiti) con il centrosinistra in testa colgano l’occasione per scaldare i propri uomini migliori e per chiedere ad Umberto Ambrosoli di guidare la praticata diversità e discontinuità conclamate tante volte su questo tema, ci si aspetterebbe un “tirare su le reti” delle esperienze sociali di tutti questi anni per cogliere l’eccellenza. E invece? E invece le nomine che trapelano non prevedono Ambrosoli e nemmeno un piano a lunga scadenza. E tutti qui ci auguriamo che non sia così. Perché perseverare è diabolico, no?

Come (non) cambia il PD sulle intercettazioni

«Non è una priorità», dice il segretario Guglielmo Epifani, lasciando trasparire una velata minaccia di crisi. Il Pdl non ha «i numeri per imporre leggi o modifiche legislative non previste nel programma di governo», dice Luigi Zanda. «Porre ora il tema non è opportuno», ribatte il capogruppo a Montecitorio, Roberto Speranza. E Anna Finocchiaro, al Messaggero: «Allo stato non fa parte dell’impianto delle riforme». Sembra una questione di tempistica, di metodo più che di merito. 

Ha ragione Fabio Chiusi: ormai la questione della “legge bavaglio” sembra diventata inopportuna solo perché presentata ora e non perché è una scempiaggine orrenda e antidemocratica. Eppure i toni del PD sono molto cambiati in questi ultimi mesi sulle intercettazioni. O forse, non sono cambiati mai.

«Altro che politiche per la sicurezza. Questo testo farà brindare boss mafiosi e camorristi» (Donatella Ferranti, 11 giugno 2009).

«Prosegue il progetto che punta a garantire la totale immunità del presidente del consiglio rispetto alla legge, nell’ottica del legibus solutus consona alle monarchie assolute piuttosto che ai sistemi democratici a cui appartiene il nostro paese» (Pina Picierno, 10 giugno 2009).

«Le nuove norme sulle intercettazioni altro non stanno a rappresentare se non la morte della giustizia» (Maria Grazia Laganà Fortugno, 10 giugno 2009).

«Il ddl è una licenza a delinquere, è un provvedimento ammazza indagini» (Donatella Ferranti, 12 giugno 2009).

«Il ddl del governo sulle intercettazioni è criminale» (Felice Casson, 30 giugno 2009).

«Il disegno di legge sulle intercettazioni è un altro modo per evitare che vengano perseguiti per atti molto gravi i soli noti» (Anna Finocchiaro, 1 luglio 2009).

«Ladri, spacciatori, strozzini e sfruttatori sarebbero gli unici beneficiari di un provvedimento che ha il solo effetto di spuntare le armi dello Stato nella lotta alla criminalità» (Donatella Ferranti, 4 luglio 2009).

«L’articolo 21 della Costituzione verrebbe travolto» (Stefano Ceccanti, 7 luglio 2009).

«E’ lo stesso Berlusconi che oggi tuona contro le intercettazioni dei magistrati quello che ieri ringraziava chi, illegalmente, gli portava nastri rubati?» (Andrea Orlando, 24 marzo 2010).

«Un testo che mette a repentaglio la sicurezza nazionale» (Donatella Ferranti, 12 aprile 2010).

«E’ un provvedimento ingiustificato sotto tutti i punti di vista. Il vero obiettivo è mettere al riparo i tanti furbi e delinquenti, che ormai affollano le classi dirigenti del nostro Paese, sia dal giudizio della giustizia, sia da quello dell’opinione pubblica. Le limitazioni delle intercettazioni all’utilizzo dei magistrati e alla pubblicazione da parte dei giornalisti risponde a questo disegno. Nel frattempo la criminalità, grande e piccola, ringrazia» (Giuseppe Lumia, 29 aprile 2010).

«Non è una questione che attiene a una riforma di alcune parti della procedura penale, ma a una questione democratica che si è aperta nel Paese» (Anna Finocchiaro, 12 maggio 2010).

«Questo ddl è espressione della volontà di imbavagliare per sempre i giornalisti e di togliere ai cittadini il diritto ad essere informati» (David Sassoli, 19 maggio 2010).

«Grave la decisione di governo e maggioranza volta a mettere sotto la ghigliottina la libertà di stampa in Italia» (Felice Casson, 19 maggio 2010).

«Non si può, per tutelare la privacy, mettere il bavaglio alla stampa» (Beppe Fioroni, 24 maggio 2010).

«Stiamo consegnando una legge al paese che non si è mai vista in nessuna democrazia occidentale. Una stretta inconcepibile per la democrazia». (Pierluigi Bersani, 25 maggio 2010).

«Ci metteremo di traverso più che possiamo, con tutti i mezzi a disposizione. Questo ddl è una cosa vergognosa, insostenibile» (Pierluigi Bersani, 1 giugno 2010).

«Il ddl sulle intercettazioni è un regalo a Gomorra» (Ermete Realacci, 8 giugno 2010).

«Questo provvedimento ci fa pensare a una dittatura piuttosto che a una democrazia» (Ignazio Marino, 10 giugno 2010).

«Il governo Berlusconi ha esposto l’Italia a una umiliazione» (Enrico Letta, 15 giugno 2010, sui rilievi dell’Ocse al ddl intercettazioni).

«Penso che ogni italiano, nella sua vita quotidiana, trovi incredibile che il tema siano le intercettazioni (…) io dico banalmente chi se ne frega delle intercettazioni per la vita quotidiana di ogni italiano» (Enrico Letta, 4 luglio 2010).

«Una riforma delle intercettazioni avrebbe già potuto farsi se la maggioranza non avesse ritenuto di renderle una rarità, escludendole per reati importanti, alla ricerca della soluzione che più fa comodo anche per evitare che emergano vicende come il caso Ruby» (Anna Finocchiaro, 25 gennaio 2011).

«Limitare l’uso delle intercettazioni o addirittura proibirle significa fare il più grosso regalo possibile alla criminalità» (Dario Franceschini, 10 febbraio 2011).

«In questa materia non c’e’ alcuna possibilità di collaborazione con il governo, persino a prescindere dal merito. Il punto di partenza per discutere di questi temi è che Berlusconi si dimetta» (Massimo D’Alema, 22 febbraio 2011).

«Di nuovo, per gli interessi di uno si produce un danno grave per tutti» (Emanuele Fiano, 14 aprile 2011).

«Interventi di urgenza pensati ai fini del salvataggio del Premier sono inaccettabili, impotabili e velleitari perché Berlusconi non è più in condizione di fare una legge ad personam» (Pierluigi Bersani, 15 settembre 2011).

«La nostra opposizione sarà intransigente perché è inaccettabile che per nascondere i rapporti del presidente del Consiglio con escort e faccendieri si affossi uno strumento di indagine fondamentale per la ricerca della prova e si leda il diritto di cronaca» (Donatella Ferranti, 30 settembre 2011).

«Non accetteremo mai limitazioni all’uso delle intercettazioni» (Laura Garavini, 17 luglio 2012).

Lea Garofalo e Carlo Cosco pentito “solo per limitare il danno”

Avevo già espresso i mie dubbi (conoscendo il soggetto e la storia) sul pentimento di Carlo Cosco. La pensa così anche il sostituto pg Marcello Tatangelo:

Tre ergastoli, una pena a 27 anni per il collaboratore di giustizia e due assoluzione. Sono le richieste, ai giudici della corte d’Assise d’appello di Milano, per l’omicidio di Lea Garofalo, la testimone di giustizia calabrese uccisa a Milano il 24 novembre 2009 e il cui corpo venne bruciato. In primo grado erano stati inflitti sei ergastoli. Oggi però il sostituto pg Marcello Tatangelo, nel corso della sua lunga requisitoria, ha dovuto riqualificare le responsabilità degli imputati, anche alla luce delle dichiarazioni del pentito Carmine Venturino, che nel luglio scorso, dopo il processo di primo grado, ha iniziato a collaborare facendo anche ritrovare i resti del corpo della donna.

In particolare l’accusa ha chiesto la conferma della condanna all’ergastolo per Carlo Cosco e per suo fratello Vito, che avrebbero ucciso la donna al termine “di un piano criminoso andato avanti per anni”. Chiesta la conferma dell’ergastolo anche per Rosario Curcio, che avrebbe aiutato Venturino a far sparire e bruciare il cadavere. A nessuno dei tre, secondo l’accusa, devono essere concesse le attenuanti generiche. Attenuanti, invece, che il sostituto pg ha chiesto per Venturino. Il magistrato però ha sostenuto che a lui non può essere concessa “l’attenuante speciale che prevede un fortissimo sconto di pena per i collaboratori di giustizia”, anche perché questo, secondo l’accusa, non è un omicidio di ‘ndrangheta. Secondo l’accusa Carlo Cosco, dopo anni di silenzio “ha confessato” nelle scorse udienze “solo per limitare il danno”, ossia per escludere lapremeditazione e un “piano omicidiario coltivato per anni” parlando di un “raptus d’impeto”, “nutriva un odio profondo verso di lei che l’aveva abbandonato e soffriva del disonore tipico degli ambienti criminali mafiosi”. Cosco temeva che la donna non le facesse più vedere la figlia Denise, 21 anni, che con le sue dichiarazioni ha dato un impulso forte alle indagini, ha testimonianto ed è parte civile contro il padre. La ragazza non ha accettato le scuse del padre, che si era rivolto a lei in una delle scorse udienze. “Cosco – ha spiegato, infatti, l’avvocato della giovane, intervenendo come parte civile – ci viene a parlare di un fatto d’impeto e poi chiede scusa a una ragazza che oggi sta cercando di rialzarsi”. Il ritrovamento, grazie a un pentito, dei resti del corpo poi, ha concluso il legale, è stato “per Denise un grande regalo”.

L’accusa infine ha chiesto l’assoluzione “per non aver commesso il fatto” per l’altro fratello di Carlo, Giuseppe, e Massimo Sabatino, scagionati nelle dichiarazioni del pentito. “Non sono affatto certo – ha spiegato Tatangelo – che Giuseppe Cosco e Massimo Sabatino siano estranei all’omicidio, ma il dubbio ce l’ho e la mia coscienza di magistrato mi impone di chiedere che siano assolti”.

“Non abbiamo mai contestato l’aggravante mafiosa, malgrado le sollecitazioni della stampa e della parte civile – ha chiarito il pg – perché siamo convinti che in questo omicidio c’è una compresenza di fattori come il dolore di Cosco di essere stato abbandonato, il disonore, l’odio profondo che nutriva per questa donna sin dalla fine degli anni ’90”. Il processo proseguirà giovedì con gli interventi delle parti civili e delle difese e la sentenza potrebbe arrivare il 21 maggio.

(via)

Prendi posizione.

Prendi posizione. La neutralità favorisce sempre l’oppressore, non la vittima. Il silenzio incoraggia sempre il torturatore, non il torturato.

(Elie Wiesel)

Cosa si costituisce con il boss Giuseppe Pesce

'Ndrangheta: si e' costituito il capocosca Giuseppe PesceLa notizia viene data con tutti i (giusti) clamori del caso e un po’ di romanticismo:

Sul Corriere scrivono che “Giuseppe Pesce, figlio di Antonino e fratello di Francesco, detto “Ciccio Testuni”, potrebbe aver deciso di costituirsi dopo l’arresto della moglie, Ilenia Bellocco, finita ai domiciliari lo scorso 6 maggio perché avrebbe aiutato il marito latitante. Per i magistrati della dda di Reggio Calabria la Bellocco avrebbe tenuto, infatti, i contatti con Giuseppe Pesce attraverso un altro affiliato alla cosca, Domenico Sibio, uomo di fiducia dei Pesce. La donna figlia di Umberto Bellocco, capo storico della ‘ndrina di Rosarno, aveva assunto – secondo i magistrati – un ruolo di primo piano nell’organizzazione della famiglia. Il suo matrimonio con Giuseppe Pesce, aveva in qualche modo sancito una sorta di tregua tra le due famiglie di ‘ndrangheta riuscendo a cementare un rapporto che prima di quel matrimonio si era incrinato per ragioni di monopolio territoriale”.

Il fatto certo è che si è costituito ai Carabinieri di Rosarno il latitante Giuseppe Pesce. Ed è vero che è ritenuto il reggente dell’omonima cosca della ‘ndrangheta. Il 32enne era latitante dal 2010. E’ destinatario di due ordinanze di custodia cautelare, emesse nel maggio 2010 e nell’aprile 2012. Coinvolto nell’indagine della Dda di Reggio Calabria ‘All Inside’, viene ritenuto responsabile dei reati di associazione per delinquere di tipo mafioso in qualità di organizzatore, capo e promotore.

Ma è importante ricordarsi che anche dalla latitanza, in questi tre anni, Giuseppe Pesce ha dettato le regole e impartito ordini. La carica di reggente gli è stata impartita direttamente dal fratello Ciccio, proprio dal carcere di Palmi, attraverso un pizzino, poi sequestrato dagli agenti di custodia, aveva tentato di far arrivare al proprio fratello ordini da eseguire durante la sua detenzione. Nel foglietto sequestrato c’erano scritti i nomi d’imprenditori costretti a pagare la mazzetta e le indicazioni con le nuove cariche da dare ai picciotti di famiglia.

Visto con un po’ di senno il suo consegnarsi ai carabinieri è frutto di un’organizzazione territoriale collaudata che sopravvive al suo arresto. Non c’è molto da festeggiare.

Prova a leggere

L‘analisi di Luigi Castaldi in un momento in cui dovrebbe andare di moda essere ignoranti e dimentichi della storia politica del nostro Paese:

Io penso che la regia dell’operazione abbia la chiara impronta di quella «destra comunista», già tutta in embrione nella «svolta di Salerno», che portò Togliatti all’alleanza con Badoglio e Casa Savoia. Il fatto che quella «svolta» rispondesse unicamente agli interessi di Stalin, e che Togliatti si sia limitato ad obbedire agli ordini partiti dal Cremlino, passa in secondo piano per Mario Pirani (la Repubblica, 14.5.2013), che pure risale a quel periodo per spiegarsi la logica che ha dato vita al governo Letta. Ora, è vero, la storia non concede controprove, ma sappiamo che Togliatti fu sempre supino ai voleri di Stalin: è azzardato immaginare che, se a Mosca fosse tornato comodo che il Pci imboccasse la via insurrezionale, Togliatti non avrebbe mai teorizzato alcuna «via italiana al socialismo», Secchia non avrebbe mai lasciato il posto ad Amendola al quarto piano del Bottegone, Napolitano e gli miglioristi sarebbero stati strozzati in culla, ammesso e non concesso che avessero potuto emettere un vagito? Non ha senso discutere del passato ricorrendo ai «se», d’accordo, ma una cosa è certa: la «svolta di Salerno» fu la madre di tutti i successivi tentativi, riusciti o falliti, che il Pci mise in atto per arrivare nella mitica «stanza dei bottoni», e fu sempre evocata, in primo luogo dai suoi dirigenti, come una scelta coraggiosa di maturità politica contro ogni velleitarismo e ogni avventurismo. Non mancò mai, d’altronde, chi nella linea decisa da Togliatti nel 1944 vide la prima grande prova del suo cinismo, il primo dei tanti tradimenti che la dirigenza del Pci avrebbe consumato ai danni dei suoi militanti e dei suoi elettori. Tutto sommato, è un errore, perché già nel 1936, quando il regime fascista sembrava indistruttibile, Togliatti gli offriva collaborazione dalle pagine di Stato Operaio: «Noi tendiamo la mano ai fascisti, nostri fratelli… Siamo disposti a combattere assieme a voi e a tutto il popolo italiano per la realizzazione del programma fascista del 1919».
Anche nel comunista più ripulito persiste incoercibile la tentazione al compromesso con quello che è indicato come peggior nemico del popolo fino a quando c’è speranza di sconfiggerlo e annientarlo. Naturalmente parlo del comunista che abbia responsabilità dirigenziali e che il crollo del muro di Berlino ha impreziosito con un «post»: parlo del post comunista che sta al Quirinale o in Largo del Nazareno. Fino a quando Berlusconi è stato con un piede nella fossa, la sua demonizzazione era uno strumento eccezionale per galvanizzare militanti ed elettori, per fare incetta di voti di quanti volevano sbarazzarsi della mostruosa atipia. Poi, quando sfuma il sogno di poterlo impiccare a testa in giù, ecco l’impellente bisogno di un governo di «coesione nazionale», di una «große Koalition», lamentando «il fatto – e qui cito Napolitano – che in Italia si sia diffusa una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, convergenze tra forze politiche diverse», «segno di una regressione, di un diffondersi dell’idea che si possa fare politica senza conoscere o riconoscere le complesse problematiche del governare la cosa pubblica e le implicazioni che ne discendono in termini, appunto, di mediazioni, intese, alleanze politiche». Di colpo, l’elettore che votava Pd per mero antiberlusconismo, convinto che quello fosse il voto utile, diventa un bruto, o come minino un incolto che nulla sa della politica come arte del possibile.

Vogliono la certezza a ogni costo

Gli uomini hanno bisogno di punti d’appoggio, vogliono la certezza a ogni costo, anche a spese della verità. Poiché essa è corroborante, e loro non possono farne a meno anche quando sanno che è menzognera, non ci sarà scrupolo capace di trattenerli dallo sforzo di procurarsela.

(Emil Cioran)