Vai al contenuto

Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

Pd-SEL: bam!

Un commento che mi arriva quasi subito sul “mescolarsi” con il PD. E che merita di essere il post successivo:

Bam! Preso in pieno. Un rimescolamento, se ci deve essere, deve essere funzionale ESCLUSIVAMENTE alla creazione di un NUOVO soggetto politico di SINISTRA.
Per far ciò, il PD si DEVE spaccare. Se non lo fa, semplicemente finiremo con l’annullarci nel già affollato orizzonte democratico.
E siccome non si spacca, boh.
Rimarremo senza casa.

E’ di Carlo Lasorsa.

Mescolarsi

E’ il verbo usato da Vendola nei confronti del PD. E detto così è tutto da capire. Abbiamo praticato il PD, una frequentazione, verrebbe da dire. Il risultato si gioca tutto sul prossimo Presidente della Repubblica. Lì vediamo quanto abbiamo pesato: perché i voti si contano e si pesano.

Mescolarsi potrebbe essere un semplice accumulo e questo (lo sappiamo in molti) non ha una sintesi reale nel partito: non ha sbocchi. Nella sua intervista a La Stampa Nichi aveva parlato di un soggetto unico della sinistra, presagendo una scissione democratica che ormai è diventata un mantra e che non accade mai. Il confine sottile tra responsabilità e testimonianza si gioca su una convergenza valoriale e non elettorale e, per come stanno ora le cose nel poliforme PD, sembra un’alchimia rassicurante per i posti più che per gli obbiettivi. Il prossimo congresso si gioca tutto qui, lo sappiamo vero?

Internet, la democrazia al chilo e le quirinarie

Non sopporto l’informazione al chilo, la cultura al chilo e negli ultimi giorni comincio a diventare intollerante di fronte a internet e democrazia vendute al chilo. Ne scrivevo giusto ieri qui di come sia semplicistico pensare ad una democrazia diretta direttamente dipendente alla rete in sostituzione di tutto il resto. Per carità, l’idea della rete come madre della democrazia è affascinante in un Paese come il nostro dove internet è ancora in piena fase pionieristica (dietro a Barbados e Panama, al 50° posto per economia digitale) ma l’alfabetizzazione all’analisi è ancora una chimera. Ieri sentivo qualcuno lamentarsi delle 55 cartelle di Fabrizio Barca nel suo documento per un buon Governo: non riusciamo ad avventurarci più in là del singolo click.

Per fare un altro esempio, il post di questo piccolo blog più letto di ieri (e scommetto che lo sarà anche di oggi) è questo e sono in molti ad avere commentato in facebook o su twitter semplicemente il titolo senza nemmeno avere aperto il link: la compulsione da click, appunto.

E anche sul presunto attacco hacker al blog di Beppe Grillo varrebbe la pena andare un po’ più a fondo. Federico Mello prova a ricostruire la vicenda con un po’ di logica e analisi, appunto:

Ma è proprio così? Qualcuno è volutamente entrato nel sistema della Casaleggio per boicottare questa prova di democrazia? Se fosse, sarebbe molto grave. Chi l’avrebbe fatto, per conto di chi? E non dovrebbero essere preoccupati, Grillo e i suoi, per questo boicottaggio? È come se il Pd avesse annullato le sue primarie dopo il furto di un gran numero di schede.

Ma la verità in questo caso è un’altra: non c’è stata alcuna intrusione esterna. Lo spiega bene il comunicato della Dnv, l’azienda specializzata che ha “certificato” le operazioni di voto. Dice infatti: «A seguito di uno dei controlli pianificati, relativo all’integrita del sistema, è stata rilevata un’anomalia, i cui effetti sono stati verbalizzati. L’anomalia ha compromesso in modo significativo la corrispondenza tra i voti registrati e l’espressione di voto del votante». Significa che sono stati registrati più votanti degli aventi diritto. Sempre la Bnv specifica inoltre: «Trattandosi di un controllo periodico non è stato possibile determinare con certezza il momento iniziale della compromissione».

Di hacker, non si fa alcun cenno. E non potrebbe essere altrimenti: la Bnv è una azienda di certificazione, non di sicurezza informatica. Nel suo “chi siamo”, spiega: «DNV Business Assurance Italia svolge, da parecchi anni, un’intensa e competente attività nel settore delle verifiche, ispezioni e certificazioni di sistemi di gestione, prodotti in campo industriale e nei settori dei servizi». Insomma, rispetto a procedure concordate, l’azienda verifica che vengano svolte in modo corretto. E non è un caso che abbia fatto dei “controlli periodici”: non ha le competenze informatiche per “difendere” un server, e non ha sistemi di monitoraggio, nè di tracking, di tracciamento, per risalire a possibili incursioni.

Dove è venuta fuori allora la storia degli hacker? Dalle parole di Grillo. E, indirettamente, da quelle di Messora. Perché? Bhè, la risposta non la sapremo mai. Ma l’ipotesi più probabile è che alcuni utenti abilitati al voto abbiamo potuto votare più volte per una difetto nel sistema costruito dalla Casaleggio. E, invece di ammettere l’errore, (un pessimo viatico per chi che nel suo statuto intende dare “al popolo della rete” la titolarità del governo), quando le cose non hanno funzionato, ecco subito gridare allo scandalo, all’attacco informatico.

Se vogliamo un approccio serio all’applicazione politica della rete non possiamo rinunciare ad una scolarizzazione seria e collettiva (democratica, appunto) sui suoi meccanismi e il Movimento 5 Stelle dovrebbe (o potrebbe) essere l’avamposto culturale. In fretta. Come dice Leonardo nel suo post di oggi:

Io credo che i militanti del M5S che chiedono insistentemente, da mesi, una piattaforma realmente democratica a Grillo e Casaleggio dovrebbero riflettere seriamente su quello che sta succedendo. Se la tanto promessa piattaforma non è mai pronta, forse non si tratta soltanto di un problema di tempo, come a volte avete letto su beppegrillo.it. Casaleggio avrà anche tanti impegni, ma quello che vi ha promesso, tecnicamente, non ve lo può dare. Il fatto che succeda di nuovo un incidente del genere, dopo i disguidi durante le parlamentarie, la dice lunga. Noi non sappiamo esattamente quanti siano gli iscritti al MoVimento al 31 dicembre 2012 (quelli che avevano diritto di votare), ma Casaleggio sì, lui lo sapeva. Ha tutti i dati necessari a capire quanta gente avrebbe votato ieri e a prevedere i possibili picchi di traffico. Ma non ci riesce. O non ne ha i mezzi o, probabilmente, non ne è capace. Ma non ha la minima importanza, così come non ne ha avuta per le parlamentarie. Non si tratta di eleggere veri rappresentanti: si tratta di vendere l’idea del movimento che decide in rete, con tutto il bello e tutto il brutto della rete, compresi i malvagi hacker inquinatori della volontà popolare. Grillo e Casaleggio non hanno la minima idea del futuro che stanno vendendo: è un pacco, intanto lo piazzano, se poi dentro c’è qualcosa che funziona tanto meglio, ma non dipende da loro. Loro fanno il marketing, loro piazzano il pacco.

Viene in mente la teoria di Steve Jobs su come i venditori rovinino le grandi aziende, quando vanno al potere al posto degli ingegneri. Il M5S non è una grande azienda, è un movimento politico, dentro un pacco. Volete che funzioni? Scartate via il pacco, licenziate i professionisti dei fiocchetti. Sono stati molto bravi, ma da qui in poi possono soltanto rovinare tutto.

Perché altrimenti non c’è differenza: stiamo semplicemente al Drive-In e il paraberlusconismo 2.0.

‘Ndrangheta e impresa in Lombardia: questa sera proviamo a parlarne

Alle 22.30 su LA7 con Gianluigi Nuzzi. Se avete voglia e tempo, noi siamo lì.

 

La metastasi ndranghetista ha risalito l’Italia verso nord con aggressività nuove, e interessi in settori e aziende fino a ieri impensabili. Appuntamento sabato 13 aprile alle 22.30 con una nuova inchiesta di Gianluigi Nuzzi, ospite Giulio Cavalli.

Le dinamiche e le regole che hanno dominato per decenni le sorti del territorio calabrese si ritrovano oggi anche in provincia di Torino, Varese, Novara, Bologna, clonate ovunque, a partire dalla ricca Lombardia.
E qui una nuova generazione di giovani ndranghetisti gestisce le proprie reti di potere e di relazione col tessuto economico, forte di inedite e insospettabili collusioni.

Cazzo figa

Quindi in internet funzionano i post di pancia. Quelli con le parolacce. Il resto è solo bieca analisi. Analisi: che schifo, che palle.
Siamo schiavi dei motori di ricerca.

Andarsene da qua (la mafia e l’imprenditoria in Lombardia)

Quante volte abbiamo sentito parlare di mafia e politica in Lombardia? Tante. Tantissime.
Quante volte abbiamo parlato di riciclaggio nelle attività lombarde? Tante. Tantissime. Quasi ogni giorno si legge di una confisca o qualcosa del genere.
Che pensiero diffuso abbiamo costruito? Se chiedete in giro vi diranno che le aziende (che siano bar, ristoranti, edilizia o centri commerciali) sono utilizzate per riciclare il denaro delle cosche. È la lettura che ne viene data anche in forbiti convegni con ottimi buffet.
Ma manca un pezzo, quello che conta di più ma viene raccontato meno. Niente di nuovo, per carità: qui al nord si racconta la mafia quando sta alla mafia, alla violenza o al sopruso e mai quando dentro alla storia ci sta invece un accordo con gli imprenditori lombardi che cedono al business facile e si scelgono la mafia come socia in affari. Funziona così: quando c’entrano nelle colpe le categorie che è sempre meglio raccontare come vittime allora la storia evapora, scompare oppure nel migliore dei casi rimane confusa con altisonanti i nomi dei boss e appena appena le iniziali degli altri. È facile, no?
La vicenda della Blue Call e della cosca dei Bellocco non ha “bucato” il sentimento dell’antimafia sociale. Ne avevamo parlato qui, se n’è letto sui quotidiani e sui siti per qualche giorno ma appena sono passati i tempi della cronaca è rientrata nei cassetti dei “fatti digeriti”.
Abbiamo provato a farne un grido nel nostro spettacolo D’uomo d’onore:

Immagina che cadano le regole del lavoro, come se quello che sai non sia davvero come lo sia.
Immagina che il tuo concorrente vincerà sempre. Immagina che i tuoi figli studieranno e coltiveranno il talento per avere fortuna in un lavoro in cui hanno già perso perché qualcuno farà lo stesso lavoro ma per spendere e non per guadagnare, con le loro regole senza le regole. Immagina tre o più persone che inseguono il proprio bene privato a discapito delle regole e del bene pubblico. Immagina l’articolo del codice penale, il 416 bis, qui, a Milano.
Controllare lavoro, gestire persone, stipendiare consenso con la paura: mafie imprenditoriali che con contratti a termine, terminati con le botte e il calcio di una pistola. Imprenditori sfiniti e imprese svuotate. La Lombardia che lavora gocciola sotto i colpi della propria spericolatezza esibita come una medaglia e oggi fragilità indifendibile.
“Assumendo persone e procurando lavoro la ‘ndrangheta acquista consenso, dimostrando di essere in grado di fare quello che lo Stato non sa fare”. Lo scrive il GIP Giuseppe Gennari a pagina 296 dell’ordinanza di custodia cautelare contro il giovane boss Umberto Bellocco che ha scalato la Blue Call, una società leader nel settore dei call center. L’obiettivo è chiaro: prendersi aziende in salute da utilizzare come strumento di potere. E non importa che gli assunti, poi, abbiano capacità professionali, ciò che conta è averli a disposizione quando servono. Loro e le loro famiglie. Emilio Fratto è un commercialista e consulente del lavoro (attualmente latitante). Sarà lui a portare Ruffino dai Bellocco. Dopodiché dalla cosca riceverà il compito di gestire la Blue call. Eppure, nonostante questa promozione sul campo, lo stesso Fratto si lamenta di come “con questa gente non si può mai costruire perché (…) pensano che loro sono in quattro e ti portano dieci persone”. Il senso è chiaro: “Se io tolgo le persone perché devo diminuire i costi, non è che posso aggiungere altri costi (…) Se io tolgo delle persone, è perché non mi servono”. La ‘ndrangheta fa il ragionamento opposto: aggiungere persone perché servono ad aumentare il potere sociale del clan.
Insomma, le aziende, in particolari quelle lombarde (come già fu la Perego strade), non servono per riciclare. Nella Blue call Longo e compagni non ci metteranno un euro. Il loro obiettivo è il potere. Un diamante in più da aggiungere alla loro corona di imperatori. Perché tali si comportano in Calabria, ma anche al nord. E l’ultimo capitolo della storia centenaria dei Bellocco racconta proprio di questo. Di una bella classe imprenditoriale lombarda “che – scrive Gennari – apre le porte alla mafia”. Con le cosche gli imprenditori “bauscia” all’inizio guadagnano, quindi si illudono di cacciare i calabresi con una buona uscita. Ma la ‘ndrangheta non vuole soldi, vuole potere per rinforzare il suo Stato.
C’è una frase che colpisce e scolpisce il senso degli affari di ‘ndrangheta in Lombardia. La pronuncia sdegnato e fiero Michele Bellocco, lo zio del potente, rampante e giovane Umberto, una frase secca: “Stavano facendo una legge – ragiona Michele Bellocco, zio del giovane Umberto – : o ci confiscate i beni, o ci date la galera! Decidete una cosa ce la prendiamo! Poi vuoi la libertà, ti vuoi prendere a libertà, prendetevi la libertà!”. Il boss parla nella casa di Giuseppe Pelle, il capo dei capi della ‘ndrangheta di San Luca. “Volete i beni, lasciateci liberi per farci gli altri” perché “la pagnotta la dobbiamo scippare o in una maniera o in un’altra, che dobbiamo fare!”.
Immagina l’imprenditoria lombarda tramortita e illusa. Immagina l’etica che scappa dalla porta di servizio prima che riaccendano le luci in sala e intanto scorrono i titoli di cosa. Immagina di sapere che quello che hai sempre pensato di avere saputo in fondo racconta una storia che è un’altra storia. Giù al nord. Cuore della Lombardia.

20130412-165153.jpg

Ripensare un partito (e le parole di Barca)

Mi capita spesso di discutere con i compagni, gli amici e le amiche con cui si prova a ripensare alla forma “partito” di incagliarsi sulle strutture. Mi spiego: passata la moda del “partito liquido” (che in pochi hanno capito cosa fosse veramente) e finita l’epoca in cui la definizione “movimento” è stata usata come foglia di fico per non dovere rispondere alle domande sulla democrazia interna (passerà per tutti, vedrete, passerà per tutti) risulta sempre difficile immaginare una conformazione che sia legittimata all’interno e che risulti credibile per le completezza dei propri “funzionari”, per lo spessore delle figure “politiche” e per l’autonomia (anche economica) rispetto allo Stato.

Abbiamo visto tutti in questi ultimi anni come il livello della classe dirigente politica sia stato inevitabilmente schiacciato dai criteri di scelta dei parlamentari: amici e amiche, cerchi magici, spartizioni di correnti e (questo è il punto che ci interessa) funzionari fatti parlamentari per essere stipendiati di sponda.

Fabrizio Barca riprende il tema con grande intelligenza e dice:

«Serve un partito saldamente radicato nel territorio, animato dalla partecipazione e dal volontariato di chi ha altrove il proprio lavoro e che trae da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti parte rilevante del proprio finanziamento».
Il partito nuovo, quindi, «sarà rigorosamente separato dallo stato, sia in termini finanziari, riducendo ancora il finanziamento pubblico e soprattutto cambiandone i canali di alimentazione e assicurandone verificabilità, sia prevedendo l’assoluta separazione fra funzionari e quadri del partito ed eletti o nominati in organi di governo, sia stabilendo regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine di qualsivoglia pubblico ente».

Quindi, l’idea è di un “partito nuovo” (espressione sulla quale Barca insiste), in gran parte finanziato dagli iscritti, non composto necessariamente da militanti “a vita” e che preveda una rigida separazione tra incarichi di partito e di governo, con regole severe per evitare l’influenza del partito sulle nomine degli enti pubblici.

«Un partito palestra – scrive il ministro  – che, essendo animato dalla partecipazione e dal volontariato e traendo da ciò la propria legittimazione e dagli iscritti e simpatizzanti una parte determinante del proprio finanziamento, sia capace di promuovere la ricerca continua e faticosa di soluzioni per l’uso efficace e giusto del pubblico denaro. Serve un partito che torni, come nei partiti di massa, a essere non solo strumento di selezione dei componenti degli organi costituzionali e di governo dello stato, ma anche “sfidante dello stato stesso” attraverso l’elaborazione e la rivendicazione di soluzioni per l’azione pubblica».

E anche su internet come soluzione onnicomprensiva Barca utilizza parole “sagge” (come le dice Mantellini):

Quindi la rete non è la madre di tutte le democrazie?

Io mi sono avvicinato alla rete solo durante questo governo – le può sembrare strano – mi ci hanno spinto i miei che mi han detto guarda ne cavi molto ed ho imparato – mi auguro – a starci ed ho capito che è un luogo dove arrivano molte sollecitazioni e dove ci si ritrova. Però poi arriva il momento, dopo che si è capito chi si vuol trovare assieme, di confrontarsi, poiché governare è complesso, decidere cosa fare è complesso, se non ci mettiamo in una stanza tre quattro cinque ore, magari ci rivediamo anche il giorno dopo, non riusciamo ad avere quella lentezza, quella profondità, anche – posso dirlo? – quella durezza di scontro, quel conflitto controllato che deriva dal fatto che stiamo insieme, non si litiga mai per lettera, si litiga malissimo per email, nascono moltissimi equivoci sulla rete, è il luogo dove si inizia il processo ma non dove il processo di decisione pubblica può raggiungere il suo acme dove si incontrano persone diverse dove avviene la democrazia

Quindi pensa che Grillo stia sbagliando quando persegue..

R Lui valorizza moltissimo questo strumento, credo che si sbagli ad immaginare un mondo in cui le decisioni possono essere prese lì perché questo vale solo per decisioni estremamente semplici che non richiedono quel confronto democratico di cui ho parlato

L’ultrapolitica per vincere sulla disaffezione alla politica e una nuova forma-partito (ma per davvero) per uscire dal movimentismo di facciata. Ce lo siamo detti tante volte, eh.