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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

#SAVE194 i diritti conquistati vanno difesi in un Paese dalla memoria fragile

Leggo, aderisco e anche io copio e incollo:

“Sembra, ogni volta, di dover ricominciare da capo. Facciamolo, allora, e partiamo da una domanda. Questa: “tutte le donne italiane possono liberamente decidere di diventare madri?”. La risposta è no.
Non possono farlo, non liberamente, e non nelle condizioni ottimali, le donne che ricorrono alla fecondazione artificiale, drammaticamente limitata dalla legge 40.
Non possono farlo le donne che scelgono, o si trovano costrette a scegliere, di non essere madri: nonostante questo diritto venga loro garantito da una legge dello Stato, la 194.

Quella legge è, con crescente protervia, posta sotto accusa dai movimenti pro life, che hanno più volte preannunciato (anche durante l’ultima marcia per la vita), di volerla sottoporre (di nuovo) a referendum.

L’articolo 4 di quella legge sarà all’esame della Corte Costituzionale – il prossimo 20 giugno – che dovrà esaminarne la legittimità, in quanto violerebbe ” gli articoli 2, (diritti inviolabili dell’uomo), 32 I Comma (tutela della salute) e rappresenta una possibile lesione del diritto alla vita dell’embrione, in quanto uomo in fieri”.

Inoltre,  quella legge è svuotata dal suo interno da anni. Secondo il Ministero della Salute sono obiettori sette medici su dieci (per inciso, i cattolici praticanti in Italia, secondo i dati Eurispes 2006, sono il 36,8%): in pratica, si è passati dal 58,7 per cento del 2005 al 70,7 per cento del 2009 per quanto riguarda i ginecologi, per gli anestesisti dal 45,7 per cento al 51,7 per cento e per il personale non medico dal 38,6 per cento al 44,4 per cento. Secondo la Laiga, l’associazione che riunisce i ginecologi a difesa della 194, i “no” dei medici arriverebbero quasi al 90% del totale, specie se ci si riferisce agli aborti dopo la dodicesima settimana. Nei sette ospedali romani che eseguono aborti terapeutici, i medici disponibili sono due; tre (su 60) al Secondo Policlinico di Napoli. Al Sud ci sono ospedali totalmente “obiettanti”. In altre zone la percentuale di chi rifiuta di interrompere la gravidanza sfiora l’80 per cento, come in Molise, Campania, Sicilia, Bolzano. Siamo sopra l’85% in Basilicata. Da un’inchiesta dell’Espresso di fine 2011, risulta che i 1.655, non obiettori hanno effettuato nel solo 2009, con le loro scarse forze, 118.579 interruzioni di gravidanza, con il risultato che più del 40% delle donne aspetta dalle due settimane a un mese per accedere all’intervento, e non è raro che si torni all’estero, alla clinica privata (o, per le immigrate soprattutto, alle mammane). Oppure, al mercato nero delle pillole abortive.
Dunque, è importante agire. Vediamo come.

Intanto, queste sono alcune delle iniziative che sono state prese:
1) Lo scorso 8 giugno, Aied e Associazione Luca Coscioni hanno inviato a tutti i Presidenti e assessori alla sanità delle Regioni un documento sulle soluzioni da adottare per garantire la piena efficienza del servizio pubblico di IVG come previsto dalla legge. “Siamo altresì pronti a monitorare con attenzione l’applicazione corretta della legge e, se necessario, a denunciare per interruzione di pubblico servizio chi non ottempera a quanto prevede la legge”, hanno detto.
Le proposte sono:
Creazione di un albo pubblico dei medici obiettori di coscienza;
Elaborazione di una legge quadro che definisca e regolamenti l’obiezione di coscienza;
Concorsi pubblici riservati a medici non obiettori per la gestione dei servizi di IVG;
Utilizzo dei medici “gettonati” per sopperire urgentemente alle carenze dei medici non obiettori;
Deroga al blocco dei turnover nelle Regioni dove i servizi di IVG sono scoperti. 

2) La scorsa settimana ha preso il via la campagna contro l’obiezione della Consulta di Bioetica Onlus: qui trovate le informazioni e qui il video.

Diffondere queste informazioni è un primo passo. Ce ne possono essere altri. Fra quelli a cui, discutendo insieme, abbiamo pensato, ci sono:

1) Raccogliere testimonianze. Regione per regione, città per città, ospedale per ospedale, segnalateci gli ostacoli nell’accesso all’IVG e alla contraccezione d’emergenza. Potete farlo anche in forma anonima, nei commenti al blog. Ma è importante: perché solo creando una mappa dello svuotamento della legge è possibile informare su quanto sta avvenendo ed eventualmente pensare ad azioni anche legali.

2) Tenere alta l’attenzione in prossimità del 20 giugno. Lanciate su Twitter l’hashtag #save194, fin da ora.
L’intenzione di questo post è quella di informare. Non è che il primo passo: perché la libertà di scelta continui a essere tale, per tutte le donne italiane”.

Dai Roberto, su EXPO fai anche tu come Pisapia

COMUNICATO STAMPA – MILANO, 11 GIUGNO 2012

“SU EXPO FORMIGONI SEGUA ESEMPIO DI PISAPIA”

Leggiamo con attenzione le dichiarazioni di sostegno espresse da Roberto Formigoni alle dimissioni rassegnate da Giuliano Pisapia come Commissario straordinario Expo.

Invitiamo Roberto Formigoni, in pieno spirito di collaborazione tra Regione Lombardia e Comune di Milano e per la buona riuscita di Expo, a seguirne l’esempio, rassegnando le dimissioni dalla stessa posizione.

L’assenza di questo atto renderebbe ancora più evidente come gli scandali e le difficoltà di rapporto con la Lega Nord rendano la sua Presidenza incapace di andare oltre l’ordinaria amministrazione, e tanto più di gestire un evento dell’importanza di Expo”

Sei sicuro? La mafia a Brescia

Che piaccia o no i ragazzi e della Rete Antimafia Provincia di Brescia in questi ultimi anni stanno facendo un lavoro straordinario. Non hanno interessi di visibilità, relazioni o altro: sono curiosi. Sono curiosi come riescono ad essere curiosi gli “scassaminchia” che si augurava Peppino Impastato e sono appuntiti come sono appuntiti quelli che vogliono porre domande senza accontentarsi delle risposte. Con pochi mezzi e la professionalità dei propri valori hanno confezionato un documentario che sarebbe bene guardare con attenzione e propagare senza moderazione. A loro tutta la mia gratitudine da cittadino lombardo.

Qui il loro comunicato stampa sulla presentazione del documentario:

Finalmente ci siamo!
Dopo poco più di un anno di intenso lavoro è giunto il momento di presentare “Sei sicuro? La piovra a Brescia”, il video-documentario riguardante le infiltrazioni della criminalità organizzata nella nostra Provincia realizzato in collaborazione con la lista di rappresentanza universitaria Studenti Per-UDU Brescia grazie al contributo dei bandi per le attività culturali degli studenti messo a disposizione dall’Università degli Studi di Brescia.

Il documentario, la cui componente tecnica è stata curata dal giornalista Fabio Abati, chiude il progetto di sensibilizzazione contro la criminalità organizzata, “La mafia a cento passi da casa nostra”, avviato lo scorso settembre insieme ai ragazzi di Studenti Per, un progetto composto, oltre che dal video che stiamo per presentare, da un ciclo di incontri svoltosi in autunno: “La mafia ieri e oggi”, con Giovanni Impastato e Fernando Scarlata, “La mafia in Lombardia”, con lo spettacolo teatrale “La pagliuzza e la trave” ed il dibattito con Benny Calasanzio Borsellino, e “L’antimafia ed i giovani”, con Salvatore Borsellino ed Emiliano Morrone.

“Sei sicuro? La piovra a Brescia” è il racconto del percorso attraverso cui un giovane bresciano prende coscienza della realtà criminale che ha infiltrato la sua Provincia.
Approfondisce il tema dei beni confiscati, quello del mondo del movimento terra, ed illustra le realtà del Lago di Garda e della Valtrompia. Tutto questo attraverso l’analisi di carte giudiziarie e le testimonianze dirette di chi queste verità le conosce molto bene: forze dell’ordine, vittime e pentiti.

“Sei sicuro? La piovra a Brescia” sarà presentato ufficialmente Mercoledì 13 Giugno alle 21.30 presso l’Aula polifunzionale del Cedisu in via Valotti 3 (dietro la Facoltà di Ingegneria), Brescia.

La profezia di Calamandrei sulle scuole private (1950)

Facciamo l’ipotesi, così astrattamente, che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuole fare la marcia su Roma e trasformare l’aula in alloggiamento per i manipoli; ma vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno difetto di essere imparziali. C’è una certa resistenza; in quelle scuole c’è sempre, perfino sotto il fascismo c’è stata. Allora il partito dominante segue un’altra strada. Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle. Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. […] Così la scuola privata diventa una scuola privilegiata. (Piero Calamandrei dal discorso al III Congresso dell’Associazione a difesa della scuola nazionale, Roma, 11 febbraio 1950)

I saldi alla carlona

Le agenzie di stampa sono molte. Prendiamone una:

Partono male le vendite promozionali, o pre-saldi decisi dalla Regione Lombardia. Nella prima giornata di sconti il Codacons ha registrato, nella città diMilano un calo medio delle vendite del 70% rispetto alla prima giornata di saldi estivi dello scorso anno ed un afflusso di cittadini nei negozi inferiore del 75%. Il dato fortemente negativo è influenzato dal fatto che la maggioranza dei negozianti non ha aderito all’iniziativa, o perché non ha voluto o perché i tempi stretti dell’approvazione della legge non hanno consentito loro di prepararsi in tempo. Poche le vetrine con offerte di sconti.

Anche la maggioranza dei consumatori non è stata adeguatamente informata della partenza delle vendite promozionali. Insomma, conclude il Codacons, l’iniziativa si presenta come un autentico flop. I commercianti, infatti, avevano l’opportunità di guadagnare, ma non l’hanno sfruttata. Al di la del fallimento della prima giornata, restano valide le previsioni dell’associazione sull’andamento complessivo dei saldi. Rispetto a quelli estivi dello scorso anno il Codacons prevede, per la città di Milano un calo delle vendite del 10%, con una spesa a famiglia che non supererà i 200 euro, contro i 220 dello scorso anno. Infine, solo il 40% dei milanesi si avvarrà degli sconti di fine stagione.

Presentare una mozione per la liberalizzazione dei saldi (con maggioranza e un pezzo di minoranza insieme) nella stessa seduta della mozione di sfiducia a Formigoni era già un atto poco illuminato. Votarla (tutti, escluso noi, tanto per chiarire) senza riflettere sul commercio di vicinato e sui pareri dei commercianti è stato incauto. Se le ricette contro la crisi sono la liberalizzazione dei saldi alla carlona forse dobbiamo interrogarci. Ma sul serio. E magari partendo dal lavoro.

Caro centrosinistra lombardo,

Chi segue questo blog sa bene le motivazioni e le azioni. Ne abbiamo parlato prima della seduta d’Aula e nella riflessione successiva. Oggi abbiamo deciso di scrivere una lettera a tutti i consiglieri regionali del centrosinistra lombardo:

Caro amico/a,

siamo convinti che l’ultima seduta di Consiglio Regionale e i suoi risvolti politici impongano a tutti noi una seria riflessione. I tempi di presentazione della mozione di sfiducia, la gestione dell’aula, i contenuti e le sfumature che abbiamo potuto cogliere da alcuni interventi e la decisione di calendarizzare un provvedimento bipartisan nella stessa seduta hanno indubbiamente indebolito lo spessore dell’atto politico.

Noi non crediamo (e siamo certi, anche voi) che questo sia il tempo delle tiepidezze in attesa del prossimo salvifico avviso di garanzia, quanto piuttosto il tempo di rilanciare il progetto politico del centrosinistra e dei tanti cittadini che progettano, costruiscono e rivendicano un’alternativa reale a Formigoni puntando anche sul prezioso lavoro istituzionale di ognuno di noi.

Anche la campagna “Formigoni il tempo è scaduto” non può fermarsi all’affissione e ai comunicati stampa, ma meriterebbe un’energia continua e coordinata che sia quotidiana fuori dall’aula e riconoscibile dentro.

Per questo ti chiediamo di vederci per un confronto che sia schietto e definisca le sintonie.

Pensiamo ad esempio che sia necessario costruire insieme luoghi e percorsi di confronto (chiamiamoli cantieri, officine, laboratori, come volete, non siamo affezionati alle etichette) che vedano insieme confrontarsi politici e cittadini, esperienze professionali e istituzionali, saperi diversi, su tre principi questioni: lavoro e reddito; etica e trasparenza nella pubblica amministrazione; ambiente, acqua e beni comuni.

Per ripartire insieme, con vigore, a costruire la Lombardia migliore che i lombardi stanno aspettando.

Giulio Cavalli

Chiara Cremonesi

Telejato si fa in cinque

Ne abbiamo parlato, abbiamo alzato la voce (qui, qui, qui e qui). Oggi Telejato (e noi tutti che le vogliamo bene) ha vinto:

La tv antimafia locale diretta da Pino Maniàci continuerà a trasmettere in consorzio con TeleMed, Radio Monte Kronio e Il Tirreno. Disporrà di cinque canali. Il primo sarà attivo il 4 luglio sul canale 273. Appello per acquistare le attrezzature e ottenere un bene confiscato alla mafia in cui lavorare. La battagliera emittente  ringrazia le  associazioni che l’hanno sostenuta e mette un canale a disposizione delle 40 emittenti che non hanno  superato la soglia dello switch off.

Partinico, 10 giugno 2012 – TeleJato ha superato la difficile prova del passaggio al digitale terrestre. La piccola emittente dal 4 luglio sarà sul canale 273 ed entro la fine dell’anno potrà attivare altri quattro canali. Dunque Telejato non chiude e si fa in cinque. La bella notizia è arrivata con la pubblicazione delle graduatorie provvisorie per l’assegnazione delle frequenze TV del Ministero dello Sviluppo economico, rese note pochi giorni fa.

Con lo switch off del segnale analogico e il passaggio alla televisione digitale terrestre in Sicilia, TeleJato ha seriamente rischiato la chiusura. Come Pino aveva spiegato aOssigeno , la legge ha previsto regole restrittive circa i titolari dei requisiti necessari per accedere al nuovo sistema di trasmissione. In particolare, non consentito alle piccole televisioni comunitarie come TeleJato di accedervi. La prospettiva era di spegnere il segnale.

L’ostacolo è stato superato da Telejato costituendo un consorzio con altre tre emittenti televisive: TeleMed, Radio Monte Kronio e Il Tirreno. «Sono state le altre emittenti, soprattutto l’emittente regionale TeleMed – spiega Maniàci -, a consentirci di raggiungere il punteggio richiesto per passare al nuovo sistema. Da soli non ce l’avremmo fatta». Adesso TeleJato diventa operatore di rete, oltre che fornitore di contenuti, nel nuovo sistema televisivo italiano.

Dunque Pino Maniàci ha vinto, con i suoi famigliari, con le associazioni e i singoli cittadini che hanno sostenuto la battaglia per tenere viva una voce che si è distinta per coraggio e spirito di libertà e impegno contro la mafia. «Noi di TeleJato ringraziamo – tiene a dire Pino Maniàci – tutti coloro che ci sono stati vicini in questa battaglia di democrazia. Soprattutto le associazioni, i giovani, il comitato “Siamo tutti TeleJato” e le scuole che hanno scritto una lettera al presidente della Repubblica Napolitano e al ministro Passera. Continueremo a batterci perché lo stesso diritto sia riconosciuto alle altre emittenti rimaste fuori».

L’articolo di Ossigeno Informazione lo potete leggere qui.

L’innocenza di Giulio Andreotti smontata a teatro

Recensione dello spettacolo L’INNOCENZA DI GIULIO di Giulia Valsecchi da LINKIESTA

Un pezzo di storia messo in scena, perché nella finzione teatrale si realizzi il ribaltamento della falsità diffusa dai media, questo avviene nello spettacolo “L’innocenza di Giulio – Andreotti non è stato assolto”. Tutte le trame della gestione del potere, degli anni di piombo e dello sfondo, inquietante, della mafia, vengono ritratti, come in una confessione, nello spettacolo di Giulio Cavalli, dove il teatro ritorna civile, e dove trasfigura l’essenza di un mondo lontano, ma che è stato.

Il dovere morale delle scene finisce spesso per ingaggiare ombre fatte di memorie zoppicanti o errate, campi sommersi da nebbie che investono la politica intesa come consesso, assemblea eletta per governare. Proprio per elezione si delineano ruoli e autorità di destinazione pubblica necessari a quel progresso sociale, economico e culturale che, ricorda la Costituzione, deve scalciare l’indifferenza e la compromissione illecita.

Per anni, dalla divulgazione nel 2003 della sentenza del processo che ha visto come imputato Giulio Andreotti, nome perennemente rimbalzato da un’ironia abrasiva che si vede ascrivere tutto eccetto le guerre puniche, la certezza ammessa su suolo popolare ne ha declamato l’assoluzione. Come ulteriore conferma di verità andate in fumo, il network dei media ha annacquato maneggi politici, finanziari e fitte cosche rendendo nota la più falsa e connivente estraneità del sette volte Presidente del Consiglio da reati mafiosi.

Il senatore a vita simbolo della Democrazia Cristiana e già membro della Costituente rivive invece alle spalle di bugie criminali tra cappotti lisci e cappelli dritti delle genti che contano. È l’alter ego e demone mutante nella voce dell’attore e consigliere regionale Giulio Cavalli, che ha scelto la sequenza di alcune date e incontri chiedendo al pubblico una “collusione di dignità”. Da oltre un anno il monologo scritto e interpretato intorno al Divo, già protagonista di una potente e ossessiva maniacalità documentaristica nel film di Paolo Sorrentino, attraversa la cronaca di un timoniere su acque torbidissime. Al centro ora un inginocchiatoio che serve da fuoco e testimonianza dell’accusato, mentre Gian Carlo Caselli in un video pronuncia l’incontrovertibilità degli atti che, in veste di Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Palermo, l’hanno visto giudice istruttore nel processo Andreotti contro la voragine di un’assoluzione di fatto inesistente.

È forse l’esempio della più dannosa “gestione mediatico-politica” di un verdetto processuale che recita concrete collaborazioni in reati associativi di stampo mafioso fino al 1980: mani strette e baci immortalati da scatti sempre negati e passati in prescrizione per l’emissione della sentenza definitiva dopo il 2002. Resistono non troppo ai margini le dicerie nate all’inizio del secolo scorso sull’inesistenza della mafia, i personaggi che hanno concordato con Giulio Andreotti un’ascesa di conti cifrati e banchieri come Michele Sindona e i suoi ingranaggi tra politica, chiesa, Cosa Nostra e logge massoniche. Proprio il salvataggio dei gravi scoperti della Banca Privata Italiana di Sindona dalla liquidazione coatta voluta e mai trasmessa formalmente dall’avvocato Giorgio Ambrosoli, prima minacciato poi freddato da un sicario nel 1979, accrescono il puzzo di quel pesce di difficile cottura come Montanelli definì il senatore democristiano.

La sua fisicità ripiegata sull’inginocchiatoio si alterna a melodie gregoriane rafforzando il contrasto con giri di oratoria che negano la frequentazione dei cugini e imprenditori siciliani Salvo, dichiarano la mancata responsabilità sull’assassinio nel 1982 del generale Dalla Chiesa e giustificano l’assenza al suo funerale per un’innata predilezione verso i battesimi. Le trame si rincorrono e sono date bianche su schermo nero a partire dalle dimissioni nel 1974 di Paolo Sylos Labini dal ministero del Bilancio, per l’imposizione voluta da Andreotti del sottosegretario Salvo Lima, già indagato dalla Commissione Parlamentare antimafia. Un “amico degli amici” troppo potente e pericoloso anche per l’allora Presidente del consiglio Aldo Moro.

E proprio sul rapimento Moro è necessario soffermarsi, perché in una lettera al cinque volte ministro degli Esteri il presidente della Dc si rivolge a qualcuno di ormai troppo distante dal fervore dell’eredità umana e democratica di De Gasperi, gigante di saggezza e flessibilità. A chi spettano allora la prima e ultima mossa del rapimento più aggrovigliato? Interrogativi che paiono annegare nel processo Dell’Utri e anticipano il richiamo alla giustezza più che alla giustizia del fare ordine tra gli eventi e le manovre pelose. Si accodano poi un piccolo bis con il video dell’ultimo miracolo italiano e la chiosa degli stacchi dal vivo del bravo Stefano “Cisco” Bellotti cui spetta il controcanto narrativo.

Fuori da queste mura teatrali protette resistono la lingua nuda di un attore e testimone da anni sotto scorta, la regia in ascolto di Renato Sarti e la collaborazione ai testi di Gian Carlo Caselli e Carlo Lucarelli. Ma soprattutto, fuor di partito preso, si fa largo un teatro che ha pari funzione di megafono contro la più dilagante astinenza dalla cruna fastidiosa della legge.

Dal 6 al 16 giugno 2012
Produzione Bottega dei mestieri teatrali – Teatro della Cooperativa
L’INNOCENZA DI GIULIO – Andreotti non è stato assolto
di e con Giulio Cavalli
con la collaborazione di Giancarlo Caselli e Carlo Lucarelli
regia Renato Sarti
musiche originali Stefano “Cisco” Bellotti

Orario spettacoli:
mer – sab: ore 20:45

Teatro della Cooperativa
www.teatrodellacooperativa.it – Via Hermada 8, Milano

Info e prenotazioni: 02 64749997

Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato

Luciano Muhlbauer (uno che ci manca parecchio qui in Regione Lombardia) scrive su il dopo Formigoni per il Manifesto del 9 giugno 2012 con il titolo “L’era di Formigoni è finita? Sì, se il Pd battesse un colpo”. Noi siamo in campo:

Al Pirellone non è successo niente. La mozione di sfiducia contro Roberto Formigoni è stata respinta. Nessuna emozione, nessuna sorpresa, beninteso. L’esito era talmente scontato che mercoledì il capogruppo regionale del Pd, in vacanza su un’isola greca, non si è nemmeno presentato in aula. Già, la logica del potere è implacabile e la Lega, al di là delle sceneggiate padane, non ha alcuna intenzione di mollare il Presidente ciellino e, soprattutto, di segare il ramo sul quale sta comodamente seduta da oltre un decennio.

Formigoni ovviamente gongola, ma la sfiducia mancata non toglie nulla alla profondità della crisi che lo attanaglia. Al massimo dimostra che la paura di perdere poltrone e privilegi è un potente collante e che dopo 17 anni di governo ininterrotto della stessa persona e dello stesso gruppo politico, di sovrapposizione tra pubblico e privato, di complicità e di clientele, cambiare le cose in Lombardia è faccenda che non può essere affidata all’improvvisazione.

La crisi del formigonismo è definitiva, terminale. Quel modello aveva perso la sua spinta propulsiva anni fa ed ora siamo al tirare a campare in un clima da basso impero, popolato da corrotti, trote, minetti, faccendieri, vacanze di lusso e pure un pizzico di ‘ndrangheta. Insomma, un ciclo politico è finito e il dopo Formigoni è già iniziato, anche se questa constatazione, di per sé, non ci fornisce alcuna certezza sui tempi, sulle modalità e sugli esiti.

Si, perché le cose da sole non cambiano in meglio, anzi rischiano di imputridirsi rapidamente, soprattutto oggi, con l’intero sistema politico esposto al discredito di massae con una crisi economica ed occupazionale sempre più devastante. In altre parole, la fuoriuscita celere dall’epoca formigoniana e la definizione di un’alternativa netta, chiara e trasparente rappresentano oggi la principale urgenza politica in Lombardia.

Eppure, sembra che l’opposizione a Formigoni venga fatta seriamente soltanto dalla Procura della Repubblica e questo è un guaio. Sia chiaro, il problema non sono i magistrati, che fanno (e faranno) semplicemente il loro mestiere, bensì la politica, che non lo fa a sufficienza, determinando così un pericoloso vuoto.

In questo senso, dissento profondamente da chi è intervenuto ultimamente, anche da posizioni contigue al centrosinistra, come Piero Bassetti (ex Presidente della Regione e sostenitore di Pisapia l’anno scorso), affermando che Formigoni non si debba dimettere nemmeno in caso riceva un avviso di garanzia. Certo, un ragionamento ineccepibile in punto di diritto, ma politicamente perlomeno sospetto. Infatti, come negare rilevanza politica alla quantità e alla qualità di indagati nell’entourage del Presidente e al fatto che un terzo della sua Giunta degli anni 2005-2010 risulti oggi inquisita per fatti di corruzione? O al piccolo particolare delle firme false per la presentazione della sua lista elettorale? Oppure al quadro desolante che emerge con sempre maggior forza dalle vicende San Raffaele, Fondazione Maugeri e vacanze pagate?

Insomma, la rilevanza politica è evidente, per i fatti in sé e per quello che raccontano sulla vera essenza di un sistema di potere, ormai irreversibilmente marcio. Se a questo aggiungiamo il fatto che Regione Lombardia è ormai letteralmente immobile, se non addirittura disinteressata, rispetto all’incalzante questione sociale e alla galoppante desertificazione produttiva, abbiamo completato il quadro dell’insostenibilità della situazione.

Appunto, il dopo Formigoni è già iniziato. Per questo, se non si vuole delegare la politica alla magistratura o consegnare il futuro della Lombardia a un grande accordo con Cl, a una sorta di formigonismo senza Formigoni, occorre che dal campo dell’opposizione emerga un’iniziativa urgente e un percorso unitario che porti alla definizione di un’alternativa politica per la Lombardia. Un percorso, sia chiaro, il più pubblico ed aperto possibile, a partire dallo svolgimento delle primarie, perché solo così si potrà seriamente tentare di recuperare un rapporto di fiducia con i ceti popolari ed evitare in partenza tragici errori, come quello che aveva portato due anni fa alla candidatura di Filippo Penati.