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Politica

I temi e le news della politica in Lombardia e in Italia. L’attività politica di Giulio Cavalli in consiglio regionale della Lombardia.

#nonmifermo Stupisce lo stupore

In Lombardia e sulla Lega. Perché, aldilà delle singole responsabilità ora in fase di accertamento, sono questi i rischi che corre una politica dove è pressoché inesistente il confine fra partito e famiglia (e la Lega non è certo un caso isolato) e l’ideale coincide con una cultura pressappochista e anticostituzionale, violenta e razzista, il cui immaginario è stato riempito nel tempo di facezie, parolacce, volgari gesticolazioni, come scrive Claudio su #nonmifermo nel suo ultimo post.

Il Nord dei grandi appalti, delle bonifiche, delle speculazioni edilizie, dell’Expo. Il Nord che “lava” il denaro proveniente dal business della droga, della prostituzione, del gioco d’azzardo. Il Nord operoso degli “amici degli amici”, di Don Verzé e Salvatore Ligresti. Il Nord dell’inchiesta Infinito, dei patteggiamenti per le mancate bonifiche a Rogoredo, delle truffe, le estorsioni, i capo-bastone e i capo-mandamento.

Quel Nord che faceva scrivere a Giuseppe Poggio Longostrevi nel 2000, prima di suicidarsi: “Per me pagare Abelli era come stipulare un’assicurazione”. L’Onorevole Gian Carlo Abelli, ancora oggi referente politico per la sanità lombarda, vicino agli ambienti di “Comunione e Liberazione” e delegato per i rapporti con il Parlamento del presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni.

La Lombardia, appunto: emblema dell’operosità nordista e motore del sogno federale caro a Umberto Bossi.

 

BeppeGrillo.it intervista Giulio Cavalli sul libro L’INNOCENZA DI GIULIO

da il Blog di Beppe Grillo

Tra la politica e la criminalità organizzata c’è, sin dai tempi dell’Unità d’Italia, una neppure tanto celata familiarità. Di solito vi è un triangolo formato dal Politico Inconsapevole, dal Tramite, un’interfaccia in apparenza rispettabile che fa da garante agli accordi, e da uno più esponenti mafiosi. Il finale è più o meno sempre lo stesso. Il Tramite finisce in galera o morto ammazzato come Totò Cuffaro e Salvo LIma, il mafioso si prende uno o più ergastoli, come Totò Riina e Provenzano e il Politico Inconsapevole, dopo aver gridato ai quattro venti la sua estraneità e innocenza, fa carriera. Una volta c’era Andreotti, ora ci sono i suoi figli e nipoti. Attenzione si scindono e si moltiplicano. Piccoli Andreotti crescono.

Intervista a Giulio Cavalli, scrittore, autore e attore teatrale

Un boss qualsiasi
“Ciao a tutti gli amici del blog di Beppe Grillo, sono Giulio Cavalli, autore, scrittore e attore teatrale. Mi occupo di criminalità organizzata, mi occupo di mafie e corruzione, anzi mi occupo di mafia e politica perché mafia e politica in molti aspetti sono simili e poi, in fondo, sia la mafia che la politica noi possiamo non occuparci di loro ma loro inevitabilmente si occupano di noi.
Vorrei parlare del valore e dell’opportunità nell’analisi politica partendo da un personaggio su cui abbiamo sentito di tutto. Una discussione che molto spesso abbiamo deciso di delegare al Giovanardi di turno oppure a quelle tribune politiche dove si decide solo da che parte stare, tra colpevolisti e innocentisti. Lui è Giulio Andreotti ed è in fondo il protagonista politico di questi ultimi 50 anni. Il processo Andreotti dovrebbe essere un bigino, dovrebbe essere nelle cartelle, nei zaini degli studenti insieme al libro di geografia o di storia. Perché il processo Andreotti fondamentalmente ci racconta non solo l’innocenza del senatore a vita ma quanto e se siamo stati innocenti noi in questo paese e quanto siano stati innocenti i meccanismi democratici. All’interno del processo Andreotti, così come nel processo Dell’Utri e in molti altri processi che per via giudiziaria sono finiti con una prescrizione, che è molto diversa da una dichiarazione di innocenza, contiene dei fatti riscontrati, provati, addirittura confessati dall’imputato. E allora bisognerebbe pensare quanto possa un Paese essere degno rimanendo ancorato a meccanismi giudiziari che, a differenza di quello che ci vogliono far credere, sono ben diversi dai valori dell’opportunità.
Quanto è stato opportuno Giulio Andreotti che si è seduto fino alla primavera del 1980 con gli uomini della mafia? Quanto può essere opportuno un uomo di governo che ha attraversato la Prima Repubblica e la Seconda Repubblica e che forse riuscirà a vedere anche la Terza, che ha deciso che Cosa Nostra fosse un ottimo strumento per gestire il consenso e controllare il territorio, proprio come un boss qualsiasi, semplicemente in giacca e cravatta con una credibilità istituzionale e mondiale ben diversa da quello che può essere il boss di questo o di quel rione in Sicilia o in Calabria. Il processo Andreotti ci racconta che ormai ci siamo disabituati a separare il valore della opportunità dal valore della verità giudiziaria, nello stesso Paese in cui Pertini, ma anche Paolo Borsellino, persone politicamente e partiticamente molto diverse tra di loro, ci avevano insegnato che le ombre non erano tollerabili, in un Paese che è diventato bravissimo a essere intollerante con diverse forme di diverso e che invece sembra che non riesca più a essere intollerante con una classe politica che ci racconta che ha incontrato un mafioso ma non ne sapeva nulla, che per caso è capitata in una riunione tra boss ma non se ne era resa conto. Oppure che aveva fatto in modo inconsapevole a sua insaputa un piacere a questa e a quella famiglia.

Andreottismo oggi
Io credo che sia importante partire da Andreotti per chiedersi quanto oggi l’andreottismo funzioni, perché relegare la vicenda del processo Andreotti solo al divo Giulio è il modo più semplice per continuare a permettere alla politica di essere oscena, cioè fuori scena, lo dice bene Scarpinato in un suo libro “Il ritorno del principe”.
Gli Andreotti di oggi sono i politici che si sono serviti o che continuano a servirsi delle mafie per accelerare la loro carriera o per avere protezione in un Paese in cui corruzione, riciclaggio e criminalità organizzata sono tre sorelle di un comune denominatore. Sarebbe il caso di provare a leggere in modo intellettualmente onesto ciò che è scritto nelle carte del processo Andreotti perché diventa urgente accorgersi degli andreottismi, che funzionano e che continuano a funzionare, e riconoscere chi sono oggi i figli di Andreotti. E quanto sia tollerabile al di là della prescrizione, al di là di una Cassazione come nel caso di Dell’Utri che decide che il processo debba ritornare in appello, quanto sia tollerabile sapere che questo o quel politico si sia seduto al tavolo della criminalità organizzata e abbia fatto da ponte, lui garante con le istituzioni.
Chiedersi se non sia il caso di diventare intolleranti, ma intolleranti sul serio, per dichiarare una volta per tutte che ci sono dei limiti che non possono essere superati e ci sono dei comportamenti che non possono essere accettati in un Paese civile. Stupisce della vicenda Andreotti che in fondo il suo processo sembra una favola, una favola strana perché, se ci pensate quasi tutti i cattivi che giravano intorno alla favola più o meno sono stati fotografati mentre bussavano alla sua porta. E però in fondo tutti i cattivi sono finiti abbastanza male, chi arrestato, chi morto ammazzato come i suoi solidali siciliani. E invece, molto spesso, i collegamenti e quindi gli uomini prestati alla politica e forse fratelli della criminalità organizzata sono sempre riusciti a salvarsi, non solo dalla giustizia ma anche nella memoria, nel giudizio morale di questo Paese. E verrebbe da chiedersi perché Dell’Utri sia riconosciuto e ricordato a Milano come un grande esperto di libri antichi, oppure Cosentino non debba essere visto come uomo endogamico ai casalesi prestato alla politica, ma debba essere un’altra vittima di magistratura o di un’opinione pubblica feroce che ha tentato di cannibalizzarlo. E nello stesso Paese in cui improvvisamente Totò Cuffaro, scaricato chissà se dalla mafia o dalla politica, invece si è ritrovato a pagare pegno, nonostante sia in ottima compagnia perché è visitato regolarmente da Pier Ferdinando Casini che riesce ad avere questa grande scissione, comune a molti della nostra classe politica, per cui i meccanismi morali e i meccanismi etici non debbano per forza coincidere con i meccanismi politici.

Le decisioni politiche della criminalità organizzata
Colpisce come molto spesso che le decisioni politiche (anche qui in Lombardia è successo) sono state prese dalla criminalità organizzata prima ancora della politica. E’ una criminalità organizzata che ha già dimostrato di essere politicamente molto più illuminata, è il caso ad esempio di Massimo Ponzoni,
il segretario dell’Ufficio di presidenza di Regione Lombardia, segnalato nell’operazione “Crimine infinito” e in alcune altre informative come molto vicino alle famiglie che contano della ‘ndrangheta brianzola. Stupisce che nelle elezioni del 2010 in una intercettazione alcuni uomini della ‘ndrangheta dicono che ormai non è più affidabile. E invece la politica nel 2012 non riesce ancora a sfiduciarlo e deve intervenire la magistratura e ancora oggi nella politica c’è qualcuno invece che si erge a difensore. Trovo molto andreottiane alcune intercettazioni che avvengono in Lombardia dove la mafia non esiste, di alcuni uomini di ‘ndrangheta che dichiarano di avere comprato questo o quel terreno che verrà sicuramente rivalutato e si vedrà modificata la destinazione d’uso in previsione di Expo, mentre Expo e la definizione dei terreni in realtà non passa ancora alla discussione degli organi di democratici, quelli eletti. Oppure dovrebbe colpire come negli ultimi casi di corruzione siano stati coinvolti non assessori, e quindi non gente nominata classe dirigente, ma ex assessori, semplicemente appartenenti a correnti importanti di questo o di quel partito che dimostrano di aver preso decisioni o almeno di aver fatto credere di poter prendere delle decisioni passando dagli uffici tecnici di assessorati diversi. Dimostrando una volta per tutte che probabilmente esistono degli interessi sotterranei e collaterali che riescono ad attraversare gli uffici che utilizzati legalmente invece ci richiederebbero tantissimo tempo e tantissime votazioni. E allora se, come nel caso di Andreotti, ogni tanto la mafia sembra sapere già quali sono le decisioni della politica, ci sono secondo me due ipotesi: la prima, quella meno preoccupante, anzi quella assolutamente più ottimista, è che la criminalità organizzata sappia con un canale preferenziale le informazioni della politica prima dei cittadini. La seconda invece, molto più preoccupante, che sia ispiratrice delle decisioni della politica. Quanto questo sia declinabile nel caso di Andreotti o nel caso di tanti piccoli Andreotti che imperversano in questo Paese poi io credo che stia alla decisione e alla consapevolezza di ognuno.”

Chi ha sostenuto l’assessore Colucci?

Esattamente due anni fa: 16 marzo 2010. In piena bagarre elettorale per le regionali un avvocato e un consigliere comunale del Pdl si sentono al telefono: parlano di politica. Meglio: di appoggi da dare e di voti da veicolare. Obiettivo: una poltrona d’assessore accanto al governatore Roberto Formigoni.

Nulla di strano, se non fosse per un particolare: la telefonata è annotata nell’informativa della squadra Mobile di Reggio Calabria messa agli atti dell’inchiesta sulla ‘ndrangheta lombarda e sugli affari di Giuseppe Lampada, ritenuto il riciclatore della potente cosca Condello. Il 30 novembre 2011, Lampada finirà in carcere assieme ad altre nove persone. Tra loro il consigliere della Regione Calabria Franco Morelli e l’avvocato Vincenzo Minasi.

Accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, il legale, originario di Palmi, il 16 marzo 2010 è al telefono con il consigliere comunale del Pdl di Avellino Orazio Sorece, nonché coordinatore per la Campania di Noi riformatori movimento politico fondato da Francesco Colucci, storico questore della Camera. Al centro della telefonata c’è la candidatura del figlio Alessandro Colucci “capolista del Pdl – annotano gli investigatori – e amico dell’Onorevole Francesco Morelli”.

Orazio Sorace arriva subito al dunque: “Ti volevo chiedere una gentilezza: su Milano io ci ho il figlio dell’Onorevole Colucci (…) che è candidato, io collaboro con il papà alla Camera, lui è Questore della Camera”. E ancora: “Possiamo dargli una mano?” perché “lui è molto vicino a Formigoni” e “stiamo cercando tutti di farlo uscire con un bel numero per poter fare l’assessore alla Regione”. Per Minasi non ci sono problemi: “Certo – dice- che gli posso dare una mano ci mancherebbe pure! Fammi avere un po’ di materiale elettorale”. A questo punto Sorace spiega che “lui (Colucci, ndr) praticamente è capolista del Pdl già uscente” e che nelle precedenti elezioni ha incassato “quattordicimila voti”.

Il resto lo scrive Davide Milosa qui.

Il giocatore viene privato del gioco. Grazie.

Sul regolamento di un circolo di minigolf si legge: Il comportamento indisciplinato e con maleducazione, o danneggiando la mazza o l’impianto, il giocatore viene privato del gioco. Grazie. La Direzione.

[Stefano Bartezzaghi, Non ne ho la più squallida idea, Milano, Mondadori 2012, p. 55]

Le formiche svizzere e la difesa del territorio

Poche settimane fa in Svizzera si è votato per alcuni referendum (ce lo racconta Massimo Pillera): …riguarda la limitazione a costruire seconde case o case vacanza. Un vero e proprio limite che impedisce di fatto la costruzione nelle zone di montagna e nelle valli, limitando al 20% di un Comune l’area di potenziali costruzioni. Poiché ogni Comune ha già delle seconde case, le possibilità rimanenti in tutta la Svizzera sono molto limitate. Formiche al lavoro quindi che impediscono la cementificazione del territorio già complicata in quel paese. Pensate che prima di farsi approvare un progetto per edificare, è necessario “piantare i pali”, cioè simulare ciò che verrà costruito, con dei pali che descrivono esattamente larghezza, lunghezza ed altezza del progetto. In questo modo chiunque vive nelle vicinanze può capire se la costruzione simulata da questa leggera impalcatura virtuale, può toglierti panorama, o impedirti di vedere altre case, o limitarti ore di esposizione al sole. Il cittadino quindi può impedire la realizzazione di questo progetto oppure, decidere di non ricorrere se il costruttore risarcisce l’eventuale danno. Possono opporsi naturalmente anche organizzazioni di quartiere o associazioni che abbiano interesse culturale a mantenere un assettopanoramico storico. Insomma una Valutazione di impatto ambientale strategica affidata direttamente ai cittadini ed ai residenti della zona. Solo dopo aver superato questo test, è possibile richiedere al Comune tutte le autorizzazioni a costruire. Grazie a questo sistema, oggi esiste in Europa un territorio come l’Appenzell, che visto dall’alto appare come enorme distesa di verde cangiante inframmezzata da cime e laghi, con qualche villaggio e casette inserite qua e là, collegata da piccole striscioline mai lineari che rappresentano le strade. Una regione dove le case sembrano quelle delle favole, poiché le abitazioni non superano l’altezza di un metro e ottanta centimetri (per esigenze di riscaldamento e non spreco energetico). Un posto dove anni fa il megacampione di Formula 1, Michael Schumacher, voleva costruire una villa con annesso circuito di prova per auto e dopo aver “piantato i pali” fu costretto a scappar via perché altrimenti il popolo li avrebbe piantati chissà dove.

Eppure la costruzione avrebbe comportato interessanti investimenti, indotto turistico, esposizione mediatica (pensate alla villa di Clooney sul lago di Como), a fronte di un raro disagio dal suono “roarr” che il pilota avrebbe provocato durante le sue poche permanenze nel luogo. Invece niente, nonostante il clamore austro-elvetico sulla vicenda il Campione non riuscì ad ottenere alcuna autorizzazione. Gli appenzellesi difesero il silenzio e l’aria pulita di quei luoghi, come i loro antichi parenti. Ancora oggi per tradizione, in Aprile, le votazioni cantonali ed i referendum si tengono nella piazza all’aperto e per alzata di mano, anzi di spadino.

Tanto per dire le differenze. No?

Vergognoso il tetto di spesa sui farmaci salvavita. E le rassicurazioni di Formigoni non sono credibili.

“Formigoni che a parole rassicura i pazienti degli ospedali lombardi non è per nulla credibile.

L’unica realtà, al momento, è l’indicazione ai medici di contenere i costi, con l’imposizione di un tetto di spesa ai farmaci del file F, quelli per curare tumori, Aids e malattie rare, e con l’avvio di controlli serrati sulle prescrizioni.

Dopo la decisione di colpevolizzare i lombardi rendendoli edotti delle spese sostenute dalla Regione per ogni esame, visita, ricovero o intervento, ora arriva la scure del risparmio anche sulle medicine salvavita.

Con la conseguenza evidente che i manager ospedalieri tentino in ogni modo di far quadrare i conti. Anche tagliando su cure arbitrariamente ritenute insostenibili, a grave danno dei pazienti.

Tutto ciò è inumano e inaccettabile a prescindere. Ma a maggior ragione se il giro di vite su costi imprescindibili per quanto elevati arriva da una Regione che sulla strumentalizzazione dell’etica e dei valori cristiani ha costruito un impero. Con diverse ombre”.

3.32 io non ridevo

L’Aquila è un cantiere infinito. Non finito nella crudeltà non espiata di un Paese che in alcuni pezzi della sua classe dirigente non è riuscito a scrollarsi di dosso la disumanità con cui ha affrontato quella notte. Gli sfollati sono 27mila, in attesa di tornare a casa. E 383 sono ancora ospiti degli alberghi. A tre anni dal sisma, a fronte dei tre miliardi investiti per l’emergenza, quasi il triplo, già stanziati, devono essere spesi per recuperare gli edifici danneggiati. Diecimila i cittadini che percepiscono l’assegno mensile di 300 euro. Poco più della metà degli abitanti sono tornati nelle loro case. Il Comune ha finalmente approvato il piano che dovrebbe portare al recupero degli edifici. Un documento che divide gli esperti: “Già subito dopo il sisma si poteva riparare le case che avevano subito piccoli danni”. Invece, si scelse la via delle ‘New town’ volute da Silvio Berlusconi. Oggi quartieri desolati, sganciati dal resto della città. I miliardi rimbalzano come palline in un box di plastica. E il tintinnio dovrebbe alleviare la tristezza di questo terzo anniversario del terremoto (6 aprile 2009: morirono 309 persone a L’Aquila e in una cinquantina di comuni abruzzesi). Dovrebbe, ma non è aria. Nella città di Collemaggio, delle Anime Sante, della Casa dello studente sbriciolata sui corpi di otto ragazzi, si fanno i conti. Sono 27 mila le persone, su 45 mila sfollati, che ancora non sono tornate nelle proprie case. Diecimila di queste vivono con un misero contributo mensile e si arrangiano da parenti e amici oppure pagano un affitto quasi da strozzo all’Aquila o altrove. Gran parte di quelle 27 mila persone abitavano nel centro storico, dove ha resistito il solo Raffaele Colapietra, lo storico ottantenne che non ha mai lasciato, con il suo piccolo esercito di gatti, la palazzina grigia sotto il Castello. “Adesso dovrò trasferirmi anch’io, qui cominciano dei lavori e vado in affitto”, dice il professore. E i gatti? “Verranno con me”. Un altro paio di famiglie, oltre ai gatti, fanno compagnia a Colapietra in tutto il centro storico. Per il resto c’era il deserto subito dopo il 6 aprile e tuttora c’è il deserto. C’erano le transenne e ci sono le transenne. C’era un silenzio cupo, rotto dallo scalpiccìo dei calcinacci sotto le scarpe. E c’è ancora. A metà marzo è stato presentato nei laboratori del Gran Sasso, uno studio realizzato dall’Ocse e dall’Università di Groningen, in Olanda. L’indagine, di cui ha scritto su Repubblica Riccardo Luna, sarà completata a dicembre (è stata finanziata dall’allora capo dipartimento dell’Economia, Fabrizio Barca, ora ministro, da Cgil, Cisl, Uil e Confindustria). Compaiono indicazioni serissime sulla rinascita economica dell’Aquila e del cratere, sui settori che andranno sviluppati (la cultura, l’ambiente, le tecnologie). Ma ci sono alcuni passaggi che inquietano sia De Lucia che Iacovone: si auspica “un rinnovamento urbanistico” e la possibilità di modificare senza limiti l’interno degli edifici, salvaguardando, ma anche “migliorando”, solo le facciate storiche. E per questo si suggerisce un concorso internazionale di architettura. Incalza Iacovone, preoccupato che si perda altro tempo: “Che cosa fare nel centro storico lo sappiamo bene, sono competenze che noi italiani abbiamo reinventato e insegnato al resto del mondo fin dagli anni Sessanta.  Si devono fare progetti di restauro, di risanamento e di ripristino. Si può decidere che cosa salvare e che cosa no. Ma non si deve disegnare un tracciato urbano, quello c’è già da settecento anni. E poi questi palazzi settecenteschi sono costruiti intorno a dei vuoti, a dei pregiatissimi chiostri, non possiamo svuotarli ancora. E per farci che cosa? Dei falsi?”.
Repubblica pubblica un’inchiesta che è un brivido. Alle 3.32 noi non ridevamo. E oggi sembra che ci sia ancora poco per fare tornare un mezzo sorriso.

Pericle secondo Brecht

L’analfabeta politico

Il peggior analfabeta è l’analfabeta politico
Egli non sente, non parla, né s’interessa
degli avvenimenti politici.
Egli non sa che il costo della vita,
il prezzo dei fagioli
del pesce, della farina, dell’affitto
delle scarpe e delle medicine
dipendono dalle decisioni politiche.
L’analfabeta politico è così somaro
che si vanta e si gonfia il petto
dicendo che odia la politica.
Non sa l’imbecille che
dalla sua ignoranza politica nasce la prostituta,
il bambino abbandonato, l’assaltante
e il peggiore di tutti i banditi
che è il politico imbroglione,
il mafioso, il corrotto,
il lacchè delle imprese nazionali e multinazionali.

Bertoldt Brecht

La bellezza dello zelo

E’ una lezione di cittadinanza l’omelia di Benedetto XVI per la messa crismale di oggi. Non che io ami in generale le omelie né il Papa tedesco, ma dentro c’è un passaggio che mi sono voluto segnare perché anche nella sua lettura laica è una luce. Una bella luce. Basterebbe leggerla sostituendo la parola sacerdote con politico o scrittore o cittadino o comunque una professione qualsiasi: magari la vostra. Ed è un’occasione per recuperare il valore dello zelo e strapparlo alle acque molli del suo senso più dispregiativo per portarlo nella cesta dei doveri.

Non è una conversione fulminante (al quattordicesimo piano del Pirellone, poi) ma, in tempo di Pasqua, ho pensato che valesse la pena appoggiarvela qui:

L’ultima parola-chiave a cui vorrei ancora accennare si chiama zelo per le anime (animarum zelus). È un’espressione fuori moda che oggi quasi non viene più usata. In alcuni ambienti, la parola anima è considerata addirittura una parola proibita, perché – si dice – esprimerebbe un dualismo tra corpo e anima, dividendo a torto l’uomo. Certamente l’uomo è un’unità, destinata con corpo e anima all’eternità. Ma questo non può significare che non abbiamo più un’anima, un principio costitutivo che garantisce l’unità dell’uomo nella sua vita e al di là della sua morte terrena. E come sacerdoti (politici o scrittori o cittadini o comunque una professione qualsiasi: magari la vostra) naturalmente ci preoccupiamo dell’uomo intero, proprio anche delle sue necessità fisiche – degli affamati, dei malati, dei senza-tetto. Tuttavia noi non ci preoccupiamo soltanto del corpo, ma proprio anche delle necessità dell’anima dell’uomo: delle persone che soffrono per la violazione del diritto o per un amore distrutto; delle persone che si trovano nel buio circa la verità; che soffrono per l’assenza di verità e di amore. Ci preoccupiamo della salvezza degli uomini in corpo e anima. E in quanto sacerdoti (politici o scrittori o cittadini o comunque una professione qualsiasi: magari la vostra) di Gesù Cristo, lo facciamo con zelo. Le persone non devono mai avere la sensazione che noi compiamo coscienziosamente il nostro orario di lavoro, ma prima e dopo apparteniamo solo a noi stessi. Un sacerdote (politico o scrittore o cittadino o comunque una professione qualsiasi: magari la vostra) non appartiene mai a se stesso. Le persone devono percepire il nostro zelo, mediante il quale diamo una testimonianza credibile…

SEA e gli investimenti

I nodi del bilancio del Comune di Milano verso la Città Metropolitana. Per sapere almeno di cosa stiamo parlando il Forum Economia Finanza e Mercati di SEL presenta un documento chiaro e ben fatto sullo stato delle cose. Perché le idee politiche possono divergere ma i numeri sono quelli. Qui il documento in pdf.