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Ma qual è il piano di Israele?

Dunque secondo il Washington Post gli Usa e alcuni Paesi arabi starebbero lavorando a un piano di pace tra israeliani e palestinesi che includerebbe una dettagliata cronologia per la nascita di uno Stato palestinese. Il primo punto sarebbe ovviamente un cessate il fuoco (chissà se dai piani alti della Tv pubblica stiano vergando un comunicato spaventato) tra Israele e Hamas di sei settimane durante le quali gli Stati Uniti annuncerebbero il progetto e la formazione di un governo palestinese ad interim.

Sono le stesse richieste che popolano gli scritti di moltissimi in queste settimane, sono le stesse richieste che oggi in Italia valgono l’accusa di antisemitismo. Se la sconfitta di Hamas per qualcuno deve passare dalla cancellazione di Gaza e dallo sterminio di un popolo significa che i feroci attacchi di Hamas sono semplicemente un alibi per fare altro. Se la comunità internazionale si dimostrasse talmente dissennata da appoggiare un piano del genere si metterebbe fuori dalla storia. E infatti gli Usa stanno lavorando a tutt’altro progetto.

All’uscita dei rumors sul piano di pace americano hanno risposto due ministri israeliani. Il ministro della Sicurezza nazionale e leader di Potere ebraico, Itamar Ben Gvir dice che “l’intenzione degli Usa insieme ai Paesi arabi di stabilire un Stato terrorista a fianco di Israele è deludente e parte della concezione sbagliata che dall’altra parte ci sia un partner per la pace”. Bezalel Smotrich: ministro delle finanze e leader di Sionismo religioso chiede che “sia presa un decisione chiara con l’opposizione al Piano“.

Buon venerdì. 

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Femminicidi troppo poco interessanti

Questa volta il femminicidio è doppio anche se la radice è la sempre la stessa, il non poter più possedere la sua ex fidanzata. Christian Sodano, originario di Minturno e in servizio alla Guardia di finanza di Ostia, è arrivato a casa della sua ex fidanzata a Cisterna di Latina, quartiere San Valentino. Hanno cominciato a litigare. A quel punto sarebbero intervenute la madre e la sorella di lei, contro cui il finanziere ha esploso alcuni colpi di pistola. Lei è fuggita in bagno dove si è rifugiata fino all’arrivo delle forze dell’ordine che l’hanno trovata in stato di choc. Lui ha ucciso Nicoletta Zomparelli, 46 anni, Reneè Amato, 19 anni, rispettivamente madre e sorella di Desyrée. L’allarme è stato lanciato da alcuni vicini allarmati dagli spari. 

A proposito di armi. Nel 2018 – sempre a Cisterna di Latina – Luigi Capasso, un appuntato dei carabinieri in servizio a Velletri, sparò alla moglie da cui si stava separando, ferendola gravemente, e uccise le sue due figlie prima di suicidarsi. A giugno dell’anno scorso il poliziotto Massimiliano Carpineti ha ucciso la sua collega Pier Paola Romano nell’androne del suo palazzo, prima di uccidersi. Un altro maresciallo della Guardia di finanza, Marcello de Prata, ha ucciso con la pistola d’ordinanza la moglie e la cognata. 

Su 15 donne uccise nel 2024 in sette casi si tratta di delitti con le peculiarità del femminicidio. Finora nessuna delle sette donne ha meritato di diventare un caso nazionale in grado di riaprire il dibattito effimero che è già tornato a essere tema per specialisti e appassionati del genere. Così vuole la gerarchia delle notizie.

Buon mercoledì. 

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La vera domanda da porsi sui Cpr

Qualche giorno fa è apparso in rete un video girato all’interno della struttura di Pian del Lago – Caltanissetta che testimoniava le condizioni in cui sono costretti a vivere numerosi cittadini stranieri in attesa di essere rimpatriati. In contemporanea alle rivolte nel Centro per il rimpatrio (Cpr) di Milo a Trapani anche a Pian del Lago le proteste si sono fatte largo tra i detenuti che lamentano percosse, torture, persone che dormono su cartoni srotolati su letti di cemento.

L’avvocato Arturo Raffaele Covella per Melting Pot ha raccolto la testimonianza di un ospite: «Sto dormendo da 13 giorni fuori, senza materassi, senza niente (…) Dormiamo all’aperto perché il posto è bruciato tutto (….) Sono tredici giorni che dormo fuori senza materasso e con una coperta che mi sono portato io». «La situazione è bruttissima … è brutta…. Sto male, ho anche chiesto di andare all’ospedale per fare visita ma non c’è niente (….) la mia salute è peggiorata (….) dormo fuori, troppo, troppo, troppo freddo». «Il bagno non c’è (….) è tutto rovinato (….) non posso spiegarti avvocato (…) è bruttissimo».  

Nella mattinata di domenica 4 febbraio, tra le 5 e le 6 del mattino, dentro al Cpr di Ponte Galeria (Roma) un giovane 22enne di nome Ousmane Sylla è stato ritrovato esanime: si è impiccato con un lenzuolo annodato a una grata. Come scriveva ieri Adriano Sofri su Il Foglio non bisognerebbe interrogarsi «tanto sulle ragioni che hanno spinto Ousmane Sylla a uccidersi; dovrebbero chiedersi soprattutto come mai tante altre e altri come lui non si uccidano». 

Buon venerdì. 

Nella foto: frame del video girato nella struttura di Pian Del Lago, Caltanissetta

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La casta che si permette di non sapere

Antonio Tajani ha scoperto solo ieri che nell’Ungheria di Orbàn c’è un’italiana che viene trascinata in catene durante le udienze, sta in un carcere pieno di topi e insetti ed è incarcerata da un anno per un’accusa di cui non ha potuto mai leggere gli atti. Beato lui che può permettersi di fare il ministro disinteressandosi di ciò che accade fuori, beato lui che può permettersi di stare in un governo che balla con il leader ungherese fottendosene di ciò che accade agli italiani in quella terra. «Noi non abbiamo avuto informazioni da parte né della detenuta né dall’ambasciata di trattamenti particolari, non avevamo notizie. Dell’accompagnamento delle manette ai piedi e alle mani l’abbiamo visto ieri, io non lo sapevo, io non ero mai stato informato di questo» dichiara Tajani. E Tajani lo dice come se fosse una responsabilità nostra, dei cittadini che non gli hanno mandato nemmeno un messaggio o un video. 

Il ministro Lollobrigida invece non vuole commentare perché dice di non avere visto le immagini. «Credo che l’ambasciata italiana abbia partecipato ad almeno quattro udienze in cui mia figlia è stata portata in queste condizioni davanti al giudice. Noi fino al 12 ottobre, quando mia figlia ha scritto una lettera, non avevamo evidenza del trattamento che stava subendo nostra figlia. Gli unici che lo sapevano e non hanno detto nulla sono le persone dell’Ambasciata italiana in Ungheria», dice il padre di Ilaria Salis.

Quindi i funzionari italiani non avvisano i ministri e loro intanto si concedono il lusso del disinteresse. La casta non è questione di soldi, la casta è l’impunità con cui ci si può permettere di disinteressarsi. 

Buon mercoledì. 

In foto un frame video dell’apertura del processo a Ilaria Salis in Ungheria

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Gaza è diventata «il luogo più pericoloso del mondo per un bambino»

Il vicedirettore di Unicef è di ritorno da una missione di tre giorni a Gaza. Dice che la situazione «è passata dalla catastrofe al quasi collasso» e che la Striscia è diventata «il luogo più pericoloso del mondo per un bambino». «Abbiamo detto che questa è una guerra contro i bambini. – ha detto Ted Chaiban – Ma queste verità non sembrano diffondersi. Delle quasi 25.000 persone che sarebbero state uccise nella Striscia di Gaza dall’escalation delle ostilità, fino al 70% sarebbero donne e bambini. L’uccisione di bambini deve cessare immediatamente». 

Oltre 1,9 milioni di persone, ovvero quasi l’85% della popolazione di Gaza, sono ora sfollate, tra cui molti che sono stati sfollati più volte. Più di un milione di loro si trova a Rafah, in un mosaico di rifugi e siti di fortuna che hanno reso la piccola città quasi irriconoscibile. L’enorme massa di civili al confine è difficile da comprendere e le condizioni in cui vivono sono disumane.

Delle quasi 25.000 persone che sarebbero state uccise nella Striscia di Gaza dall’escalation delle ostilità, fino al 70% sarebbero donne e bambini. Oltre 1,9 milioni di persone, ovvero quasi l’85% della popolazione di Gaza, sono ora sfollate, tra cui molti che sono stati sfollati più volte. A metà dicembre, erano stati registrati 71.000 casi di diarrea tra i bambini sotto i cinque anni, con un aumento di oltre il 4.000 per cento dall’inizio della guerra. Tra le 250.000 e le 300.000 persone che vivono nel nord di Gaza non hanno accesso all’acqua potabile e a malapena al cibo.

Buon venerdì. 

 

 

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La lotta di classe c’è, eccome, e la stanno vincendo loro

Puntualissimi anche quest’anno i tipi di Oxfam hanno fotografato il dirupo di disuguaglianze nel mondo. Mettetevi comodi: dal 2020 i 5 uomini più ricchi al mondo (Elon Musk, Bernard Arnault, Jeff Bezos, Larry Ellison e Warren Buffett) hanno più che raddoppiato, in termini reali, le proprie fortune – da 405 a 869 miliardi di dollari – a un ritmo di 14 milioni di dollari all’ora, mentre la ricchezza complessiva di quasi 5 miliardi di persone più povere non ha mostrato barlume di crescita. Ai ritmi attuali, nel giro di un decennio potremmo avere il primo trilionario della storia dell’umanità, ma ci vorranno oltre due secoli (230 anni) per porre fine alla povertà.

Nel rapporto Disuguaglianza: il potere al servizio di pochi scopriamo che l’aumento della ricchezza estrema nell’ultimo triennio è stato poderoso, mentre la povertà globale rimane inchiodata a livelli pre-pandemici. Oggi, i miliardari sono, in termini reali, più ricchi di 3.300 miliardi di dollari rispetto al 2020 e i loro patrimoni sono cresciuti tre volte più velocemente del tasso di inflazione.

In Italia, il quadro distribuzionale tra il 2021 e il 2022 mostra quasi un dimezzamento della quota di ricchezza detenuta dal 20% più povero (passata dallo 0,51% allo 0,27%), a fronte di una sostanziale stabilità della quota del 10% più ricco degli italiani. Le soluzioni suggerite sono sempre le stesse: una tassa sui patrimoni, niente condoni e lotta all’evasione fiscale. Disse Warren Buffet: «È in corso una lotta di classe, è vero, ma è la mia classe, la classe ricca, che sta facendo la guerra, e stiamo vincendo». A convincersi che la lotta di classe sia finita sono solo i poveri che sognano che i ricchi lascino qualche briciola. 

Buon martedì. 

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Ma c’è bisogno di scriverlo ancora Certo, va ripetuto ogni giorno

Ma c’è bisogno di scriverlo ancora Certo, va ripetuto ogni giorno, finché non si ha contezza della gravità della situazione. Scriviamolo quindi che il 2023 è stato globalmente l’anno più caldo mai registrato dal 1850. Inoltre, lo scorso è stato il novembre con la temperatura più anomala di cui si abbia traccia. Situazioni simili, ammonisce l’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo), si riproporranno con frequenza e intensità sempre maggiori. 

C’è una probabilità pari al 66%, secondo l’agenzia Onu, che tra il 2023 e il 2027 la temperatura media superi la soglia di 1,5 gradi centigradi fissata dall’accordo di Parigi per almeno un anno. Mentre la probabilità sale al 98% che uno di questi anni nonché il quinquennio nel suo complesso siano i più caldi mai registrati.

Il 2023 è stato l’unico anno in cui il 100% dei giorni ha registrato un’anomalia (segue il 2019, con 363 giorni su 365). Inoltre lo scorso è stato anche l’anno con più giorni con oltre 1,5 gradi centigradi di anomalia: oltre il 47% del totale. Sono 192 i giorni in cui l’anomalia è stata compresa tra il grado e il grado e mezzo e ben 173 quelli in cui ha superato la soglia del grado e mezzo. Una cifra, quest’ultima, particolarmente notevole e preoccupante, se pensiamo che il valore più alto, finora, erano stati i 77 giorni del 2016. Due giorni, ovvero il 17 e il 18 novembre, hanno addirittura superato la soglia dei 2 gradi – quella scongiurata dall’accordo di Parigi per via degli effetti irrecuperabili che avrebbe sull’ambiente. Vedete senso di urgenza in giro?

Buon lunedì. 

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Raffaele Oriani e “la vergogna di tutti su Gaza”

Raffaele Oriani interrompe la sua collaborazione a Repubblica dopo 12 anni. Contro il modo di Repubblica e di gran parte della stampa europea di raccontare cosa sta succedendo a Gaza.

“Care colleghe e colleghi -ha scritto nella sua lettera alla redazione- ci tengo a farvi sapere che a malincuore interrompo la mia collaborazione con il Venerdì. Collaboro con il newsmagazine di Repubblica ormai da dodici anni ed è sempre un grande onore vedere i propri articoli pubblicati su questo splendido settimanale. Eppure chiudo qua, perché la strage in corso a Gaza è accompagnata dall’incredibile reticenza di gran parte della stampa europea, compresa Repubblica (oggi due famiglie massacrate in ultima riga a pagina 15). Sono 90 giorni che non capisco. Muoiono e vengono mutilate migliaia di persone, travolte da una piena di violenza che ci vuole pigrizia a chiamare guerra. Penso che raramente si sia vista una cosa del genere, così, sotto gli occhi di tutti. E penso che tutto questo non abbia nulla a che fare con Israele, né con la  Palestina, né con la geopolitica, ma solo con i limiti della nostra tenuta etica. Magari fra decenni, ma in tanti si domanderanno dove eravamo, cosa facevamo, cosa pensavamo mentre decine di migliaia di persone finivano sotto le macerie. Quanto accaduto il 7 ottobre è la vergogna di Hamas, quanto avviene dall’8 ottobre è la vergogna di noi tutti ( su questo il libro di left La strage dei bambini ndr). Questo massacro ha una scorta mediatica che lo rende possibile. Questa scorta siamo noi. Non avendo alcuna possibilità di cambiare le cose, con colpevole ritardo mi chiamo fuori”.

Che poi, a pensarci bene, Oriani è uno che “si chiama dentro” mentre molti comodamente ne stanno fuori.

Buon lunedì.

 

In apertura una foto dal profilo twitter del repoter palestinese Motaz Azaiza, please follow @azaizamotaz9

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L’intervistata e i commentatori

L’unico fremito lo danno i cronisti estasiati. La conferenza stampa della presidente del Consiglio che arriva dopo enne rinvii per motivi diversi è l’occasione per ricordarci in questo inizio dell’anno che l’erede della destra postfascista Giorgia Meloni l’hanno normalizzata soprattutto i giornali progressisti. Lenzuolate sui quotidiani in cui giornalisti che vanno di fioretto ci dicono di Meloni le tonalità dell’abbigliamento, lo slang romanesco e la postura per la minzione che non si riesce a trattenere. 

La vera pena non è Giorgia Meloni che riesce a fare affermazioni sbagliate sulla crescita dell’Italia in Europa ben al di sotto del Def firmato dal suo governo, non è nemmeno Giorgia Meloni che non parla dell’ennesimo regalo ai balneari prendendo tutti per il naso, vantandosi di avere fatto per prima “la mappature delle coste”: la vera pena è leggere questa mattina i giornali che trovano normale che una leader di partito scarichi la classe dirigente che lei stessa ha scelto senza pagare pegno. La vera pena è sentire Meloni dirci che è “stufa” delle accuse di familismo senza comprendere che dovrebbe rispondere nel merito poiché il suo stato d’animo non è un “fatto politico”, come ama ripetere.  

“In pochi ci avrebbero scommesso, ma tutto fila via liscio, in modo sereno, dopo 40 domande, in un clima a tratti persino noioso”, scrive un quotidiano nobile dell’editoria presunta progressista italiana. Noi invece ci avremmo scommesso che non è ancora maturo il momento in cui i giornali che descrivono Meloni illuminata in un circolo di irresponsabili decidano che “basta così”. Arriverà quel momento – prima di quanto si pensi – e quegli stessi editorialisti si stupiranno di chi come loro non se n’era accorto in tempo. 

Buon venerdì.

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Pistolero e anche bugiardo?

Dunque il deputato di Fratelli d’Italia Emanuele Pozzolo oltre a presentarsi armato a una festa di capodanno dove c’era il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro, oltre a essersi rifiutato di sottoporsi all’alcol test e al tampone per la polvere da sparo oltre ad avere sparato a uno dei presenti alla festa rischiando di ammazzare lui o qualsiasi altro tra i presenti, oltre ad avere chiesto l’immunità parlamentare per evitare che le forze dell’ordine potessero fare luce sull’accaduto, infine ha anche raccontato un’enorme bugia. 

“In merito all’incidente accaduto la notte di Capodanno nella sede della Pro Loco di Rosazza, confermo che il colpo di pistola – da me detenuta regolarmente – che ha ferito uno dei partecipanti alla festa è partito accidentalmente, ma non sono stato io a sparare”, aveva detto il deputato la sera del primo gennaio, quando la notizia ha cominciato a circolare sui media e sulle agenzie di stampa. Un testimone, agente di polizia, presente alla serata ha invece raccontato che «Pozzolo è arrivato a fine serata, stavamo andando via: era allegro, ha tirato fuori la pistola senza che nessuno glielo avesse chiesto e all’improvviso è partito lo sparo». «Ero lì, purtroppo ho visto tutto», racconta il testimone: «è successo sotto i miei occhi, come me l’hanno visto anche altre persone presenti». 

Ieri abbiamo anche saputo che secondo il deputato meloniano il 31enne ferito si sarebbe sparato da solo, recuperando la pistola che era caduta sul pavimento. Nel giro di poche ore è arrivata la smentita del diretto interessato: “Io non ho mai toccato quella pistola”, dice a Repubblica.

Pistolero, amante dell’impunità e bugiardo: se non è un fatto politico questo cosa lo è?

Buon giovedì. 

foto dal profilo twitter del deputato Pozzolo

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