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Il monologo della Fifa (falso) per i mondiali di calcio

Dunque sono cominciati i mondiali in Qatar. I mondiali con i diritti calpestati. Il presidente della Fifa Gianni Infantino ha deciso di aprire con un monologo che, se possibile, crea ancora più imbarazzo dei mondiali stessi.

Infantino apre così: “Oggi provo sentimenti molto forti. Oggi mi sento del Qatar. Oggi mi sento arabo. Oggi mi sento africano. Oggi mi sento gay. Oggi mi sento disabile. Oggi mi sento un lavoratore migrante. Mi sento come loro perché so cosa si prova ad essere discriminati, ad essere vittime di bullismo come straniero in un paese. A scuola ero vittima di bullismo perché avevo i capelli rossi e le lentiggini. Sono stato vittima di bullismo, in più ero italiano, quindi immagina. Non parlavo bene il tedesco. Cosa fai allora Ti rinchiudi nella tua stanza, piangi e poi cerchi di farti degli amici. Cerchi di impegnarti… Non inizi ad accusare o litigare, inizi a impegnarti. Questo è quello che dovremmo fare”.

Paragonare i lavoratori morti perché sfruttati, i gay perseguitati perché illegali e i suoi capelli rossi da bambino è un relativismo infantile degno della peggiore retorica.

Ma continuiamo. “Non è facile leggere tutti i giorni tutte queste critiche a decisioni prese 10 anni fa quando non c’era nessuno di noi. Ora tutti sanno che dobbiamo trarne il meglio e fare il miglior Mondiale di sempre. Doha è pronto, il Qatar è pronto, ovviamente sarà il miglior Mondiale di sempre””, dice Infantino. È vero, Infantino 10 anni fa non era nel posto che occupa ora ma non era nemmeno il ragazzi addetto alla macchinetta del caffè. Era segretario generale dell’organo di governo europeo, l’Uefa. Questa roba che ogni volta è colpa dei governi precedenti è tipica italiana.

Dice Infantino: “Cominciamo dai lavoratori migranti. Ci vengono raccontate molte molte lezioni da alcuni europei, il mondo occidentale. Sono europeo. In realtà lo sono. Penso che per quello che noi europei abbiamo fatto negli ultimi 3.000 anni, in tutto il mondo, dovremmo scusarci per i prossimi 3.000 anni prima di iniziare a dare lezioni morali alle persone”.

Infantino sbaglia il punto: la questione se, e fino a che punto, le società europee contemporanee siano responsabili del passato, e debbano forse anche intraprendere una restituzione, rimane un dibattito attivo. La tecnica del “ma anche” però non attacca: non possiamo cambiare gli errori passati ma possiamo non contribuire alla loro ripetizione.

E poi: “Molte organizzazioni hanno riconosciuto che gli standard sui diritti dei lavoratori qui sono simili a quelli dell’Europa occidentale, gli standard sono simili sulla sicurezza. Vediamo cosa succede nei prossimi 10 anni”. Amnesty, nel suo ultimo aggiornamento prima della Coppa del Mondo, afferma che il lavoro forzato continua “senza sosta” in Qatar, in particolare tra i lavoratori della sicurezza e domestici. La paga viene regolarmente trattenuta dai lavoratori, mentre migliaia continuano a lavorare in modo non sicuro.

E infine, dice Infantino: “Se vuoi criticare, vieni da me. Eccomi, puoi crocifiggermi, sono qui per questo. Non criticare il Qatar, non criticare i giocatori, non criticare nessuno, criticare la Fifa, criticare me perché sono responsabile di tutto. Quante occasioni abbiamo per unire il mondo? Vogliamo continuare a sputare sugli altri perché hanno un aspetto diverso o si sentono diversi? Difendiamo i diritti umani. Lo facciamo a modo nostro”.

Se fare notare il mancato rispetto dei diritti è uno “sputare” allora tutto il lirico monologo era solo finzione. Intanto una novità c’è: il ragazzo con i capelli rossi ha imparato a fare il bullo.

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Hai visto, Giorgia, com’è incredibile?

Dice Giorgia Meloni che trova incredibile il dibattito che si è aperto (in realtà è solo l’osservazione di una manciata di giornalisti, giusto per ridimensionare) sulla sua scelta di portare con sé sua figlia in occasione della sua ultima missione da presidente del Consiglio a Bali. «Mentre torno a casa (…) mi imbatto in un incredibile dibattito sul fatto che sia stato giusto o meno portare mia figlia con me. (…) Ho il diritto di fare la madre come ritengo e ho diritto di fare tutto quello che posso per questa Nazione senza per questo privare Ginevra di una madre», ha scritto Giorgia Meloni su Instagram.

Tenete a mente anche la dichiarazione del suo guardaspalle, il ministro Guido Crosetto che scrive: «Qualcosa lasciatelo fuori dalla becera polemica ideologica. Almeno le cose sacre. Come il rapporto tra genitori e figli».

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui ci sono un manipolo di persone che vorrebbero giudicare le famiglie degli altri secondo i loro assi cartesiani.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui politici pluridivorziati condannano le coppie non conformi al giudizio del loro Dio che loro stessi non rispettano.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui l’amore viene definito “giusto” o “sbagliato” secondo i dogmi di qualcuno che decide qualche coppia sia naturale e quale non lo sia.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui i rapporti tra genitori e figli vengono giudicati da qualche piccolo leader di partito che vorrebbe imporre al Paese l’esempio di sua nonna.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui politici e giornalisti si infilano nel letto dei cittadini (che non sono, badate bene, personaggi pubblici) solo per mietere un po’ di voti o di antipatia per gli avversari.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui il ministro della Difesa decide cosa sia sacro – il rapporto tra madre e figlia – mentre giudica sacrificabile la vita delle persone in mezzo al Mediterraneo.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui un politico come Pillon ha costruito la sua carriera politica (tra l’altro nei partiti della loro maggioranza, sarà un caso) decidendo cosa sia una devianza e cosa non lo sia.

Hanno ragione, Meloni e Crosetto, è davvero incredibile vivere in un Paese in cui i liberali perdonano le avventure di letto di Silvio Berlusconi e poi citofonano o espongono alla berlina il poveretto di turno in qualche periferia per solleticare la pancia dei loro elettori.

Hai visto Giorgia com’è schifosamente incredibile?

Buon giovedì.

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Un governicchio da paesello

Negli ultimi giorni abbiamo assistito a un tilt di comunicazione e di politica che ha apparecchiato una diretta urgente su un rave party come se fosse un’urgenza nazionale. Ne esce un Paese completamente fuori fuoco che inverte le priorità e si accomoda sul delirio generale: giornalisti che si sentono inviati di guerra mentre intervistano ragazzetti storditi dall’alcol e dal fumo, politici con il piglio da prefetto Mori mentre esultano come se avessero eradicato le mafie in Italia, editorialisti che scrivono accigliati sull’antropologia del rave mentre frequentano circoli che sprofondano nella cocaina.

Giorgia Meloni, che non è ancora uscita dalla modalità della campagna elettorale, riunisce il Consiglio dei ministri giusto il tempo per presentarsi di fronte alle telecamere e annunciare una nuova legge ad hoc per evitare accampamenti alcolici. Per farlo si va a toccare il reato di “invasione di terreni o edifici, pubblici o privati” prevedendo la reclusione da 3 a 6 anni. Viva la legalità, esultano in molti. Sarà.

Dalla conferenza stampa sappiamo che l’opposizione all’opposizione e al governo precedente si rinforza con la decisione di reintegrare i medici non vaccinati e annunciando “discontinuità” con i governi precedenti. Su questo scrive bene la fondazione Gimbe: «Il potenziale impatto in termini di sanità pubblica sarebbe modesto – spiega la Fondazione – sia perché la misura viene anticipata di soli due mesi rispetto alla scadenza fissata, sia perché riguarda un numero esiguo di professionisti».

«Ben diverso – rileva il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – l’impatto in termini di percezione pubblica di questa “sanatoria” e delle relazioni con la stragrande maggioranza dei colleghi che si sono vaccinati per tutelare la salute dei pazienti e la propria, anche al fine di garantire la continuità di servizio. Peraltro, al di là di una scelta individuale incompatibile con l’esercizio di una professione sanitaria, si tratta di persone che hanno spesso seminato disinformazione pubblica sui vaccini, elevandosi a “paladini” del popolo no-vax, a volte con evidenti obiettivi di affermazione politica individuale».

Altro? Hanno approvato una norma che sarebbe passata, identica, con il governo Draghi. Dice Giorgia Meloni che le misure sono altamente “simboliche”, confermando in toto la sensazione di uno sventolio propagandistico che non ha nulla a che vedere con i “reali bisogni urgenti” del Paese. Su bollette, crisi energetica, guerra e povertà niente. Matteo Salvini, che per tutta la campagna elettorale ha promesso di risolvere i “problemi reali” al primo Consiglio dei ministri, ieri ha parlato agli italiani del ponte sullo Stretto dei suoi sogni. In compenso l’infornata di sottosegretari e viceministri fotografa perfettamente la spessore del governo. Basta leggere i nomi.

Dategli tempo, si dice. Intanto segnaliamo che la partenza è da governicchio di paesello.

Buon martedì.

 

* In foto, la conferenza stampa della premier Giorgia Meloni al termine del consiglio dei ministri. Assieme a Meloni, i ministri Orazio Schillaci, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e il sottosegretario Alfredo Mantovano. Roma, 31 ottobre 2022 

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Il senso di Crosetto per la stampa

Una giornata esemplare. Ieri Giovanni Tizian e Emiliano Fittipaldi hanno pubblicato un’inchiesta sul nuovo ministro alla Difesa Guido Crosetto. Che le porte girevoli tra produttori d’armi e politica siano un problema in questo Paese lo scriviamo (e lo scrivono in molti) ben prima di Crosetto. Minniti, già ministro degli Interni e deputato, va a Leonardo. Cingolani, da Leonardo al ministero e ritorno. E ora Crosetto, da Aiad (la Federazione aziende italiane per l’aerospazio, la difesa e la sicurezza, ndr) alla Difesa.

Domani racconta che «nel 2021 ha incassato da Leonardo 619 mila euro in consulenze. La somma girata dal nostro colosso degli armamenti al fondatore di Fratelli d’Italia risulta in pratica superiore allo stipendio garantito al presidente della partecipata, che lo stesso anno ha preso 504 mila euro. Leonardo è tra le prima aziende fornitrici del dicastero ora guidato da Crosetto». Poi, secondo Domani, «bisogna aggiungere altri 82 mila euro incassati da Orizzonte sistemi navali, altra azienda controllata da Fincantieri e Leonardo. Più altri 200 mila euro versati all’ex lobbista da spa con soci privati e pubblici, tutte impegnate nel settore difesa».

Il ministro, sentito dai giornalisti, rilascia una spiegazione curiosa. Dice che era a Leonardo «come advisor in quanto presidente dell’Aiad. Per intenderci, io non avevo un ufficio a Leonardo, e non rispondevo a nessuno in Leonardo. Il mio compenso e il tipo di lavoro che svolgevo sono due cose distinte, nate dal fatto che il presidente dell’Aiad è indicato dalle aziende associate. Io sono stato indicato da Leonardo, che mi pagava per quell’incarico».

Con i giornali in edicola Crosetto ieri mattina pubblica un tweet (piuttosto sgrammaticato) in cui dice: «Ho dato mandato allo Studio Legale Mondani perché sono certo che le condanne in sede civile e penale siano l’unico metodo che direttori, editori e giornalisti possano intendere, di fronte alla diffamazione. Il mio ora e’ un’obbligo Istituzionale: quello di difendere il Dicastero».

C’è una fallacia logica evidente: non c’è nessuna offesa “al Dicastero” (altrimenti ci sarebbe l’avvocatura di Stato, senza bisogno di contattare nessun studio legale) ma si parla dell’opportunità di una nomina ministeriale a un presunto lobbista.

Crosetto dà spiegazioni? Niente. Spiega cosa c’è di sbagliato in quell’articolo di Domani? Niente. Allora perché scrive di avere dato mandato a degli avvocati senza preoccuparsi di ristabilire la sua verità? A pensarci bene al di là delle legittime querele a un politico dovrebbe interessare la limpidezza della propria immagine pubblica, ancor di più in un periodo delicato com’è l’insediamento di un nuovo governo. Semplice: minacciare una querela serve a scoraggiare. In questi giorni tutti i giornalisti (e i loro direttori) sanno bene che scrivere una parola sbagliata potrebbe accendere un’azione legale. In più si sposta l’asse dal punto politico che, come scrive il direttore di Domani, è un altro: «La situazione di conflitto di interessi non implica una accusa di comportamenti inappropriati o criminali. È una situazione oggettiva: un ex lobbista dell’industria della difesa, che nel settore guadagnava e potrebbe guadagnare milioni, potrebbe essere visto dalle controparti come non disinteressato nelle decisioni che prenderà».

Buon venerdì.

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Merito

Oggi l’onorevole Cattaneo (Forza Italia) in Parlamento ci ha spiegato cosa sia il merito in un intervento accalorato e duro. Al suo fianco alla Camera c’è Marta Fascina, che ha il merito di essere la compagna del padrone di quel partito. Questo è tutto.

Non riusciranno mai a prendere le distanze dalla loro natura

Se ti mascheri pur di prendere il potere succede, prima o poi, che si sciolga il cerone e si vedano i connotati. Giorgia Meloni alza la voce contro Silvio Berlusconi dopo l’ennesimo audio pubblicato da LaPresse in cui il leader di Forza Italia non fa altro che mettere in fila uno dopo l’altro i frammenti di discorsi che ripete da mesi. Solo che visto nella sua interezza il pensiero dell’ex cavaliere è un fardello troppo pesante da portare di fronte alla comunità internazionale. Giorgia Meloni è arrabbiatissima. C’è da capirla, ha messo in moto un processo di travestimento (aiutata dai sospettabilissimi giornalisti che non resistono di fronte al potere) che si scioglie come neve al sole. Ma la destra italiana è questa, è sempre stata questa, sarà sempre nient’altro che questo.

Chiedere a Forza Italia di prendere le distanze da Berlusconi è un’ipocrisia che in queste ore si ripete con sprezzo del ridicolo. Ciò che pensa (e dice) Berlusconi non è niente di diverso dalle posizioni di molta parte della Lega e di molta parte di Fratelli d’Italia. Le posizioni di Berlusconi sono le stesse del presidente della Camera Lorenzo Fontana, le stesse che si scovano scorrendo i social di dirigenti di Fratelli d’Italia che non hanno ancora ripulito la propria presenza online. La differenza sta solo nel sabotaggio clinico e organizzato nei confronti del satrapo di Arcore mentre tutti gli altri godono di un condono.

Vale lo stesso per la guerra all’aborto. Maurizio Gasparri non è una scheggia impazzita che autonomamente deposita un progetto di legge (come accade ogni volta che viene eletto): tutta la destra italiana ha quelle posizioni, tutta la destra italiana è il punto di riferimento delle associazioni pro vita, tutta la destra italiana sabota la legge 194 nelle regioni in cui riesce a mettere le mani sulle leve della maternità.

Non passeranno troppi giorni prima che qualcuno, dalla Lega o da Fratelli d’Italia, alzi la propaganda contro gli immigrati colpevoli di ogni efferatezza. Anche in quel caso il trucco consisterà nell’isolare quel pensiero come iniziativa personale e Giorgia Meloni si presenterà compita e simpatica per assicurare che le posizioni del governo (sempre che questo governo si faccia davvero) sono diverse e più accomodanti.

La destra che vince prendendo i voti di destra e poi vorrebbe governare con la maschera dei moderati è un’operazione fallimentare su più fronti. Fallirà agli occhi dell’Ue e della comunità internazionale (come già avviene) per la scompostezza delle sue posizioni; fallirà sul piano interno poiché sarà puntellata ogni giorno da un’opposizione che non dovrà fare troppa fatica per sbugiardarla; fallirà con i propri elettori che l’hanno votata perché quelli vogliono, eccome se lo vogliono, che inverta le azioni e le posizioni e quindi rimarranno facilmente delusi; fallirà dentro i partiti perché nella Lega e in Fratelli d’Italia è fin troppo facile presentarsi come “nuovi” perché più spericolati (e quindi più “di destra”) dei segretari che si vogliono rovesciare.

Ancor prima delle consultazioni con il presidente Mattarella è chiaro che il “centrodestra” è destra in purezza, che quello che chiamiamo centro è il vero centrodestra (e infatti soccorrerà questa destra) e che in questi mesi i nostri “grandi” giornalisti hanno stilato liste di putiniani in cui ci finivano Augias, Barbara Spinelli e l’Anpi mentre – sbadati – si sono persi i partiti di governo.

Buon giovedì.

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L’eredità dei “migliori” su Autostrade

Giorgio Meletti sul quotidiano Domani stamattina racconta come la Cassa depositi e prestiti abbia firmato, il 3 maggio scorso, un patto vergognoso che consente al fondo americano Blackstone e al fondo australiano Macquarie (che possiedono il 24,5 per cento ciascuno della holding Hra, che a sua volta ha acquistato l’88,06 per cento di Aspi) di spolpare Autostrade.

Come spiega Meletti «Il punto 6.5.1. dei patti parasociali, intitolato “Policy dividendi”, recita: “Quale regola generale, le Parti si sono impegnate a fare in modo che Hra e le entità rientranti nel Gruppo (quindi Aspi e le sue controllate, ndr) distribuiscano ai rispettivi soci, su base semestrale, la cassa disponibile risultante dal bilancio di esercizio”. In pratica ogni euro di utile diventerà automaticamente un euro di dividendo. Non un solo euro verrà accantonato, e semmai ci fosse una nuova emergenza tipo pandemia saranno di nuovo i contribuenti a versare “ristori” per centinaia di milioni, com’è avvenuto nel 2020 e 2021».

In sostanza la Cassa depositi e prestiti ha speso 4 miliardi per acquisire dai Benetton la quota di controllo di Autostrade (ossia il 51% di Hra) ma non controlla nulla. E, soprattutto, mentre a Genova si celebra il processo per il crollo del ponte Morandi evidenziando come l’avidità dell’azionista di allora abbia pesantemente condizionato la manutenzione, oggi Autostrade si ritrova nella stessa situazione, con due fondi di investimento che il 20 luglio scorso hanno deciso di intascarsi l’intero utile netto del 2021, 682 milioni, che la gestione precedente aveva deciso di destinare alle riserve.

In questa storia scovata da Meletti c’è tutta la discrepanza tra la narrazione dei “migliori” e la realtà. C’è anche un elemento importante per comprendere l’esaltata linea editoriale di alcuni quotidiani, gli stessi che a tutta pagina hanno salutato Draghi esibendo il proprio lutto. In questa storia c’è anche il distacco dalla politica, dall’astensionismo al più generale disinteresse, dei cittadini che assistono all’irrefrenabile arricchimento dei già ricchi, per di più sulla pelle di 43 morti.

Buon mercoledì.

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Una Destra da manuale… Cencelli. Riparte il Bestiario di Governo

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C’è Berlusconi che conta ormai come il due di picche, c’è Meloni con i regali per i maschi e quelli per le femmine e l’ex ministro Romani che avrebbe rubato addirittura al suo partito. Eccoci al Bestiario di governo.

SILVIO NEGA IL CENCELLI
“Non esistono liste della spesa di Forza Italia. Forza Italia mette a disposizione i suoi migliori parlamentari, da impiegare al meglio nel quadro di un assetto complessivo della squadra di governo. Posso dire solo due cose, in astratto, sul piano metodologico. La prima è che, a differenza di quanto si legge, non esistono, non possono esistere, fra partiti alleati, veti o pregiudiziali verso qualcuno. Se questo accadesse ma non è il caso nostro – non lo potremmo mai accettare. La seconda è che non procederemo con il manuale Cencelli in uso nella Prima Repubblica per spartire i posti di governo secondo i pesi delle singole forze politiche, ma utilizzeremo come primo criterio di scelta l’efficienza, la concretezza, la capacità di lavoro dimostrata nel tempo da ciascun candidato”. Lo afferma il leader di Fi Silvio Berlusconi, in un’intervista a Il Giornale. Si è dimenticato però di confessare che per 3 giorni la lista del nuovo governo si è incagliata per Licia Ronzulli. Ma quello non è il manuale Cencelli, quella è l’agenda Berlusconi.

INTANTO PROSEGUE IL CENCELLI
L’idea di Fratelli d’Italia è quella di arrivare quanto prima alla scelta dei presidenti di Senato e Camera (La Russa e Molinari dati quasi per fatti), poi a cascata tutto il resto. Meloni valuta lo schema 5+5: ovvero cinque ministeri alla Lega e altrettanti a Fi (ma con il Carroccio, più forte elettoralmente degli azzurri, a prendersi un ramo del Parlamento). A proposito di merito e competenze.

GIORGIA NO GENDER
Giorgia Meloni ha regalato una cravatta ai parlamentari neo-eletti di FdI. Ha regalato invece un foulard alle parlamentari neo-elette. Così riescono a riconoscere facilmente i maschi dalle femmine e non incacano nel gender.

LA DEMOCRAZIA SECONDO BONOMI
Bonomi, presidente di Confindustria: “Dobbiamo dire che le promesse fatte in campagna elettorale non possono essere in questo momento soddisfatte. È legittimo che i partiti cerchino di rispondere alle promesse elettori, ma non è il tempo per fare flat tax o misure di prepensionamento come quota 100”. Insomma, dice Bonomi che bisogna applicare il programma di Confindustria e al diavolo i programmi elettorali. Avete notato? Il condono fiscale invece non l’ha citato, quello si può fare.

TRATTATE BENE BERLUSCONI
Quando si è chiusa la porta della villa di Arcore e la Meloni è andata via, sabato pomeriggio, Berlusconi a stento ha trattenuto la rabbia. Poi ha sibilato un aggettivo che spiega più di tante altre parole com’è andato veramente l’incontro: “Arrogante, è stata arrogante”. In effetti con le donne a lungo è stato abituato a offrire soldi, mica a prendere ordini.

A PROPOSITO DI MERITO
Presidenza del Senato, derby interno al centrodestra tra Calderoli e La Russa. Sembra tramontare l’ipotesi Casini. Solo non si vedono i due liocorni.

SALUTI ROMANI
Un somma pari a circa 344mila euro è stata sequestrata dal nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di Finanza di Milano a Paolo Romani, ex senatore di Forza Italia. L’ex ministro dello Sviluppo Economico nell’ultimo governo di Berlusconi è indagato dalla procura di Monza per peculato. Secondo l’accusa degli inquirenti Romani, quando era a capo del Gruppo Parlamentare di Forza Italia, ha sottratto illecitamente dai conti del partito guidato da Silvio Berlusconi la cifra equivalente a quella sequestrata con la presunta complicità dell’amico imprenditore Domenico Pedico, pure lui indagato. Dalle nostre parti si dice “amici amici e poi ti rubano la bici”.

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Disastro annunciato per il Pd. Spinto alla disfatta dal kamikaze Letta

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Una disfatta. Non ci sono alibi, non c’è appello: Enrico Letta ha confezionato una batosta storica per il Pd e ne deve rendere conto sia al Paese che ai suoi iscritti. Non è solo una questione di congresso di partito o di resa dei conti, qui siamo di fronte a una sconfitta che ha radici profonde, una sconfitta che certifica una campagna elettorale sbagliata su tutti i fronti.

Letta ha confezionato una batosta storica per il Pd e ne deve rendere conto sia al Paese che ai suoi iscritti

Si potrebbe ad esempio osservare come abbia fallito Carlo Cottarelli, sconfitto nella sua Cremona dalla pittoresca e pitonessa Daniela Santanchè: Cottarelli era, parole di Letta, “la punta di diamante” della coalizione. Non rendersi conto che un economista tiepido (e molto poco di sinistra) non avrebbe avuto nessuna connessione elettorale con gli elettori significa essere completamente estranei alle logiche sociali che si muovono nel Paese.

Un altro elemento significativo è la debacle di Luigi Di Maio e del suo (minuscolo) partito personale: in tutta la campagna elettorale anche l’elettore democratico più convinto non ha saputo spiegarsi che senso avesse imbarcarsi l’ex ministro degli Esteri con tutta la sua truppa. Dalle parti del Nazareno ripetevano di essere tranquilli, ci spiegavano che la candidatura di Di Maio fosse un “premio” per il suo senso di responsabilità nei confronti del governo Draghi e che il Paese avrebbe capito. Si sbagliavano.

Non sentire il Paese, questo continua a essere il grande problema di un partito che si porta il fardello della sua nomenclatura che nessuno vuole più vedere. Mentre Cottarelli perde contro Santanchè a Bologna Pierferdinando Casini vince per un soffio contro Vittorio Sgarbi: cosa altro serve? I punti politici da affrontare non sono pochi.

Il Pd ha parlato moltissimo in campagna elettorale di Resistenza (dipingendo Giorgia Meloni come concreto pericolo fascista) ma ha, nei fatti, scelto la desistenza nel momento in cui ha scelto di rinunciare all’alleanza con il Movimento 5 Stelle che avrebbe reso queste elezioni veramente competitive. Chiamare gli italiani al stingiamoci a coorte mentre non riesce a tenersi stretta un’alleanza costruita in mesi di lavoro è un bluff con pochi precedenti. Qualcuno potrebbe aver pensato che tra Conte e Renzi-Calenda il Partito democratico avesse deciso di accarezzare il suo lato liberale: fallito anche questo tentativo.

Il Pd alla fine si è ritrovato solo in coalizione con +Europa e Sinistra Italiana/Verdi con cui avrebbe veramente poco da spartire in caso di governo (l’ha scioccamente ribadito Letta in campagna elettorale) e così il blocco di liberazione nazionale alla fine era solo un semolino tiepido servito per cena.

Poi c’è l’agenda Draghi, ripetuta ossessivamente in campagna elettorale, che è stata pesata da queste elezioni: il premier più coccolato dalla stampa e dalla presunta intellighenzia riformista è una bolla che esiste solo negli editoriali e nei commenti di chi non ha a che fare con lavoro, bollette e via areale. Draghi nel Paese non esiste al di là delle prime pagine di certi giornali.

E chissà se Letta non rifletterà sul fatto che quello che voleva essere un partito con vocazione maggioritaria ha dovuto attaccarsi alle braghe di un capo di governo tecnico per guadagnare un po’ di credibilità. Il risultato alla fine è ai livelli di quello dell’odiato Renzi. Siamo alle solite, dalle parti del Pd la superiorità è solo sfoggiata e presunta. Gli elettori sono tutta un’altra storia.

Leggi anche: Lega e Pd i grandi sconfitti. Vita facile per la Meloni

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Braccio teso e poco coraggio

Al funerale di Alberto Stabilini, noto esponente dell’estrema destra milanese e in passato membro del Fronte della gioventù, c’era anche l’assessore alla Sicurezza di regione Lombardia Romano La Russa, fratello meno celebre di Ignazio. Nel momento in cui è stato invocato il nome del defunto tutti hanno risposto «presente!» con il solito braccio teso. Non si è sottratto – figurarsi – l’assessore La Russa, soprattutto in un momento come questo in cui si intravede lo sdoganamento di una certa cultura.

L’opposizione in Regione ha chiesto al presidente Fontana di intervenire e censurare. Figurarsi: Attilio Fontana è appeso a un filo e i rapporti di forza si sono invertiti con la Lega che ormai è una succursale dei meloniani.

Ma l’elemento significativo è la risposta del partito di Fratelli d’Italia che scrive: «Emerge con chiarezza – si legge nella nota diffusa alla stampa – che il movimento del braccio di Romano non ha nulla a che fare col saluto fascista, ma al contrario testimonia il suo invito ai presenti ad astenersi dal saluto. Basta verificare il movimento del suo braccio, peraltro assente durante le chiamate consecutive che comunque la Cassazione ha sancito non essere reato se effettuato in un funerale». Quindi il partito cerca di giustificare La Russa dicendo che «era stato chiesto in vita dal defunto Alberto Stabilini», di cui Romano La Russa era cognato e amico da sempre, l’estremo saluto immortalato in un video che sta diventando virale sul web. Siamo, come dice Mario Lavia, al Var del fascismo.

Riccardo De Corato, candidato per Fratelli d’Italia, ha il coraggio di dire: «Chi vuol confondere il rito del presente con il saluto fascista è ignorante, nel senso che ignora una tradizione militare che vige da secoli». Eccola, la loro natura. Braccio teso e poco, pochissimo, coraggio.

Buon giovedì.

 

 

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