È arrivata la conferma ufficiale da Caracas che Alberto Trentini è detenuto nelle carceri venezuelane. La famiglia del quarantacinquenne cooperante italiano non aveva sue notizie dallo scorso 15 novembre e la madre Armanda si dice convinta che il figlio sia “ostaggio” del Venezuela per essere usato “come pedina”.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani dice che l’arresto di Trentini “non è una rappresaglia”. Di sicuro è un fatto che nelle stesse ore in cui la famiglia Trentini diffondeva un appello, chiedendo al governo italiano di intervenire, il Venezuela annunciava restrizioni ai diplomatici di Italia, Francia e Olanda, ridotti a tre e sottoposti a nuove autorizzazioni, in conseguenza della risposta “ostile” dei rispettivi governi rispetto all’insediamento del presidente Nicolas Maduro, rieletto a luglio per un terzo mandato. Per molti osservatori è la risposta all’atteggiamento del governo italiano a favore dell’ex candidato dell’estrema destra Edmundo González Urrutia, riconosciuto da Giorgia Meloni come “presidente eletto” in una dichiarazione congiunta con Javier Milei durante il loro incontro bilaterale a Buenos Aires del novembre scorso.
Di Trentini si parla poco, talvolta anche con gravi inesattezze. La sua detenzione evidentemente è poco golosa per la stampa e per la politica. “Non è ora di fare polemiche”, ammonisce Tajani, ma senza polemiche non avremmo saputo nemmeno dove fosse. Noi siamo sicuri che il governo italiano – che ieri si è riunito a Palazzo Chigi per fare il punto della situazione -non sia condizionato nel suo agire dalla popolarità dei suoi detenuti all’estero o dalla convenienza politica. Siamo sicuri che la solidità delle istituzioni non si lasci influenzare dai differenti sforzi della stampa su un caso piuttosto che su un altro.
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