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Difesa sì, difesi mai

L’Italia si arma in silenzio, ma con disciplina contabile. Secondo l’Osservatorio Mil€x, la spesa militare “pura” salirà nel 2026 a 33,9 miliardi di euro: un miliardo in più in un solo anno. Non è un’urgenza, è una scelta politica. Il governo che taglia fondi a ospedali e scuole trova sempre un bilione in più per le armi.

Nel 2017 il bilancio della Difesa era di 19,7 miliardi. Oggi, sotto la direzione di Guido Crosetto, è cresciuto del 63%. Nel solo 2026 oltre 13 miliardi andranno in nuovi sistemi d’arma: droni, fregate, F-35, missili, progetti di “innovazione” che somigliano a un gigantesco sussidio alle industrie del settore. Il personale operativo costerà 12,3 miliardi, le pensioni 4,5, le missioni all’estero 1,18.

E non è finita. Mil€x ricorda che nel Documento di programmazione pluriennale sono già pronti altri 23 miliardi da attivare appena Bruxelles chiuderà la procedura per deficit eccessivo. Tradotto: austerità per i cittadini, ma nessun limite per i generali. La “difesa europea” diventa il paravento perfetto di un riarmo senza dibattito.

Il governo parla di sobrietà, ma la sobrietà vale solo per gli altri. Il rapporto spesa militare/Pil resta all’1,46%, ma solo perché le spese indirette – basi Nato, cybersecurity, fondi Ue – vengono lasciate fuori dal conteggio. Il trucco è antico: basta cambiare etichetta per far sparire le cifre.

Così il bilancio dello Stato diventa un arsenale a cielo aperto, lucido e in ordine. Le guerre si programmano come i piani di investimento, e l’unica certezza è che in Italia l’efficienza pubblica funziona solo quando si tratta di comprare armi. Tutto il resto può attendere.

Buon mercoledì.  

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