Aspettiamo da tempo un governo che conosca i modi e le parole per potere affrontare il tema della rete e tutti i suoi derivati. Da anni abbiamo intelligenze (e attività) che chiedono che l’Italia esca dalla preistoria tecnologica e di approccio per allinearsi agli Stati che finalmente hanno fatto pace con i luoghi comuni su internet e riescono ad utilizzarne i vantaggi senza sclerotizzarsi sulle paure. Il convegno sulla “violenza in rete” organizzato dalla Presidenza della Camera dei Deputati avrebbe potuto essere una buona occasione per cominciare a fare le cose seriamente: non è andata così.
Lo spiega bene Massimo Mantellini qui e Vittorio Zambardino:
Quindi me ne vado. E mentre scendo le scale della Camera ripenso che ognuno di noi affonda le sue convinzioni anche nella vita, nella conoscenza di ciò che ha visto o vissuto. Ripenso a un ragazzino di dodici anni, in una scuola in provincia di Napoli, pestato ogni giorno. Gli dicevano ” ricchione”. Lo pestarono fino a quando lui imparò a difendersi. Parlarne ai genitori o ai professori sarebbe stato solo moltiplicare la condanna e le botte. Come spesso oggi. Però era la prima metà degli anni ’60, più di 50 anni fa. Non c’era la Rete. Ma c’era già l’ odio. C’era il disprezzo, c’erano gli sputi, c’erano l’avvilimento e il ricatto. Andava in linea ogni giorno all’uscita. Ora vorrebbero farmi credere che c’entra la Rete, mentre io ricordo bene che c’entra quell’ abisso che è il cuore degli umani. (qui)