Quando il caldo uccide e l’Italia brucia, Giorgia Meloni tace. Non una parola sulle temperature estreme, né un cenno alla fragilità dei lavoratori esposti o all’impatto economico stimato in miliardi di euro. Ma il silenzio non è mai neutrale: è un atto di governo. Stretta nella morsa dei negazionisti climatici che infestano la sua maggioranza, Meloni sceglie l’inerzia. Se parlasse, dovrebbe riconoscere che la crisi climatica esiste, che servono fondi, strategie, responsabilità. Ma questo significherebbe smentire la linea ideologica che, nel centrodestra, ha trasformato l’emergenza ambientale in una parodia da bar.
E mentre il Paese boccheggia, il ministero della Cultura cola a picco sotto i colpi di Alessandro Giuli. Anche lì, la premier osserva in silenzio. Perché non può permettersi di perdere nemmeno un soldatino: la “panchina” meloniana è troppo corta per rimpiazzare i fedelissimi. Per di più in un ministero che ha già subito la rovinosa caduta di Sangiuliano. Così il disastro diventa sopportabile, purché non si scollino i bulloni della coalizione.
Lo stesso schema si ripete sullo ius scholae. Forza Italia e Lega si azzuffano pubblicamente, Tajani prova a smarcarsi con aperture che sembrano appelli all’elettorato moderato, Salvini risponde col vecchio armamentario securitario. E Meloni? Imperturbabile. Lascia che si scannino. Più si erodono tra loro, più lei si rafforza. È l’arbitro che non arbitra, ma incassa punti.
Anche sul piano internazionale, la sua presenza è costruita su un copione: fitta agenda diplomatica, dichiarazioni atlantiste, incontri cerimoniali. Ma alla sostanza delle crisi – Ucraina, Gaza, Iran, Nato – l’Italia resta un comprimario che applaude e firma. L’“influenza” che ci raccontano i comunicati si riduce spesso a una foto accanto ai grandi.
La verità è che Giorgia Meloni ha trasformato il vuoto in potere. Governa non dicendo, non scegliendo, non schierandosi. Una regia dell’inazione, dove ogni parola non detta pesa più di mille conferenze stampa. Ma questa strategia ha un prezzo. Lo pagano i cittadini che muoiono di caldo, i settori culturali abbandonati, e una democrazia che si abitua a un premierato senza voce ma con troppo controllo.
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