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Il popolo dei traditi da Trump, fra disillusione e pentimento – Lettera43

Chi pensava di aver votato un presidente isolazionista ora lo osserva lanciare nuovi interventi militari. Chi lo immaginava come un garante della libertà d’espressione adesso lo trova impegnato a riscrivere la toponomastica mondiale con editto imperiale. Per non parlare di Musk che smantella lo stato sociale per favorire solo i miliardari. La base elettorale repubblicana, vip compresi, sta già perdendo la fiducia.

Il popolo dei traditi da Trump, fra disillusione e pentimento

Li avevamo visti tutti: il popolo degli orfani di Donald Trump, quelli che al grido di «Drain the swamp» («Bonifica la palude», contro lobby e corruzione) credevano di aver ingaggiato un gladiatore, salvo poi scoprire che l’arena era la Casa Bianca e i leoni erano i suoi stessi accoliti. Ora alcuni iniziano a parlare, a raccontare il dietro le quinte di una presidenza che, con ogni nuova mossa, tradisce le illusioni di chi l’ha votata. The Atlantic ha raccolto le storie di alcuni di loro, un campionario di disillusione che attraversa l’America trumpiana.

Il popolo dei traditi da Trump, fra disillusione e pentimento
Trump e la copertina che gli ha dedicato il Time (foto Getty).

La retorica trumpiana non regge più alla prova della realtà

C’è per esempio Sean Strickland, il campione di Ultimate Fighting Championship (arti marziali miste) che un anno fa si era fatto fotografare con Trump dopo una vittoria sul ring e che oggi, di fronte al piano del presidente per prendere il controllo di Gaza, scrive su X: «Se continua con queste stronzate, inizio a sventolare la bandiera palestinese. Le città americane sono discariche e lui vuole spendere miliardi su questo disastro? Abbiamo fatto un errore?!».

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Sean Strickland, il campione di Ultimate Fighting Championship (foto Getty).

Un post che ha ottenuto 159 mila like e 13,2 milioni di visualizzazioni. Strickland non è solo un atleta deluso, ma un simbolo di una base elettorale che si sta spezzando, mostrando quanto la retorica trumpiana non regga più alla prova della realtà.

Non è il solo. Curt Mills, direttore esecutivo della rivista The American Conservative, lodava The Donald per la sua presunta volontà di un’America meno interventista, ma dopo l’annuncio dell’operazione “Gaz-a-Lago” ha scritto che Trump sta mettendo a rischio la sua intera eredità politica.

L’incoerenza dell’America First che si traduce in nuove guerre

Lo stesso dubbio è stato sollevato dall’avvocato, giornalista e blogger Glenn Greenwald, un tempo pronto a giurare che la destra populista fosse l’unica vera opposizione all’imperialismo americano, e ora in difficoltà di fronte all’incoerenza dell’America First che si traduce in nuove guerre. E non sono solo giornalisti e analisti politici a esprimere perplessità: in molti forum di discussione online e trasmissioni radiofoniche conservatrici la frustrazione sta montando, con una crescente fetta di elettori che si chiede se sia stato un errore concedergli un secondo mandato.

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L’avvocato, giornalista e blogger Glenn Greenwald (foto Getty).

I licenziamenti di massa di Musk iniziano a preoccupare

L’inquietudine serpeggia anche tra i sostenitori più accesi del trumpismo. Sohrab Ahmari, giornalista vicino alle posizioni conservatrici, ha lanciato un attacco frontale contro Elon Musk, alleato di Trump: «Sta usando la rabbia popolare contro il wokismo per smantellare lo stato sociale e favorire solo i miliardari». Eppure Trump non si è separato da Musk, anzi lo ha rafforzato, rendendolo una figura centrale nella riorganizzazione federale. Il controllo che Musk ha esercitato sulla struttura amministrativa ha portato a licenziamenti di massa e disordini interni nelle agenzie governative, e questo sta iniziando a preoccupare persino alcuni repubblicani di spicco.

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Elon Musk con la motosega che gli ha regalato il presidente argentino Javier Milei (foto Getty).

L’Associated Press bandita dalla Casa Bianca

Hollywood non è rimasta immune. L’attore Zachary Levi, una delle poche celebrità che aveva apertamente appoggiato Trump, è andato su Fox a difendere «le persone che lavorano per il governo e stanno venendo eliminate senza motivo». Quando l’amministrazione ha bandito l’Associated Press dalla Casa Bianca per essersi rifiutata di chiamare il Golfo del Messico «Golfo d’America», Bridget Phetasy, giornalista di The Spectator, ha scritto su X: «Io ho votato contro il pensiero imposto. Non puoi rinominare un oceano e pretendere che tutti lo accettino. No, grazie». Le reazioni nel mondo culturale e mediatico conservatore stanno moltiplicandosi, e la sensazione di essere stati ingannati inizia a diventare un sentimento diffuso tra molte fasce dell’elettorato.

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Trump vuole ribattezzare il Golfo del Messico “Golfo d’America” (foto Getty).

Alla faccia del difensore dei lavoratori…

L’illusione si sgretola. Trump non è più un candidato su cui ognuno può proiettare i propri sogni. È il presidente e ogni decisione lascia un segno. Chi si era illuso che fosse un difensore dei lavoratori ha visto il suo governo smantellare la National Labor Relations Board, l’agenzia governativa indipendente che si occupa(va) di far rispettare il diritto del lavoro in relazione a contrattazione collettiva e concorrenza sleale. Chi lo voleva isolazionista ora lo osserva lanciare nuovi interventi militari. Chi lo immaginava come un garante della libertà d’espressione ora lo trova impegnato a riscrivere la toponomastica mondiale con editto imperiale. Ma oltre alle singole decisioni, ciò che sta emergendo è un profondo senso di tradimento tra coloro che avevano visto in lui una speranza di cambiamento radicale.

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Una felpa marchiata Maga, Make America great again (foto Getty).

Il potere a un uomo che non ha mai avuto ideali

Nel 2024 molti hanno votato Trump più per rigetto dell’amministrazione Biden che per reale convinzione. Ora stanno scoprendo di aver consegnato il potere a un uomo che non ha mai avuto ideali, ma solo istinti di sopravvivenza e un talento innato per cavalcare le ondate emotive del suo elettorato (la domanda implicita però è: ma non si erano accorti di tutto questo durante il suo primo mandato dal 2016 al 2020?). Il problema non è più se tradirà le promesse: è capire chi sarà il prossimo a sentirsi tradito. E il numero dei pentiti cresce ogni giorno. Con l’avvicinarsi delle elezioni di midterm del 2026, la sua coalizione inizia a mostrare crepe evidenti, e il malcontento rischia di diventare un boomerang politico devastante per un presidente che ha sempre puntato tutto sulla fedeltà cieca dei suoi seguaci.

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Donald Trump (foto Getty).

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