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La crociata del Ppe contro le Ong: aperta un’indagine sui fondi

L’Unione europea ha trovato un nuovo capro espiatorio. Non sono le multinazionali che influenzano le politiche economiche a suon di finanziamenti, né i gruppi di pressione dell’industria fossile che rallentano la transizione ecologica. No, il problema sono le organizzazioni non governative. Quelle che operano nel Mediterraneo per salvare vite umane, quelle che denunciano gli abusi contro le persone migranti, quelle che insistono affinché l’Unione mantenga almeno una parvenza di coerenza con i principi che proclama.

È il Partito Popolare Europeo a guidare l’ennesima crociata. Il gruppo conservatore ha spinto per un’indagine parlamentare sui finanziamenti della Commissione alle ONG, insinuando che queste ricevano fondi pubblici per fare lobbying in favore dell’agenda verde e dei diritti umani. Un’accusa che sarebbe perfino ridicola, se non fosse parte di un disegno più ampio: criminalizzare la società civile, delegittimare chi porta avanti battaglie scomode e ridurre al silenzio ogni voce dissidente.

Un’Unione che teme la società civile

L’indagine, che inizialmente riguardava il programma LIFE e le ONG ambientaliste, si è rapidamente trasformata in una caccia alle streghe contro 28 organizzazioni, tra cui l’International Rescue Committee e gruppi che promuovono l’inclusione delle persone migranti LGBTQI+. A essere messe sotto esame sono anche ONG come Amici della Terra Europa (700.000 euro di fondi UE), il WWF (625.000 euro), BirdLife Europa (400.000 euro), e altre che operano nel campo dell’ambientalismo, dell’inclusione sociale e della protezione dei diritti fondamentali.

I fondi sotto accusa riguardano progetti specifici: la protezione degli ecosistemi marini (Mari a rischio 2023, 577.500 euro), la lotta ai crimini d’odio (Osservatorio europeo dell’odio online, 1,2 milioni di euro), la formazione giudiziaria per rafforzare la tutela dei diritti (509.400 euro) e il supporto alle vittime di sfruttamento (756.100 euro). La Commissione ribadisce che questi finanziamenti servono a progetti concreti e che le ONG non ricevono fondi per attività di lobbying. Ma il sospetto è l’arma migliore per screditare il dissenso.

Lobby sì, ONG no: il doppio standard del PPE

Non è un caso che, a seguito delle pressioni del PPE, siano stati inseriti nell’indagine anche i finanziamenti concessi a Shell, Volkswagen e BusinessEurope, su richiesta dei gruppi di sinistra. Una mossa che smaschera l’ipocrisia dell’accusa: se il problema è il lobbying, allora bisogna guardare anche alle multinazionali che influenzano le politiche ambientali ed economiche dell’Unione. Ma questo, per il PPE, non è altrettanto urgente.

Il nodo di fondo è politico. Il PPE ha bisogno di mostrarsi più intransigente su immigrazione e ambientalismo per rincorrere i consensi dell’estrema destra. I gruppi più conservatori spingono per ridurre il peso delle ONG nella sfera pubblica, accusandole di essere un ostacolo alla sovranità nazionale e alla ‘difesa dei confini’. La stessa narrazione che viene usata per attaccare le ONG che operano nel Mediterraneo e salvano vite umane. Un disegno chiaro: meno ONG, meno controllo sociale, meno resistenza alle derive autoritarie.

A pagarne il prezzo saranno le ONG, ma soprattutto i cittadini europei, che vedranno ridursi gli spazi di partecipazione e controllo democratico. Il messaggio è chiaro: in questa Unione europea, chi difende i diritti e la giustizia sociale è un problema da risolvere. Chi invece difende i privilegi dei potenti, può dormire sonni tranquilli.

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