Giorni fa, la notizia del ragazzo migrante trovato annegato con la pagella di ottimi voti cucita addosso, mi ha lasciata basita. Nemmeno a farlo apposta, ho incontrato su altri profili social, che ringrazio infinitamente, l’iniziativa #staffettaumanitaria, creata da @francyna_ e @lellettrici_books . Uno dei libri da loro proposti, per questi approfondimenti, è Carnaio di Giulio Cavalli, che io avevo già a casa. Non mi è rimasto che iniziarlo.
Provo a non fare spoiler dandovi qualche tratto della storia, per poi concentrarmi sulle riflessioni che mi ha suscitato. Un paesino italiano, DF (appositamente senza nome, bandiera o estrazione) viene colto all’improvviso dall’arrivo, sulle proprie coste, di cadaveri. I cadaveri, prima uno, poi quattro, poi trecento, e poi ancora e ancora, sono fin da subito definiti come “non di qui, non dei nostri“. Il paese viene stravolto, scioccato, ma inizia a fare di necessità virtù, in una spirale di lucro e disumanità che travolge il lettore, fino alla sua conclusione inevitabile.
Il primo “trauma” che fa scattare questo romanzo, è quando si fa il salto mentale dai morti ai vivi. All’inizio della narrazione i cadaveri che arrivano sulle coste, nella testa del lettore, sono solo cadaveri. C’è quasi il mistero del capire perché tutti a DF, tutti insieme e tutti uguali. Man mano che le reazioni dei cittadini degenerano, guidati da un sindaco (che non sarebbe manco il sindaco) che definirlo populista è fargli un complimento, scatta quello scarto mentale che ti mostra quelli (così li chiamano gli abitanti di DF) non più come morti ma come vivi. La loro spersonalizzazione, la ricerca del guadagno, la chiusura immediata e la divisione tra noi e loro, è talmente forte da essere spiazzante. La cosa che lascia interdetti è che a sentire i cittadini quasi gli si da ragione. Qui secondo me si annida la grandezza di questo romanzo: quando il gruppo si fa mandria, e si resta senza una coscienza personale che ci faccia distinguere ciò che è giusto da ciò che è fottutamente sbagliato, l’umanità, che dovrebbe essere un tratto distintivo della nostra specie, si perde inesorabilmente a discapito dei più deboli.
Un libro che lascia con l’amaro in bocca, quel brutto presentimento di non fare abbastanza, di non essere informati il giusto. Intanto inizio da qui, sperando di accendere la stessa scintilla in voi: continuare a leggere, a parlarne, a discutere. Io la mia coscienza non me la faccio portare via, e nemmeno il mio pensiero.