In Italia l’automobile, simbolo per eccellenza della libertà di movimento, diventa una gabbia per i più poveri. Il paradosso emerge cristallino dall’ultimo rapporto Audimob sulla mobilità degli italiani: chi guadagna meno di 15mila euro all’anno è costretto a utilizzare l’auto nel 72% dei casi, mentre chi ne guadagna più di 25mila si ferma al 56,4%. È il rovesciamento della narrazione che per decenni ha accompagnato il trasporto pubblico come “mezzo dei poveri”. Oggi, in un’Italia sempre più diseguale, la vera povertà si misura anche nell’impossibilità di scegliere come muoversi. Le famiglie che abitano nelle aree periferiche e interne del Paese sono condannate all’auto privata, in un circolo vizioso che le impoverisce ulteriormente. La mobilità sostenibile è diventata un lusso per ricchi dei centri città.
È la fotografia di un’Italia a due velocità, dove il 29,1% degli intervistati vorrebbe utilizzare i mezzi pubblici ma non può farlo semplicemente perché non esistono. Una discriminazione territoriale che si trasforma in discriminazione sociale, mentre le nostre città continuano a soffocare sotto il peso di un tasso di motorizzazione tra i più alti d’Europa: 69,4 auto ogni cento abitanti. Il paradosso si fa ancora più amaro guardando al futuro: il calo demografico porterà a una contrazione dell’utenza del trasporto pubblico del 28% entro il 2044, un ulteriore taglio renderà ancora più difficile liberarsi dalla dipendenza dall’auto. A risolvere le disuguaglianze e a promuovere un servizio pubblico capillare e decente però c’è un ministro che non riesce nemmeno a fare arrivare i treni in orario. Uno che si preoccupa di sedare le legittime proteste ma è incurante dei legittimi disservizi.
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