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La vita da pendolare comporta tanto sonno e poche gioie. Una di queste è la lettura: in treno, in autobus, alla fermata, in stazione. Ogni settimana Giulia, redattrice culturale di Atlas – il blog, racconta le letture che la accompagnano, dal lunedì al venerdì, su un treno qualunque della linea del Brennero, andata e ritorno.
Quando ho intervistato Pippo Civati, a dicembre, gli ho chiesto quali, secondo lui, fossero i libri che meglio avevano raccontato gli italiani del 2018. Mi aveva consigliato Carnaio, e, con un mostruoso ritardo, ho deciso di verificare se Pippo avesse ragione e di procurarmi il romanzo di Giulio Cavalli, pubblicato da Fandango, e che, tra l’altro, è tra i cinque finalisti dell’edizione di quest’anno del Premio Campiello. Potrei dire di averlo affrontato un po’ “a scatola chiusa”, informandomi molto poco sulla trama e sottovalutando le implicazioni del titolo. Pensavo di accingermi ad affrontare un romanzo sui migranti, un racconto sulla disperazione galleggiante cui ogni giorno, da qualche anno a questa parte, rifiutiamo di riconoscere la dignità dell’umano esistere. Ma non è stato proprio così. Come la disperazione di cui sopra, i migranti galleggiano, aleggiano come una spada di Damocle su tutta la narrazione messa in scena da Cavalli. La tematica, tuttavia, non entra mai prepotente e imperiosa nel racconto, ed è questo a renderlo ancora più efficace. Il luogo dei fatti è DF, paesino di pescatori che inizia a rinvenire dei cadaveri di giovani africani, tutti della stessa altezza e dello stesso peso. Inizialmente se ne trova uno, poi quattro, poi un centinaio e a un certo punto la marea di carne si abbatte su DF, come una Grande Onda di Kanagawa, ma composta di cadaveri. Continua così, ciclicamente. E allora gli abitanti di DF si ingegnano e riutilizzano tutto ciò che gli arriva come meglio possono, ma, nel farlo, diventano loro stessi putridume, e forse lo erano già prima. Oltre al metaforico marciume di DF, Cavalli ha astutamente e strategicamente inserito tutti i termini che, da 14 mesi a questa parte, rendono ancor più putrida la comunicazione politica italiana e la retorica sdoganata da chi dovrebbe occuparsi della nostra sicurezza. Sono cose che mi capita di sentire anche in treno, ogni mattina e ogni sera, quando vado e torno dal lavoro, e, nelle ultime settimane, ho faticato a distinguere la realtà dalla finzione letteraria. Mi sono sentita disarmata. E disarmante non è solo il contenuto, ma anche lo stile di Cavalli: la sua scrittura e il suo immaginario incontrano la prosa ininterrotta di Cecità di Josè Saramago (sempre sia lodato) e l’assurda iconografia de L’Angelo Sterminatore di Luis Buñuel. Ovviamente ho adorato Carnaio, e lo consiglio ai forti di stomaco, a chi vuole vedere fino a che punto può arrivare l’umanità incattivita e aizzata e a chi non si spaventa per ciò che non ha spiegazione. Perchè, nel nostro piccolo mondo antico abbruttito, ogni cosa nasce dal niente e nel niente muore, ma è nello spazio tra quei due nulla che accade il tutto.