In questi giorni sto giullarando sulle mafie e sui riti e conviti mafiosi sul palcoscenico del Teatro della Cooperativa di Milano. Insomma, torno a fare ciò che negli ultimi anni ho amato di più, questa volta con la leggerezza del romanzo ormai chiuso e di una lontananza dalla politica e dalle sterili polemiche che girano intorno all’antimafia. Libero. Guardo negli occhi il pubblico, discutiamo dopo lo spettacolo e poi mi interrogo in auto mentre Milano è già andata dormire e noi non ancora. C’è una speranza incolta in questo paese che mi commuove e allo stesso tempo mi terrorizza: rimango immobile di fronte all’entusiasmo di molti che di questi tempi si sentono davvero partecipi e responsabili di un cambiamento culturale e si chiedono (e alcuni mi chiedono) dove sia la regia, come accedere al pannello dei comandi. Sono cambiate molte cose dai primi anni in cui si andava in scena con Do Ut Des o si denunciava con A 100 PASSI DAL DUOMO, è caduto quell’isolamento ostile che ci relegava tra gli allarmisti per professione o i visionari: ormai la stratificazione mafiosa nei più diversi settori al nord come al centro e al sud è una consapevolezza diffusa. Io sono molto fortunato poiché ho il palco e la scrittura per provare a distillare questa voglia ma, mi chiedo, dove sta la distilleria nella politica oggi? Dove convergere?
Ecco, mi sono svegliato con una domanda così. Con un umore così.