Il 15 maggio, a Milano, sarà inaugurato il circolo “Giacomo Matteotti”. Non è un evento marginale, né una semplice iniziativa di militanza. A fondarlo sono alcune delle figure più visibili e coordinate della minoranza interna al Partito Democratico e dell’area riformista post-renziana: Pina Picierno, Lorenzo Guerini, Lia Quartapelle, Simona Malpezzi, con l’aggiunta di nomi esterni al Pd ma tutt’altro che estranei a quell’impianto ideologico, come Elena Bonetti, Lisa Noja, Benedetto Della Vedova e Marco Taradash. È un segnale chiaro: la guerra di posizione contro Elly Schlein ha trovato un suo perimetro fisico e simbolico. E da lì rilancia.
In un partito che da un anno si muove sotto l’effetto di una tensione permanente tra la segreteria e i suoi oppositori interni, questo nuovo presidio segna un salto di qualità. Perché raccoglie, in un unico spazio, tutto ciò che resiste alla linea Schlein: l’atlantismo radicale, la difesa del Jobs Act, l’eredità Minniti in tema di migrazioni, la diffidenza verso ogni ipotesi di alleanza strutturale con il Movimento 5 Stelle. È una contro-narrazione organizzata. E ora anche territorializzata.
Milano come baricentro del dissenso Pd
Il nuovo circolo è stato pensato a Milano non per caso. È la capitale simbolica dell’area riformista, dove si concentrano esponenti storici del partito e un tessuto di amministratori, tecnici e quadri intermedi non allineati con la nuova linea. Lo stesso Guerini è stato a lungo segretario provinciale; Malpezzi ha costruito qui parte della sua rete politica; Quartapelle rappresenta il collegio di Milano in Parlamento; Bonetti e Noja vi hanno il loro radicamento elettorale. La sede sarà in zona Porta Romana, con un calendario già in fase di programmazione: dibattiti, seminari, incontri pubblici. Il progetto è quello di un laboratorio politico “aperto al centrosinistra riformista”, ma nella sostanza è un luogo alternativo alla narrazione della segreteria.
La posta in gioco è la legittimità del mandato riformatore di Schlein, ottenuto alle primarie con un voto ribaltato rispetto a quello degli iscritti. Quell’anomalia originaria – la segretaria votata fuori ma non dentro il partito – è rimasta sospesa. Il circolo Matteotti si inserisce in questa frattura: è un tentativo di riportare il centro di gravità all’interno dell’apparato, laddove la minoranza conserva posizioni, contatti e influenza. Non c’è bisogno di una scissione. Basta un logoramento quotidiano: una critica pubblica, un’intervista sferzante, una votazione difforme. E ora anche una sede.
Una mossa da logoramento strutturato
I temi su cui si gioca il conflitto restano gli stessi. In politica estera, la minoranza accusa Schlein di ambiguità sull’Ucraina e sul riarmo. In tema di lavoro, considera il referendum sul Jobs Act un attacco ideologico. Sull’immigrazione, rifiuta l’approccio tutto diritti e niente gestione. Ma il punto non è il merito. È il metodo. A Schlein viene imputata una leadership “solitaria”, inefficace, incapace di unire. La parola chiave è: “congresso”. In attesa che torni, si occupa il campo.
Il circolo Matteotti si aggiunge a una rete già attiva: Energie Popolari di Bonaccini, Base Riformista di Guerini, i gruppi parlamentari trasversali alle linee ufficiali. L’obiettivo comune è costringere Schlein a moderarsi o fallire. L’unità del partito è invocata a parole, ma svuotata nei fatti. La fondazione del circolo è il passaggio dal dissenso a bassa intensità alla strutturazione organizzata di un’alternativa interna.
Schlein ha detto: “Mettetevi comodi, sono qui per restare”. Lo fanno. Si mettono comodi. Ma intanto costruiscono i muri.
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