Per un soffio Aziz Tarhouni non è stato espulso. Il 18enne tunisino è stato liberato dal centro di Trapani anche grazie al rumore che si è fatto intorno al caso. La sua storia però assomiglia a quella di centinaia di altre persone di cui non sappiamo il nome. E dimostra ancora una volta l’abisso giuridico e morale di un sistema che non funziona.
Per un soffio l’Italia non ha espulso Aziz Tarhouni mandandolo incontro alla morte. Venerdì infatti è stato rilasciato dal Cpr di Trapani dove era detenuto, grazie soprattutto al rumore intorno al suo caso. Aziz 18 anni ed è fuggito dalla Tunisia per sopravvivere, scappando da un Paese in cui un gruppo di criminali aveva cercato di bruciare vivo suo fratello e sterminare la sua famiglia. Pensava di trovare salvezza in Italia, invece ha trovato un Cpr. Per lo Stato la sua vita valeva meno della sua scheda di trattenimento. Era un pezzo di carta, niente di più. E a nessuno importava se si trasformava in un cadavere.

La burocrazia ha trasformato Aziz da un minore vulnerabile a clandestino da espellere
Aziz è arrivato in Italia da minorenne, solo, senza documenti. La sua unica colpa era quella di aver compiuto 18 anni. Un passaggio burocratico che, secondo la macchina amministrativa, ha trasformato un minore vulnerabile in un “clandestino” da espellere. La sua richiesta di asilo era stata rigettata due volte, nonostante i segni sulle braccia raccontino più delle carte bollate: due tentativi di suicidio nel Cpr di Trapani, una battaglia silenziosa contro l’indifferenza istituzionale. Il 26 novembre 2024 lo Stato italiano lo aveva inghiottito in un centro di detenzione per migranti. Lo chiama Centro di permanenza per il rimpatrio, ma dietro l’eufemismo c’è una prigione senza reato. Aziz ci era finito dopo un controllo di polizia, dopo essere stato sfruttato nei campi come bracciante senza diritti. Aveva chiesto protezione, ha ricevuto cemento e sbarre. Aveva chiesto di vivere, ricevendo un numero di pratica per il rimpatrio.

Il Cpr è un buco nero che inghiotte chi non ha santi in paradiso
In questo tempo di attesa crudele, Aziz è stato sottoposto a valutazioni psichiatriche a distanza, via schermo, con un traduttore improvvisato. Il dipartimento di Salute mentale di Trapani aveva stabilito che il ragazzo non aveva disturbi psichiatrici ma solo un «disagio per le condizioni ambientali». Traduzione: se impazzisce di dolore, non è un problema dello Stato, ma dell’arredamento della sua cella. La sua psicologa, però, aveva scritto nero su bianco che «non ha le risorse emotive per reggere il contesto di reclusione». Ma queste parole sono rimasta lettera morta, almeno fino a venerdì, quando Aziz ha saputo che non sarebbe stato espulso ed è tornato libero. Il Cpr di Trapani resta però una fossa. Un buco nero che inghiotte chi non ha santi in paradiso. Aziz non parlava più, il silenzio si era fatto strada tra le sue parole sconnesse. Qualche settimana fa, ancora riusciva a dire di volersi impiccare. Da qualche giorno non diceva più nulla. Il suo avvocato temeva che potesse diventare «il prossimo Ousmane Sylla», il ragazzo guineano suicidatosi nel Cpr di Ponte Galeria dopo aver chiesto invano di essere liberato.
Non chiamiamole strutture di accoglienza: sono prigioni amministrative in cui si violano diritti fondamentali
Il caso (risolto) di Aziz Tarhouni è uno dei tanti che dimostrano l’abisso giuridico e morale su cui si regge la gestione delle persone migranti in Italia. Nel 2023, su oltre 28 mila persone trattenute nei Cpr, solo il 10 per cento è stato effettivamente rimpatriato, dimostrando l’inefficacia di questo sistema. Nel 2024, le strutture hanno funzionato solo al 53 per cento della loro capacità ufficiale, con numerosi problemi di gestione e condizioni di vita inadeguate. I Cpr non sono strutture di accoglienza: sono prigioni amministrative che violano i diritti fondamentali, trasformando uomini e donne in numeri da cancellare. Un rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (Cpt) ha denunciato condizioni di detenzione insalubri, promiscuità tra i trattenuti e un uso sproporzionato della forza da parte del personale. Nel Cpr di Potenza, ad esempio, sono stati documentati casi di somministrazione non prescritta di psicofarmaci diluiti in acqua. Non serve una sentenza, non serve un giudice: basta un foglio di carta. E chi non riesce a sopravvivere è solo una statistica in più.

Chi sarà il prossimo Aziz?
Cpr sono diventati le nuove istituzioni manicomiali del Paese, luoghi di tortura per chi non ha colpe, se non quella di essere nato nel posto sbagliato. Il sistema italiano continua a ignorare le denunce sui maltrattamenti e sulle condizioni disumane di questi centri, mentre la politica si limita a difendere un modello che non funziona, né in termini di gestione né di rispetto dei diritti umani. Non si può parlare di democrazia mentre si rinchiudono persone vulnerabili senza processo. Non si può parlare di giustizia mentre si decide la vita e la morte di un ragazzo con una pratica amministrativa. L’Italia per un soffio non ha spedito Aziz Tarhouni incontro alla morte. Ma nei Cpr italiani di Aziz ne passano migliaia. Non sappiamo i loro nomi, non conosciamo le loro storie ma assomigliano terribilmente alla disperazione di Aziz. Quindi chi sarà il prossimo? E chi avrà il coraggio di guardarsi allo specchio quando sarà troppo tardi?
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