La rovina non sta nell’errore che commetti, ma nella scusa con cui cerchi di nasconderlo. (Massimo Gramellini, L’ultima riga delle favole, 2010)
C’è in giro una certa voglia di sbarazzo. Le parole sono importanti (diceva quel tale che chiedeva di dire qualcosa di sinistra) e questa delusione che si spegne nella voglia di sbarazzarsene è un irresponsabile “fuori tutto” piuttosto che un sano trasloco per trovare luoghi e temi per una nuova slanciata connessione. Il tema non è da poco: ogni volta che un minuto dopo le elezioni si passa all’idea della smobilitazione si inquinano le mobilitazioni degli ultimi anni e si mina la credibilità delle successive. La responsabilità di questo momento (anche e soprattutto per SEL, qui in Lombardia) è la credibilità di ciò che abbiamo detto, di ciò che vogliamo fare (perché la politica è diffusa, un po’ come la sinistra) e dell’analisi dei nostri errori.
Diciamocelo, per favore: abbiamo perso. Proviamo anche a ripetercelo se serve per fissare il punto e renderlo collettivo. Abbiamo lavorato per una vittoria di Ambrosoli che aprisse scenari importanti e ci ritroviamo con Maroni governatore e lo stallo patafisico in Parlamento. Volevamo la discontinuità e ci terremo Formigoni come commissario EXPO e padre putativo di una garanzia confermata alle sue lobby ed ai suoi a mci. Abbiamo perso perché volevamo un’altra Lombardia, un’altra sanità, un’altra etica applicata e un’altra visione del futuro, prima ancora di avere perso per non essere entrati nel Consiglio Regionale. Partiamo da qui e avviamo l’analisi, seriamente.
Abbiamo chiesto ad Ambrosoli di essere più appuntito ma siamo stati anche noi punte spuntate.
Abbiamo chiesto discontinuità ma non abbiamo accompagnato la narrazione delle nefandezze (perché sono vergognose nefandezze, lo sappiamo vero?) degli altri con le nostre alternative (magari in modo chiaro, composto e fruibile).
Abbiamo messo in campo una brutta (posso dirlo?) competizione tra politica, civismo, politici prestati al civismo e civili prestati alla politica, avremmo dovuto competere su lavoro, cultura, ambiente, trasporti, piano cave, servizi sociali, artigianato, imprenditoria e terzo settore.
Abbiamo pensato (come sempre negli ultimi anni) Milano caput mundi mentre la Lombardia si snoda tra le valli, le pianure difficili e le montagne. Abbiamo pensato che le “menti” della politica milanese (alcune poi con un po’ di naftalina, posso dirlo?) fossero i luminari della visione d’insieme senza tenere conto dei limiti anagrafici, geografici e di appartenenza (posso dirlo?).
Abbiamo pensato che Maroni fosse invotabile a prescindere, senza ascoltare cosa si diceva nei mercati.
Abbiamo voluto dare un valore politico al Trota e alla Minetti ripercorrendo lo stesso errore di chi ha voluto dargli dignità politica ponendoli come tema quotidiano mentre la nostra gente fatica già alla terza settimana del mese.
Abbiamo parlato dei diritti dei gay (giustamente) e troppo poco dei diritti degli esodati, delle famiglie quasi a fine mutuo che rischiano il pignoramento dei risparmi di tutta una vita, dei single, delle mamme costrette a scegliere tra un figlio o un lavoro, degli immigrati truffati, dei genitori separati, dei disoccupati e di tutti coloro che pagano i diritti come se fossero servizi o si trovano ad elemosinare riconoscenza politica.
Siamo stati fieri e boriosi dei nostri pregiudizi, convinti che fossero un dovere morale e forse ci siamo dimenticati di articolarli.
Ma non si sbaracca. No. Il lavoro è tanto.