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Non solo il Canone Rai, Meloni in ostaggio dei suoi vicepremier: la rissa continua tra Tajani e Salvini logora il governo

Le crepe si allargano, e stavolta i rattoppi sembrano finiti. La guerra fredda tra Lega e Forza Italia, sottoprodotto del centrodestra “unito” da Giorgia Meloni, arriva al capitolo Rai e prende le sembianze di un regolamento di conti. Lo spettacolo è andato in scena in commissione Bilancio al Senato, dove i due senatori azzurri Dario Damiani e Claudio Lotito hanno votato insieme alle opposizioni contro l’emendamento leghista per prorogare la riduzione del canone Rai da 90 a 70 euro. Risultato: governo sotto, 12 voti contro 10. Non bastava il parere favorevole dell’esecutivo per salvare la faccia, anzi. È l’ennesima dimostrazione che le divisioni, in questa maggioranza, non sono eccezioni, ma la regola.

Tajani vs. Salvini, dalla Rai a Mediaset: gli interessi che dividono

La retorica di Matteo Salvini si ripete: “Abbassare il canone è una battaglia del centrodestra, peccato che Forza Italia non ci stia. Gli italiani avrebbero apprezzato”. Ma l’evidente frustrazione del leader della Lega nasconde un fatto semplice: Antonio Tajani ha tirato un’altra linea rossa: quella intorno a Mediaset. Già lo scorso anno, il taglio del canone deciso nella legge di bilancio aveva innescato una guerra pubblicitaria tra Rai e Biscione. Ora, l’idea che la tv pubblica possa compensare la perdita degli introiti da canone con più spot manda in tilt gli azzurri, soprattutto quando si parla di modificare la legge Gasparri, una delle reliquie sacre del berlusconismo.

Eppure, questa non è una questione solo di canone, né di Rai. È l’ennesimo atto di una lunga sequenza di conflitti tra gli alleati di governo, ognuno con in mano coltelli sempre meno nascosti. Tajani vuole dimostrare che Forza Italia è ancora determinante e accarezza il sogno di un rimpasto che tolga alla Lega ministeri di peso, magari portando a casa la Giustizia o gli Interni. Salvini, dal canto suo, non molla la presa: il Carroccio deve restare la spalla dominante. La premier, come al solito, è incastrata. Prima si è schierata con Tajani per mediare, poi ha ceduto alla pressione di Salvini. Nel tentativo di piacere a tutti, rischia di non piacere più a nessuno.

La rottura sul canone è solo l’ultima di una serie di scontri. La battaglia per l’autonomia differenziata ha già visto Forza Italia frapporsi, con tanto di accuse di rallentamento strategico. Quando si è discusso del voto sulla Commissione Ue per i migranti, gli azzurri si sono dissociati dagli alleati, sollevando interrogativi sulla tenuta del blocco di governo. Persino la gestione delle poltrone nei consigli regionali ha generato tensioni: dalla Campania al Veneto, gli equilibri si rompono ogni volta che c’è un’elezione.

Un centrodestra in frantumi: dalle poltrone al futuro del governo

E tutto questo mentre le opposizioni brindano. Elly Schlein non si lascia sfuggire l’occasione per definire la maggioranza “in frantumi”, mentre Francesco Boccia, dal Senato, rincara: “Il governo non c’è più, chiediamo un chiarimento parlamentare immediato”. Non sono solo parole: se due senatori azzurri votano apertamente contro il governo, significa che l’alleanza è ormai logorata ben oltre i livelli di guardia.

La sensazione è che il “patto di potere” che ha tenuto insieme questa maggioranza stia collassando. La famiglia Berlusconi è sempre sullo sfondo, con i suoi interessi aziendali a fare da convitato di pietra. Salvini usa ogni crisi per rafforzare la sua narrativa da uomo del popolo, ma i sondaggi non gli sorridono più come una volta. Meloni, da regista dell’unità, rischia di diventare spettatrice del proprio disastro. Il centrodestra che prometteva stabilità è oggi una rissa permanente. E mentre litigano su poltrone, canone e pubblicità, l’Italia resta ad aspettare soluzioni ai problemi veri. Forse invano.

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