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No. Non mi fermo

In queste ultime settimane mi sono arrivati ‘segnali’ crescenti non propriamente amichevoli, curiosamente collegabili con alcune notizie, gare d’appalto e una strana attenzione su miei interventi circa personaggi poco raccomandabili uniti da comunione d’interessi, appartenenza e tutti quasi concittadini tra loro. Non mi è mai piaciuto e non mi piace alimentare questa banale litanìa di minacce e scortati ma questa volta (tanto ormai ci abbiamo fatto il callo) non posso non notare come l’impunità di alcuni personaggi in Lombardia (riferibili in modi e gradi diversi a storiche famiglie mafiose) stia non solo nell’infilarsi tra le pieghe della politica e dell’imprenditoria, delle istituzioni e, perché no, di pezzi della società civile ma soprattutto nell’arrogante sfrontatezza con cui esprimono il proprio dissenso (diciamo così, va). E allora l’allarme sta nella terribile sensazione che loro confidino in una protezione “sociale” molto più vasta di quella garantita da questo o quel rappresentante istituzionale. Un virus che si nutre soprattutto della pavidità dei territori e che forse troppo spesso abbiamo voluto comodamente relegare a questo o quel boss, questo o quel politico, questo o quel settore imprenditoriale, dimenticando come l’indifferenza del cittadino sia l’inconsapevole alleato migliore. Ho sempre preso tutto con il sorriso (che, vi avviso, non si è per niente spento) ma con un’affezionata serietà; e qualsiasi sia il senso di questi ultimi giorni (e noi qualche idea sul senso ce l’abbiamo) continuo sereno il mio lavoro (e continuano i miei collaboratori) con la lampadina accesa forse per una buona strada.

Pochi anni fa sarebbe stato impensabile vedere una Lombardia così ricca di fremiti, comitati e energie sul tema delle mafie (prima erano inesistenti, poi infiltrate e ora convergenti, finalmente) e non credano (loro) che la paura sia un’arma ancora vincente. Siamo tanti, troppi per essere identificabili come portatori unici di un’inarrestabile voglia di presidiare con stampo antimafioso. E la tutela è tutta in questa moltitudine.

No. Non mi fermo. Non mi interessano i consigli (chiamiamoli così, va) e le ‘timidezze’ (chiamiamole così, va) di qualcuno. Abbiamo troppe cose da fare, progetti da realizzare, curiosità da soddisfare e storie da raccontare per perdere un secondo di più di quelli che servono per scrivere questo post.

Morire per non riuscire a pentirsi

“Se le pagine del processo che saranno a breve esaminate non fotografassero una realtà brutale e soffocante, si potrebbe credere di leggere l’appassionante scenografia di un film, nella quale una giovane donna di soli 31 anni, madre di tre figli e costretta a vivere una vita che non le appartiene, decide in un anonimo pomeriggio di fine estate di togliersi la vita, ingerendo acido muriatico, nella disperata illusione di poter riacquistare la tanta sognata libertà”. Lo scrive il GIP di Palmi sulla vicenda terribilmente vera di Maria Concetta Cacciola che si è uccisa bevendo acido muriatico dopo essere stata costretta a ritrattare le proprie accuse con cui coraggiosamente aveva puntato il dito contro i propri famigliari (mafiosi). Voleva riuscire a scappare e non ci è riuscita. E ogni volta che non si riesce ad abbracciare, confortare e proteggere una coraggiosa testimone di giustizia questo Paese retrocede di chilometri nel campo della credibilità.

Occupiamoci di Denise Cosco

“Per un serio percorso, non solo legislativo, ma di sensibilizzazione e alfabetizzazione sulle convergenze mafiose in Lombardia è necessario dimostrare il proprio impegno, la propria attenzione e la propria vicinanza ai buchi neri aperti dalla presenza della ‘ndrangheta. E in primis sono chiamate a farlo le istituzioni.

Il 24 novembre 2009 Lea Garofalo, collaboratrice di giustizia, è stata rapita a Milano, torturata e sciolta nell’acido dai complici del marito ‘ndranghetista Carlo Cosco. Una vicenda terrificante che non ha risvolti solo giudiziari, ma anche profondamente umani.

Oggi sua figlia, Denise Cosco, combatte – e lo fa da mesi con grande dignità e inesauribile forza – il dolore per la perdita della madre e il peso delle deposizioni in Aula. Perché si è costituita parte civile al processo contro il padre, insieme alla nonna materna, alla sorella di Lea e al Comune di Milano. Lontanissima dai canoni dell’antimafia tutta telecamere e lustrini, come molti altri sconosciuti in Italia, porta avanti la sua battaglia sotto il programma di protezione per i testimoni di giustizia, con il bisogno di sparire per salvarsi.

Pensiamo che Regione Lombardia abbia il dovere e l’obbligo morale di esprimerle il proprio sostegno, con atti concreti. In tal senso, abbiamo presentato una mozione che impegna Formigoni e la Giunta a supportarla nel suo percorso di studi, anche attraverso la costituzione di un apposito fondo. Ora ci aspettiamo che venga al più presto discussa e votata all’unanimità.

I nostri figli ci chiederanno perché siamo stati così troppo poco vivi per permettere un omicidio tanto efferato. E ci chiederanno cosa abbiamo fatto per Denise, almeno per lei. Questo può essere un primo piccolo passo”.

Laurea straccia?

Una giusta riflessione di Pietro BevilacquaQuello che gli abolizionisti e in generale i “riformatori neoliberisti”, ispiratori spesso di queste amenità, non considerano è che le Università italiane non sono state create semplicemente per consentire ai cittadini di accedere ai concorsi, ma incarnano un percorso di formazione. Sono un patrimonio pubblico, che si è consolidato nel tempo, che è fatto della storia delle varie discipline scientifiche, delle diverse scuole accademiche, dei saperi, delle norme e dottrine destinate a formare le classi dirigenti del paese. Le università, da noi più che altrove, sono la sede storica delle diverse comunità scientifiche. In questo grande collettivo di studi si sono formati e si vanno formando non solo dei professionisti, ma il corpo intellettuale della nazione, con la sua identità e i suoi valori condivisi. Qui risiede la legalità, nel senso più alto, dei saperi che il nostro paese produce con la sua straordinaria e creativa operosità. Che senso ha, dunque, smembrare questo patrimonio in cui una parte estesa degli italiani riconosce le sue conquiste più alte? Che senso ha svalutare un lascito straordinario del nostro passato, ingiustamente vilipeso negli ultimi tempi per episodi certamente gravi di corruzione, ma che solo il moralismo indiscriminato e il neoliberismo interessato hanno potuto trasformare in una generale svilimento del nostro sistema formativo? 

Il complotto nevoso

Esiste un complotto vichingo per mettere Roma in cattiva luce e ne facciamo parte un po’ tutti: giornali del Nord, giornali romani diretti da giornalisti del Nord e telegiornali fatti a Roma da leghisti e comunisti del Nord (i comunisti sono per definizione del Nord, basta vedere la Corea). Siamo stati noi – con il sostegno occulto delle multinazionali del ghiacciolo, della Loggia del Leopardo e di un cugino friulano di Dan Brown – a nascondere le pale nelle catacombe e a rovesciare migliaia di sacchi di sale nell’insalata del Trota pur di sottrarli alla furia bonificatrice di Alemanno. Sempre noi, dopo averlo ipnotizzato, abbiamo costretto il sindaco alpinista a proclamare il coprifuoco al Tg1, a chiedere una commissione d’inchiesta sulle previsioni del tempo (che chicca degna di Totò!) e a mostrare la compattezza delle istituzioni litigando a reti unificate col capo della Protezione civile. Solito, splendido Gramellini su La Stampa.

Acqua pubblica. Non è cambiato niente

Il secondo quesito referendario ha abrogato un solo comma del decreto legislativo 152/06, quello che prevedeva tra le componenti della tariffa corrisposta per l’erogazione dell’acqua anche “l’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Sull’acqua non bisognava fare profitto, fu spiegato. Uno dei problemi è che il contenuto del comma abrogato è riportato identico all’art. 117 del Testo Unico sugli Enti Locali, il DLgs. 267/00, proprio quando si parla di calcolo delle tariffe. E anche per questo motivo, sette mesi dopo i referendum sull’acqua, non è ancora cambiato niente. Trovate tutto qui.

Una sentenza che affossa la clandestinità

Succede a Pavia. Il Giudice nel proprio dispositivo e nei motivi contestuali ha assolto l`imputato ‘perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato`, richiamando la citata sentenza della Corte di Giustizia Europea del 28 aprile 2011. Ad oggi, seppur il reato di clandestinità ex art. 10 bis TU immigrazione purtroppo permanga, i cittadini di Paesi terzi, liberi, non incorreranno più nel rischio di essere condannati alla sanzione penale della reclusione e privati della propria libertà personale per il semplice fatto di non aver ottemperato, nei termini, ad un ordine amministrativo di allontanamento, emesso dal Questore. […] Rimane, tuttavia, il sentore che, anche ai cittadini stranieri regolari, dimoranti nelle nostre città, sebbene non colpiti da alcuna misura restrittiva, venga attribuito comunque lo status ed il trattamento riservato al clandestino, posto che giornalmente si scontrano con realtà rigide e diffidenti, e lottino, insieme a chi crede nelle loro battaglie, contro poteri istituzionali che ad oggi hanno manifestato disinteresse, o peggio ancora, pregiudizialità e discrezionalità nell`adozione dei provvedimenti, violando i supremi principi sanciti dalla nostra carta costituzionale. Su Terre Libere l’articolo completo.

Non è Scampia ma Piacenza

E i voti si comprano e si vendonoStesso angolo, stessa storia. Due uomini italiani, sempre gli stessi, che incontrano i sudamericani dopo il voto e scambiano qualcosa. Nonostante i partiti del centrosinistra non si sbottonino – anche se si sono espressi tutti con parole di condanna – i muri della città di Piacenza hanno già un colpevole: l’Italia dei valori. “Idv uguale mafia” recita un graffito apparso questa mattina nella centralissima viale Risorgimento. “Idv vergogna” e soprattutto “un voto per Raggi uguale 5 euro”. E proprio sul candidato dell’Idv, Samuele Raggi, si sta scatenando una bufera che sembra avere poco a che fare con le nuove geometrie politiche in vista delle elezioni. Dopo l’ammissione del segretario del Pd che “qualcosa è andato storto” e quello di Rifondazione, Roberto Montanari, che ipotizza la presenza di“criminalità organizzata” nel reclutamento dei sudamericani, a seggi chiusi si è cercato di tirare le somme e prima dello scrutinio è stata convocata d’urgenza una riunione del centrosinistra. Lo scrive Il Fatto Quotidiano.

Cosa ci dicono i rimpianti

Bronnie Ware è un’infermiera australiana che ha trascorso diversi anni in un reparto di cure palliative, occupandosi di pazienti con appena tre mesi di vita davanti. Ha registrato le confessioni in punto di morte in un blog chiamato Inspiration and Chai, che ha ricevuto così tanti contatti da spingerla a riportare le sue osservazioni in un libro intitolato: “I cinque principali rimpianti del morente”, dove racconta dell’impressionante chiarezza di visione che le persone manifestano alla fine della loro vita e di come sia possibile che anche noi impariamo dalle loro consapevolezze. “Quando vengono interpellati a proposito dei propri rimpianti o di quello che avrebbero voluto fare in modo diverso” – dice Ware – “ci sono temi comuni che ritornano”. Eccoli tradotti da Michela Murgia. Il punto 5 è avrei voluto permettere a me stesso di essere felice.