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L’Abruzzo giù dal Carroccio. Il declino di Salvini è inarrestabile

In via Bellerio, nel quartier generale della Lega, i fedelissimi di Matteo Salvini avevano fissato l’asticella al 10%. Sotto quella cifra, si diceva nel cerchio magico del leader, sarebbe stato difficile non riconoscere la sconfitta. Il risultato impietoso uscito dalle urne delle regionali in Abruzzo è ben lontano, fermandosi a un 7,4% che brucia ancora di più di fronte al 13% degli alleati di Forza Italia (che che in due anni sono cresciuti di due punti) e al 24% di Fratelli d’Italia a cui andrebbe aggiunto molto di quel 6% della lista civica del presidente Marco Marsilio fortemente sostenuta da persone della presidente del Consiglio Giorgia Meloni.

Salvini deve contare altri 122mila voti persi. Dopo le Europee potrebbe farsi avanti un triumvirato composto da Zaia, Fedriga e Fontana

Il tracollo della Lega sta tutto nel tracollo del suo segretario. Le cifre disegnano i contorni del crollo. Rispetto alle elezioni regionali abruzzesi del 2019 stravinte dalla Lega con il 27% dei voti il partito ha perso qualcosa come 122mila voti. Le 165mila preferenze di cinque anni fa sono un mucchietto di 43mila schede. Se è vero che Marsilio è stato riconfermato presidente (l’unico a riuscirci qui negli ultimi trent’anni di alternanza forsennata tra centrodestra e centrosinistra) la geografia del suo potere oggi racconta tutt’altra storia: i 10 consiglieri leghisti della scorsa legislatura oggi sono diventati due e c’è da scommettere che i quattro assessori del Carroccio su sei saranno solo un ricordo.

Che la Lega stesse cominciando “a perdere tutto” per “il chiudere gli occhi, il tirare a campare rispetto a una valanga di problemi che, per scelta venivano accantonati, o per insipienza elusi” l’aveva denunciato all’orecchio di Salvini un leghista doc deluso che a novembre 2021 aveva lasciato la presidenza della società di trasporto pubblico abruzzese. Gianfranco Giuliante in una lettera aperta aveva descritto la leadership di Salvini come “un cesarismo cacio e ova ove esponenti storici della Lega si ritrovano con un daspo che impedisce la possibilità di partecipazione ai congressi senza motivo o per antipatia personale dopo molti anni di ruoli attivi e continuativi che hanno garantito la presenza della Lega in ogni occasione”.

Per Giuliante la gestione Salvini aveva tradotto “il dramma in farsa” e “la storia, che qui è una storiaccia, in isteria”. Poi ci sono stati gli addii dell’ex assessore ad Ambiente ed Energia Nicola Campitelli passato dalla Lega a Fratelli d’Italia (rieletto ieri) e l’assessora regionale alla Salute Nicoletta Verì che ha preferito candidarsi nella lista Marsilio. I dieci consiglieri di Salvini nella scorsa legislatura si sono dimezzati cammin facendo, con uscite più o meno polemiche nei confronti del ministro alle Infrastrutture. Che Salvini fosse terrorizzato da un risultato deprimente era la voce che circolava tra i leghisti. Negli ultimi giorni il segretario si era traferito in Abruzzo in pianta stabile, macinando quindici incontri in sei giorni, attraversando anche i paesi più piccoli. Non è servito.

La gestione padronale del partito presenta il conto al leader della Lega

Non è servita nemmeno la simulata sincerità con cui rivendicava avere comunicato agli abruzzesi il fallimento della linea Roma-L’Aquila con i fondi del Pnrr, poi recuperata in extremis con la promessa arrivata direttamente da Palazzo Chigi. A Salvini in Abruzzo non crede più nessuno e ora, anche in mancanza di congresso, la fronda interna è pronta alla sostituzione. Gli permetteranno come ultimo flop quello delle elezioni Europee e poi l’epoca del “capitano” si chiuderà mestamente. A sostituirlo sarà il triumvirato formato dal presidente veneto Zaia, il governatore friulano Fedriga e il presidente lombardo Fontana oppure il solo Fedriga con l’assenso degli altri due. Si riparte dal nord, dicono i militanti, ma soprattutto si riparte mettendo in panchina Salvini. Lui sui social scrive: “Bella vittoria del centrodestra, con un buon risultato per la Lega che supera i 5 Stelle e sinistra malamente sconfitta”. Ma è una voce in lontananza.

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Consumo di suolo, l’Italia affoga nel cemento

Casavatore è un Comune in provincia di Napoli in cui risiedono poco più di 18 mila persone su un territorio di circa 153 ettari. Il 91,43% di questa superficie è oggi impermeabilizzata: non più suolo ma cemento e asfalto. Casavatore non è, però, l’unico caso eclatante che testimonia la voracità con cui la mano umana ha voluto sostituire la natura e assoggettarla ai propri voleri.

Il caso del comune di Casavatore in cui risiedono poco più di 18 mila persone su un territorio di circa 153 ettari

Infatti, nella medesima provincia, anche Arzano (83,48% di suolo consumato), Melito di Napoli (81,30%), Cardito (73,72%), Torre Annunziata (72,06%), Frattaminore (71,93%) hanno ecceduto nella stessa bulimia edificatoria. Che non è solo una caratteristica del mezzogiorno, dato che coinvolge anche l’hinterland milanese e la Brianza, con punte apicali per Lissone (71,39%), Sesto San Giovanni (68,89%), Corsico (65,73%), Cusano Milanino (65,61%), Pero (64,94%), Baranzate (63,47%), Cologno Monzese (62,64%).

Non si tratta di cifre appena elaborate e ancora non conosciute: sono precisi riscontri facilmente desumibili da anni, grazie ai puntuali monitoraggi di Ispra. Dati, però, su cui minima è stata, finora, l’attenzione analitica da parte di amministratori, operatori dell’informazione e opinione pubblica: una situazione che ha spinto un apposito Gruppo di Lavoro del Forum Salviamo il Paesaggio a riprendere e sviluppare questa massa di informazioni per ciascun Comune.

Il costo di tutto questo? Ogni ettaro di suolo libero assorbe circa 90 tonnellate di carbonio; ogni ettaro di suolo libero è in grado di drenare 3.750.000 litri d’acqua; ogni ettaro di suolo libero, coltivato, può sfamare 6 persone per un anno. Il costo è stato quantificato complessivamente tra 79.000 e 97.000 euro l’anno per ciascun ettaro di terreno libero che viene impermeabilizzato.

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Fine dell’8 marzo

Non si è esaurita l’eco della retorica sull’8 marzo e all’improvviso irrompono i numeri. Scorrendo i risultati delle elezioni regionali in Abruzzo si scopre che sui 31 consiglieri totali, le donne saranno solo tre: meno del 10 per cento. Come sottolinea Pagella politica questo numero è in calo rispetto alle scorse elezioni regionali del 2019, quando le consigliere elette erano state cinque (16 per cento).

Secondo le elaborazioni fatte dal quotidiano sardo La Nuova Sardegna, le consigliere donne elette sarebbero dieci, il 16 per cento circa sul totale dei consiglieri regionali. Alle precedenti elezioni regionali del 2019 le consigliere elette erano state due in meno: otto.

Una legge nazionale del 2004 poi ritoccata nel 2016 impone alle regioni la «promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell’accesso alle cariche elettive». Più nello specifico, la legge stabilisce che se una legge elettorale regionale prevede le preferenze per l’elezione del Consiglio regionale, in ogni lista i candidati di un sesso non possono eccedere il 60 per cento del totale e deve essere consentita l’espressione di almeno due preferenze, entrambe di sesso diverso. Nel caso in cui non siano previste le preferenze, le liste dei candidati devono essere comunque composte da uomini e donne in modo tale che i candidati di un sesso non superino il 60 per cento del totale.

Secondo il World Economic Forum, nel mondo, si è chiuso solo il 22% della differenza tra uomini e donne nel campo della politica. L’Italia si posiziona al 40° posto su 146 paesi, al di sotto della media europea. Dopo le ultime elezioni nazionali, la percentuale di donne in Parlamento si è abbassata al 31%, segnando il primo calo in 20 anni.

Buon martedì. 

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Quelli che vorranno la palla al centro. Riflessioni a caldo sull’Abruzzo

Ogni volta che una Regione va al voto per chi vince è il sintomo di un vento nazionale e per chi perde è solo una partita locale. A destra si sono sgolati per dire che il voto in Sardegna non sarebbe stato fioretto di nulla e stanotte ci hanno spiegato che l’Abruzzo sancisce la fine del “campo largo che non ha futuro”. 

Provando a stare nel mezzo i segnali che arrivano dalla riconferma di Marsilio, prima delle analisi che oggi si moltiplicheranno, sono di un presidente riconfermato per la prima volta in 30 anni di alternanza, evidentemente ben giudicato dai suoi cittadini. Qui si scrive dei pochi pochissimi cittadini che sono andati a votare, crollati nei numeri rispetto alle elezioni precedenti. Il callo all’astensionismo però ormai è fatto e il tema è scomparso. 

Altri segnali, la Lega di Matteo Salvini ingoiata dagli alleati è ormai una china. Perfino Forza Italia riesce a lucrare sul declino del ministro dei Trasporti. Tra i leghisti ci si chiede se valga davvero la pena lasciare cuocere il leader così a lungo, buttando via anche le prossime elezioni europee che potrebbero segnarne la fine. 

Dall’altra parte il cosiddetto campo largo perde lo smalto che aveva fino a poche ore fa. Per il M5s i numeri che escono dalle urne abruzzesi smussano non poco le fregole da federatore di Giuseppe Conte. Ora all’ex presidente del Consiglio tocca decidere se sta dentro o fuori a un progetto che richiede lealtà. Per la segretaria dei dem Elly Schlein ricominceranno le martellate della minoranza nel suo partito che preferirebbero una coalizione che guardi solo al centro (perdente, dicono ancora i numeri di ieri). Non è una palla al centro ma qualcuno ci proverà. 

Buon lunedì. 

Nella foto: da sinistra Marco Marsilio e Luciano D’Amico (frame da video)

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Pappagalli locali dei leader nazionali

C’è questa piccola storia infame che arriva dalle parti di Treviso e riguarda un poliziotto trentenne candidato nel 2019 con Fratelli d’Italia finito nei guai per un giro di prostituzione. A colpire, come spesso accade, è il divario tra ciò che Ivan D’Amore – questo il nome dell’indagato – prometteva ai suoi elettori e i suoi comportamenti privati.

La piccola storia infame del poliziotto trevigiano candidato nel 2019 con FdI nei guai per un giro di prostituzione

“È andata bene, sono sorpreso per le mie 111 preferenze, il terzo in tutta la coalizione, è stato un risultato personale che mi riempie di orgoglio, e che mi incita a continuare su questa strada. Evidentemente sono piaciuti i progetti che ho esposto: sicurezza urbana, lotta all’accattonaggio e alla prostituzione”, diceva D’Amore nel 2019, dopo essersi candidato con Fratelli d’Italia.

Prometteva lo stop della prostituzione in pubblico e intanto nel privato D’Amore è stato arrestato per favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione, in concorso con una donna colombiana, Mariby Morales di 50 anni. Secondo l’accusa, avrebbe gestito alcuni appartamenti con un vasto giro di prostitute e trans che gli avrebbe garantito un giro d’affari di 70 mila euro al mese.

È una piccola storia infame di coerenza come molte altre, certo. Colpisce però lo svuotamento delle promesse elettorale che non sono nient’altro che le imitazioni di un tic. Essere contro la droga e poi drogarsi, odiare gli omosessuali per nascondersi, voler combattere l’evasione e intanto evadere, tuonare contro il Reddito di cittadinanza e poi intascarselo oppure usare il Superbonus mentre lo si abolisce sono i segnali di una politica intesa come posa pubblica e nient’altro. Migliaia di cloni locali dei leader nazionali che ripetono a pappagallo la manfrina. E poi ci si stupisce dell’astensionismo.

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Chiorazzo vicino al passo indietro. Avanza il modello Abruzzo in Basilicata

Improvvisa accelerata ieri per le prossime elezioni regionali in Basilicata, dopo lo stallo provocato dal candidato indicato dal Pd lucano e da Basilicata Casa Comune per le elezioni del 21 e 22 aprile, Angelo Chiorazzo. Sul suo nome da settimane si è incagliata la possibilità di ripetere anche in Basilicata lo schema elettorale che ha vinto in Sardegna con una coalizione che comprenda il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle, come già accade anche per la competizione in Abruzzo.

Improvvisa accelerata per le elezioni regionali in Basilicata dopo lo stallo provocato dal candidato Angelo Chiorazzo

Nei giorni scorsi la segretaria dem Elly Schlein – che ritiene l’alleanza con il M5S l’unica possibilità di essere competitivi alle elezioni regionali e in prospettiva alle prossime politiche – aveva inviato due emissari per confrontarsi con gli iscritti e i dirigenti locali. Non era andata benissimo. I racconti di chi c’era descrivono una vera e propria rivolta degli scritti lucani in difesa del candidato che avevano indicato, con l’appoggio anche dell’ex ministro dem Roberto Speranza.

Ieri è stata la segretaria Schlein in persona a incontrare Chiorazzo e l’imprenditore avrebbe meditato sul proprio ritiro per agevolare l’allargamento della coalizione, proponendo un altro nome. Dopo i dem Chiorazzo ha incontrato anche Conte a Roma. “Stiamo lavorando per la Basilicata – ha detto il leader M5S ai cronisti – stiamo lavorando a una candidatura credibile e rappresentativa di tutti e di tutte le forze civiche. Ci siamo confrontati con Chiorazzo e continueremo a confrontarci con lui, con il Pd e tutte le forze che vogliono lavorare per uno schieramento progressista”.

Per Conte “l’obiettivo è avere un programma serio e credibile, e un candidato che rappresenti tutti in modo affidabile”. Sulla possibilità di trovare un nome alternativo a quello di Chiorazzo ieri è intervenuto anche Stefano Bonaccini, leader della minoranza dem che fino a poche ore prima dello spoglio in Sardegna era tra i più strenui oppositori del cosiddetto campo largo con i 5S e che oggi ha profondamente cambiato idea. “Ogni volta che si sceglie un candidato o una candidata – ha spiegato Bonaccini – il principio attorno a un programma condiviso dovrebbe essere quello di scegliere il candidato o la candidata più in grado di aggregare forze politiche o movimenti civici e provare a vincere”.

La moral suasion di Conte e Schlein sta dando i suoi frutti. Con l’alleanza unita la partita è apertissima

Angelo Bonelli di Europa verde aveva sottolineato come quello indicato dal Pd lucano “non è un nome che unisce e quindi bisogna lavorare su un nome. Auspico che anche chi lo ha proposto e lui stesso capiscano che prima di tutto viene la necessità di fermare la destra. Ci sono le condizioni per vincere anche in Basilicata”. L’aspirante presidente imposto da Speranza è pronto a farsi da parte. Il re delle coop bianche lucane ha tentato di resistere fino fino alla fine, evocando “qualche mano interessata” dietro il Sole24ore che aveva scritto di trattative per posti in Giunta in cambio del suo ritiro e ombre inquietanti tra le righe del Fatto Quotidiano che l’ha descritto come “il miglior prodotto di quel mondo che faceva riferimento a Giulio Andreotti, Comunione e Liberazione, don Giacomo Tantardini a La Cascina e a Gianni Letta”.

Alla fine è Chiorazzo a indicare al Pd il candidato presidente mentre il partito è di fatto commissariato da Roma. Qualcuno bisbiglia che Chiorazzo proverà a sedurre Pittella e il M5S accetterà dopo avere dato prova di forza enorme archiviando il “caso Chiorazzo”. “Sciocchezze”, dicono tra i dem a Roma. Qualcuno però lancia la provocazione: perché non si candida chi stava dietro a Chiorazzo? Cioè Roberto Speranza.

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Chiorazzo vicino al passo indietro. Avanza il modello Abruzzo in Basilicata

Improvvisa accelerata ieri per le prossime elezioni regionali in Basilicata, dopo lo stallo provocato dal candidato indicato dal Pd lucano e da Basilicata Casa Comune per le elezioni del 21 e 22 aprile, Angelo Chiorazzo. Sul suo nome da settimane si è incagliata la possibilità di ripetere anche in Basilicata lo schema elettorale che ha vinto in Sardegna con una coalizione che comprenda il Partito democratico e il Movimento 5 Stelle, come già accade anche per la competizione in Abruzzo.

Improvvisa accelerata per le elezioni regionali in Basilicata dopo lo stallo provocato dal candidato Angelo Chiorazzo

Nei giorni scorsi la segretaria dem Elly Schlein – che ritiene l’alleanza con il M5S l’unica possibilità di essere competitivi alle elezioni regionali e in prospettiva alle prossime politiche – aveva inviato due emissari per confrontarsi con gli iscritti e i dirigenti locali. Non era andata benissimo. I racconti di chi c’era descrivono una vera e propria rivolta degli scritti lucani in difesa del candidato che avevano indicato, con l’appoggio anche dell’ex ministro dem Roberto Speranza.

Ieri è stata la segretaria Schlein in persona a incontrare Chiorazzo e l’imprenditore avrebbe meditato sul proprio ritiro per agevolare l’allargamento della coalizione, proponendo un altro nome. Dopo i dem Chiorazzo ha incontrato anche Conte a Roma. “Stiamo lavorando per la Basilicata – ha detto il leader M5S ai cronisti – stiamo lavorando a una candidatura credibile e rappresentativa di tutti e di tutte le forze civiche. Ci siamo confrontati con Chiorazzo e continueremo a confrontarci con lui, con il Pd e tutte le forze che vogliono lavorare per uno schieramento progressista”.

Per Conte “l’obiettivo è avere un programma serio e credibile, e un candidato che rappresenti tutti in modo affidabile”. Sulla possibilità di trovare un nome alternativo a quello di Chiorazzo ieri è intervenuto anche Stefano Bonaccini, leader della minoranza dem che fino a poche ore prima dello spoglio in Sardegna era tra i più strenui oppositori del cosiddetto campo largo con i 5S e che oggi ha profondamente cambiato idea. “Ogni volta che si sceglie un candidato o una candidata – ha spiegato Bonaccini – il principio attorno a un programma condiviso dovrebbe essere quello di scegliere il candidato o la candidata più in grado di aggregare forze politiche o movimenti civici e provare a vincere”.

La moral suasion di Conte e Schlein sta dando i suoi frutti. Con l’alleanza unita la partita è apertissima

Angelo Bonelli di Europa verde aveva sottolineato come quello indicato dal Pd lucano “non è un nome che unisce e quindi bisogna lavorare su un nome. Auspico che anche chi lo ha proposto e lui stesso capiscano che prima di tutto viene la necessità di fermare la destra. Ci sono le condizioni per vincere anche in Basilicata”. L’aspirante presidente imposto da Speranza è pronto a farsi da parte. Il re delle coop bianche lucane ha tentato di resistere fino fino alla fine, evocando “qualche mano interessata” dietro il Sole24ore che aveva scritto di trattative per posti in Giunta in cambio del suo ritiro e ombre inquietanti tra le righe del Fatto Quotidiano che l’ha descritto come “il miglior prodotto di quel mondo che faceva riferimento a Giulio Andreotti, Comunione e Liberazione, don Giacomo Tantardini a La Cascina e a Gianni Letta”.

Alla fine è Chiorazzo a indicare al Pd il candidato presidente mentre il partito è di fatto commissariato da Roma. Qualcuno bisbiglia che Chiorazzo proverà a sedurre Pittella e il M5S accetterà dopo avere dato prova di forza enorme archiviando il “caso Chiorazzo”. “Sciocchezze”, dicono tra i dem a Roma. Qualcuno però lancia la provocazione: perché non si candida chi stava dietro a Chiorazzo? Cioè Roberto Speranza.

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La sparata del leghista contro i trans spiega bene tutto lo stigma sociale sull’Aids – Lettera43

Il consigliere comunale milanese Piscina ha parlato di «sangue infetto sputato alle forze dell’ordine». Dimostrando sierofobia. E che ancora ce n’è di strada da fare per superare quella discriminazione sull’Hiv che fa tanto Anni 80-90. Tra test poco frequenti e diagnosi tardive, il problema è ancora molto attuale.

La sparata del leghista contro i trans spiega bene tutto lo stigma sociale sull’Aids

C’è questo consigliere comunale a Milano, tal Samuele Piscina (come spesso accade: leghista), che in un suo intervento durante il Consiglio comunale ha spiegato che in un quartiere della città «c’erano transessuali che sputavano sangue infetto alle forze dell’ordine». Lo sdegno, il can can e gli articoli che circolano sui social sono l’immediata conseguenza. Piscina lo sa bene, del resto il suo segretario Matteo Salvini è assurto alle cronache nazionali quando in quello stesso ruolo di consigliere comunale aveva proposto di dividere le carrozze della metropolitana tra bianchi e neri. Ai tempi quasi tutti pensavano che una persona con proposte così sceme oltreché orrende non avrebbe mai fatto strada. E invece Salvini è per la seconda volta vice presidente del Consiglio nonché per la seconda volta ministro.

Il film Philadelphia con Tom Hanks fu una svolta

Ma non è questo ora qui che interessa. Nella frase dello sputo di «sangue infetto» c’è l’odore di uno stigma che ci riporta agli Anni 80-90, quando l’Aids era uno spauracchio tormentoso che entrava nella case degli italiani con uno spot pubblicitario in cui i “malati” venivano rappresentati con una linea fluorescente in mezzo a ignari sani. Quello stigma si è sgretolato con anni di studi, di divulgazione scientifica e di opere cinematografiche e letterarie. Il celebre film Philadelphia con Tom Hanks fu una svolta per raccontare come la discriminazione sia pericolosa quanto la malattia.

In Italia il 58,1 per cento delle nuove diagnosi di Hiv sono tardive

Lo stigma su cui ha pestato il piede il consigliere Piscina però ha anche altri effetti. Da anni su questo campo opera l’associazione “Plus, persone Lgbt+ sieropositive” che si occupa degli aspetti “sociali” dell’Hiv (dalla paura alla solitudine, passando per la disclosure) lasciati troppo spesso alla gestione solitaria della singola persona con Aids. Quello stigma, spiegano dall’associazione, produce come effetto che le persone non facciano i test con sufficiente frequenza, o addirittura non lo facciano mai, contribuendo così alla diffusione del virus. In Italia il 58,1 per cento delle nuove diagnosi di Hiv sono diagnosi tardive, un numero molto più alto della media europea. Ricevere una diagnosi tardiva comporta un ritardo nel raggiungimento di livelli non rilevabili del virus attraverso la terapia e diminuisce le possibilità di avere un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale.

La Lega riproduce stigma e pregiudizi violenti

«A contribuire alla diffusione del virus non sono persone trans “che sputano sangue infetto” ma persone come Piscina che riproducono stigma e pregiudizi violenti», spiega Plus, che propone un’esegesi che smonta in toto le affermazioni del consigliere e – a ben vedere – anche il consigliere stesso. «Prima di tutto ci troviamo a dover ricordare al consigliere Piscina che “transessuale” non è un sostantivo, e che anche quando le si vuole insultare grossolanamente come in questo caso, sarebbe più corretto parlare di persone trans». Sul trucco della sineddoche in malafede usato dalla politica (per cui una persona trans diventa «i trans») ormai abbiamo un’intera letteratura. Sul «sangue infetto», secondo l’associazione Plus «Piscina non si dà neanche pena di dire di cosa sarebbe infetto il sangue, come se l’Hiv fosse l’unica infezione del sangue esistente. In secondo luogo, perché suona molto, troppo, come sangue sporco».

«Trans sputavano sangue infetto sulla polizia» polemiche per le parole del consigliere leghista
Samuele Piscina (Imagoeconomica).

Perché c’è bisogno di un’informazione corretta

«Ma la questione principale», conclude Plus, «non sono le dichiarazioni di un leghista particolarmente transfobico e sierofobico: il problema è che questo sarà uno dei rari casi in cui quest’anno si parlerà di Hiv sui media nazionali. Abbiamo bisogno di un’informazione corretta, che dia voce alla ricerca medico-scientifica e alle persone che vivono con Hiv, e che promuova una conoscenza reale di virus e combatta lo stigma». Su questo il consigliere leghista è un marchio doc: se lo stigma funziona, il mondo là fuori è molto più indietro di quanto si possa immaginare. Forse anche per questo gente come Piscina ha i voti per entrare in un Consiglio comunale.

L’articolo proviene da Lettera43 qui https://www.lettera43.it/piscina-lega-trans-aids-hiv-stigma/

La sparata del leghista contro i trans spiega bene tutto lo stigma sociale sull’Aids – Lettera43

Il consigliere comunale milanese Piscina ha parlato di «sangue infetto sputato alle forze dell’ordine». Dimostrando sierofobia. E che ancora ce n’è di strada da fare per superare quella discriminazione sull’Hiv che fa tanto Anni 80-90. Tra test poco frequenti e diagnosi tardive, il problema è ancora molto attuale.

La sparata del leghista contro i trans spiega bene tutto lo stigma sociale sull’Aids

C’è questo consigliere comunale a Milano, tal Samuele Piscina (come spesso accade: leghista), che in un suo intervento durante il Consiglio comunale ha spiegato che in un quartiere della città «c’erano transessuali che sputavano sangue infetto alle forze dell’ordine». Lo sdegno, il can can e gli articoli che circolano sui social sono l’immediata conseguenza. Piscina lo sa bene, del resto il suo segretario Matteo Salvini è assurto alle cronache nazionali quando in quello stesso ruolo di consigliere comunale aveva proposto di dividere le carrozze della metropolitana tra bianchi e neri. Ai tempi quasi tutti pensavano che una persona con proposte così sceme oltreché orrende non avrebbe mai fatto strada. E invece Salvini è per la seconda volta vice presidente del Consiglio nonché per la seconda volta ministro.

Il film Philadelphia con Tom Hanks fu una svolta

Ma non è questo ora qui che interessa. Nella frase dello sputo di «sangue infetto» c’è l’odore di uno stigma che ci riporta agli Anni 80-90, quando l’Aids era uno spauracchio tormentoso che entrava nella case degli italiani con uno spot pubblicitario in cui i “malati” venivano rappresentati con una linea fluorescente in mezzo a ignari sani. Quello stigma si è sgretolato con anni di studi, di divulgazione scientifica e di opere cinematografiche e letterarie. Il celebre film Philadelphia con Tom Hanks fu una svolta per raccontare come la discriminazione sia pericolosa quanto la malattia.

In Italia il 58,1 per cento delle nuove diagnosi di Hiv sono tardive

Lo stigma su cui ha pestato il piede il consigliere Piscina però ha anche altri effetti. Da anni su questo campo opera l’associazione “Plus, persone Lgbt+ sieropositive” che si occupa degli aspetti “sociali” dell’Hiv (dalla paura alla solitudine, passando per la disclosure) lasciati troppo spesso alla gestione solitaria della singola persona con Aids. Quello stigma, spiegano dall’associazione, produce come effetto che le persone non facciano i test con sufficiente frequenza, o addirittura non lo facciano mai, contribuendo così alla diffusione del virus. In Italia il 58,1 per cento delle nuove diagnosi di Hiv sono diagnosi tardive, un numero molto più alto della media europea. Ricevere una diagnosi tardiva comporta un ritardo nel raggiungimento di livelli non rilevabili del virus attraverso la terapia e diminuisce le possibilità di avere un’aspettativa di vita paragonabile a quella della popolazione generale.

La Lega riproduce stigma e pregiudizi violenti

«A contribuire alla diffusione del virus non sono persone trans “che sputano sangue infetto” ma persone come Piscina che riproducono stigma e pregiudizi violenti», spiega Plus, che propone un’esegesi che smonta in toto le affermazioni del consigliere e – a ben vedere – anche il consigliere stesso. «Prima di tutto ci troviamo a dover ricordare al consigliere Piscina che “transessuale” non è un sostantivo, e che anche quando le si vuole insultare grossolanamente come in questo caso, sarebbe più corretto parlare di persone trans». Sul trucco della sineddoche in malafede usato dalla politica (per cui una persona trans diventa «i trans») ormai abbiamo un’intera letteratura. Sul «sangue infetto», secondo l’associazione Plus «Piscina non si dà neanche pena di dire di cosa sarebbe infetto il sangue, come se l’Hiv fosse l’unica infezione del sangue esistente. In secondo luogo, perché suona molto, troppo, come sangue sporco».

«Trans sputavano sangue infetto sulla polizia» polemiche per le parole del consigliere leghista
Samuele Piscina (Imagoeconomica).

Perché c’è bisogno di un’informazione corretta

«Ma la questione principale», conclude Plus, «non sono le dichiarazioni di un leghista particolarmente transfobico e sierofobico: il problema è che questo sarà uno dei rari casi in cui quest’anno si parlerà di Hiv sui media nazionali. Abbiamo bisogno di un’informazione corretta, che dia voce alla ricerca medico-scientifica e alle persone che vivono con Hiv, e che promuova una conoscenza reale di virus e combatta lo stigma». Su questo il consigliere leghista è un marchio doc: se lo stigma funziona, il mondo là fuori è molto più indietro di quanto si possa immaginare. Forse anche per questo gente come Piscina ha i voti per entrare in un Consiglio comunale.

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Dritto senza Rovescio. Con Giorgia è un siparietto

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la stessa che lamenta di essere sotto il tiro della stampa brutta, sporca e cattiva che le impedisce di essere amata come meriterebbe è stata intervistata per venti minuti durante l’ultima trasmissione Diritto e rovescio condotta da Paolo Del Debbio.

La premier Meloni è stata intervistata per venti minuti durante l’ultima trasmissione Diritto e rovescio condotta da Paolo Del Debbio

Per rendere l’idea del pezzo di giornalismo d’assolo si può partire dalla fine, quando Del Debbio suadente ha detto alla premier che “con questi dati e con questi successi che ha elencato una carbonara o un’amatriciana al conduttore potrebbe anche essere offerta lì a Palazzo Chigi…”. Meloni in collegamento si gusta la scena del giornalista azzerbinato e gli risponde “quando vuole”, chiamandolo per nome “Paolo”. “Io sono un ragazzo alla buona, mi accontento di poco…”, spiega Del Debbio e la conversazione scivola in un quadretto familiare, qualcosa di simile a una sit-com che deve sforzarsi di sembrare giornalismo.

In contemporanea su un altro canale che per molti è colpevole di essere “troppo grillino” (La7) l’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ora leader dei Cinque Stelle, veniva sottoposto al tiro incrociato di Lilly Gruber e del suo valletto, il giornalista Massimo Giannini. Giannini era molto divertito dal nomignolo “CamaleConte” affibbiato al presidente M5S ripetendolo più volte e la giornalista del Corriere della sera Monica Guerzoni ha detto di ritenere Conte “il miglior alleato di Meloni”. Su che base?, chiede Conte. Su nessuna base, ha risposto lei. Gruber e Giannini avevano avuto lo stesso atteggiamento con la segretaria del Pd Elly Schlein. Forse tra l’aggressione e l’asservimento ci sarebbe una via di mezzo: il giornalismo.

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