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Fascina è ancora in lutto

Tra i molti privilegi di essere la vedova (per finta) del marito (per finta) Silvio Berlusconi c’è anche quello di potersi permettere un ricco lutto che nessun altro lavoratore potrebbe permettersi, richiamato al dovere dal suo capo. Nel caso della parlamentare di Forza Italia Marta Fascina, i datori di lavoro sarebbero gli italiani, il che rende la questione ancora più delicata.

Dopo avere accumulato il 74% di assenze nella scorsa legislatura, catapultata in un seggio sicuro in Campania, Fascina non si vede in Parlamento dal giorno della morte del suo convivente Silvio Berlusconi, nonché proprietario di fatto di quel partito. Ieri a perdere la pazienza è stato il fratello di Silvio, Paolo Berlusconi, che durante un evento elettorale per le elezioni suppletive al Senato in cui corre il fedele amico Adriano Galliani, ha tuonato: “Basta con le lacrime, l’ho detto anche a Marta, che è inconsolabile, ma che deve trovare la forza di tornare in Parlamento perché è un suo diritto ma soprattutto un suo dovere”.

Il messaggio “è smettere di piangere e dirci e dirvi che dobbiamo essere sereni e addirittura felici, perché abbiamo avuto la fortuna di conoscere” Silvio Berlusconi, “di amarlo e di viverlo”. Nel suo intervento Paolo Berlusconi definisce Galliani “un pezzo di Silvio“. E poi annuncia che il prossimo 29 settembre, giorno in cui l’ex premier avrebbe compiuto 87 anni, “in Regione Lombardia il governatore Attilio Fontana dedicherà la sala Belvedere a Silvio Berlusconi”. Il richiamo al dovere suona perfino sinistro. Per rispettare gli italiani, come dice Paolo Berlusconi, Marta Fascina dovrebbe spiegare anche il motivo per cui dovrebbe essere utile lì, se ci pensate bene.

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Ora sui migranti Meloni insegue Salvini

“Speravo meglio sull’immigrazione dove abbiamo lavorato tantissimo”. Tra i comodi guanciali del TG1 nemmeno la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto il coraggio di negare la realtà. Nonostante nella disciplina sia una vera campionessa. Ogni giorno che passa la politica italiana sui migranti del governo italiano segna un ulteriore passo sul sentiero della vergogna. Così mentre il ministro Matteo Salvini spiega in televisione che la cauzione di circa 5mila euro per non essere rinchiusi in un Cpr può essere pagata con “collanine, telefono e scarpe” dal Vaticano Papa Francesco ricorda he non c’è nessuna invasione e nessuna emergenza.

Scontro Roma-Berlino sui migranti. Meloni e Salvini all’attacco di Scholz. Ma gli aiuti alle Ong erano noti da tempo

A dire il vero, che non ci sia nessuna invasione lo dicono da sempre anche i numeri ma la propaganda, si sa, ha bisogno di un pericolo, anche finto. Così ieri mentre il ministro agli Esteri Antonio Tajani si sforzava di ripetere come “il tema dell’immigrazione sia un problema storico ormai talmente complesso a causa delle varie crisi internazionali che non si può affrontare a slogan ma con la politica e la diplomazia”, il collega Salvini se n’è uscito con un altro slogan, affidato ai suoi social network: “Notizia gravissima. La Germania paga le Ong per trasferire clandestini nel nostro Paese”, scrive il leader della Lega, rilanciando l’accusa del ministro alla Difesa Guido Crosetto per i finanziamenti tedeschi a favore della Comunità di Sant’Egidio e per Sos Humanity.

La lotta nel fango contro la Germania è un tema che appassiona molto i partiti di governo e che non serve a nulla per risolvere il problema. Ma l’importante è fare cagnara. Così il ministro degli Esteri di Berlino fa sapere che i due provvedimenti traducono in pratica una decisione del Bundestag, conosciuta da tempo a Palazzo Chigi, dove erano stati debitamente informati. Alla fine anche Meloni si butta nella mischia scrivendo al cancelliere tedesco. La risposta è la stessa: sapevate già tutto.

L’Auswärtiges Amt (il ministero degli Esteri federale), in una dichiarazione all’Ansa, ricorda che “salvare le persone che annegano è dovere giuridico, umanitario e morale” e che “come le guardie costiere nazionali, in particolare quella italiana, anche i soccorritori civili nel Mediterraneo centrale svolgono un compito di salvataggio delle persone in difficoltà con le loro imbarcazioni”. Il ministero aggiunge che il governo tedesco “si sta impegnando a fondo per riformare il sistema europeo comune di asilo in modo sostenibile e solidale”.

Il ministro Crosetto, da canto suo, rilancia con l’invito a Berlino di “appoggiare il piano Mattei” (altro fumo negli occhi di una discussione ogni giorno più imbarazzante) e ci tiene a precisare che “anche l’Italia salva i migranti” e che la Germania si occupa “solo del 5% dei salvataggi”. Nessuno gli deve avere spiegato che in Germania non c’è il mare.

Dopo il flop del Memorandum per l’Africa ai sovranisti non resta che confondere le acque

A proposito del Piano Mattei. Ieri il ministro degli Esteri tunisino Nabil Ammar nel suo intervento alla 78esima sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite in corso a New York ha chiarito che “la Tunisia non accetterà di diventare il Paese di destinazione dei migranti irregolari” e poiché il cosiddetto “Piano Mattei” si traduce solo in quello si può serenamente dire che sia fallito ancora prima di cominciare.

Intanto in Italia a Trapani in un ex hub vaccinale che avrebbe dovuto ospitare corsi universitari ci sono invece stipati, in condizioni disumane e non adeguate, 1500 persone. Avrebbero dovuto essere al massimo 400 e “per pochi giorni”, avevano assicurato dal ministero degli Interni. Il portavoce di Unicef in missione a Lampedusa segnala come i minori non accompagnati abbiano bisogno di cure e di servizi immediati. Nel pomeriggio l’Unione europea fa sapere di volerne sapere di più sulla “cauzione” che il governo intende chiedere ai migranti. Così un’altra giornata di propaganda e nessun atto concreto è passata.

Leggi anche: Meloni sui migranti preferisce la propaganda. La guerra alle Ong è più importante di un aiuto dalla Germania in Ue: la destra all’attacco del governo tedesco

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Da Meloni Pinocchio un anno di balle

La comparsa dell’ex Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha sospeso ufficialmente la festa di Giorgia Meloni e Fratelli d’Italia per i primi dodici mesi al governo. La propaganda invece può tranquillamente continuare sui giornali allineati e sulle televisioni pubbliche e private (uguali nella linea editoriale) che da ore cannoneggiano a rotative e televisioni unificate risultati straordinari.

Meloni ha rilasciato un’intervista al Tg1 che è un condensato di bugie, come ha sottolineato anche il sito di fact checking Pagella politica

La presidente Meloni ha rilasciato un’intervista al Tg1 che è un condensato di bugie, come ha sottolineato anche il sito di fact checking politico Pagella politica. Si comincia con la solita balla per giustificare la demolizione del reddito di cittadinanza: “Chi non può lavorare mantiene il sussidio, chi può lavorare è giusto che abbia lavoro e formazione”, dice Meloni fingendo di non avere letto le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb), un organismo indipendente che vigila sulla spesa pubblica, che ci dicono come quasi 100mila famiglie che prima prendevano il reddito di cittadinanza, con all’interno un disabile, un minorenne o un over 60, non potranno accedere all’assegno di inclusione “per effetto dei vincoli di natura economica”.

L’ALIBI DEL 110%
È sempre la solita bugia anche quella sul Superbonus, con la presidente del Consiglio ora in veste di moralizzatrice a spiegare che sono soldi “tolti alla sanità, all’istruzione e alle persone”. Confidando nella memoria corta degli italiani, Meloni omette che Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia hanno chiesto a più riprese addirittura un allargamento della platea dei beneficiari del bonus. Ma ora che hanno cambiato idea, vorrebbero anche cambiare faccia.

ITALIA LOCOMOTIVA UE
La barzelletta dell’Italia “fanalino di coda” in Europa in campo economico e ora “tornata protagonista” (altro slogan molto amato dai meloniani) è tutto nei numeri del Più italiano calato tra aprile e giugno dello 0,4% (al contrario di Francia e Germania) e un’occupazione in calo certificata dall’Istat. Per quanto riguarda i lavoratori poveri il governo ha pensato bene a un’operazione di “cosmesi matematica” dell’Inps per farli scomparire dalle statistiche.

RIFORMA FISCALE
Dice Meloni di avere anche “concentrato le risorse su chi era in difficoltà e sui redditi medio-bassi”. Questa bugia viene difficile smentirla perché davvero si fatica a capire a cosa si riferisca. Di certo questo governo ha mantenuto la flat tax che non premia i redditi più bassi, come dimostrato più volte, e che ha anche qualche problema di costituzionalità. La riforma fiscale che prevede il passaggio da quattro a tre aliquote Irpef è un’idea generica nella legge delega che al momento non trova nessun riscontro. Forse al governo vorrebbero farla, questo è legittimo, ma dove troveranno i soldi è ancora tutto da capire.

LOTTA ALLA MAFIA
Era prevista anche la strumentalizzazione dell’arresto di mafiosi, compreso il latitante Matteo Messina Denaro, del quale è stata diffusa ieri la notizia della morte. Prendersi il merito di operazioni delicate portate avanti dalla magistratura (che quando torna comodo è un “potere separato” e quando serve diventa un “potere politico”) significa non avere idea di quanto tempo e quanti governi occorrano per arrivare a un risultato.

FARINA… DEL SUO SACCO
“Grazie a Fratelli d’Italia la legislazione italiana (sui rave party, ndr) si è allineata a quella di molti altri Stati europei”, scrive il partito di Meloni sul suo opuscolo celebrativo. Falso: nessuno degli altri quattro grandi Paesi europei (Francia, Regno Unito, Germania e Spagna) prevede pene così dure come quelle introdotte dal governo Meloni. Anche lo “stop alle farine di insetti” è un messaggio bugiardo: già quattro regolamenti europei avevano autorizzato la vendita della polvere di grillo domestico, del verme della farina minore, della larva gialla della farina essiccata e della locusta migratoria, stabilendo la quantità massima di insetti che può essere presente negli alimenti.

DILUVIO DI BALLE
Sull’Emilia Romagna alluvionata e quei pochi 230 milioni arrivati dopo oltre tre mesi ne abbiamo letto e scritto dappertutto. Fenomenale è il fregiarsi (sempre sull’opuscolo di partito) di “sviluppare fonti energetiche pulite, come il gas naturale e le rinnovabili”. Mettere sullo stesso piano il gas naturale e le energie rinnovabili, come il fotovoltaico e l’eolico significa non avere ancora imparato che il gas è un combustibile fossile, al pari del carbone e del petrolio. Per quanto riguarda lo “stop all’immigrazione” Meloni e compagnia ormai non hanno nemmeno più lo stomaco di riuscire a ripeterla come vittoria. Quando se ne parla da quelle parti balbettano del “Piano Mattei”. Ma almeno su quello si vede lontano un miglio che non ci credono neanche loro.

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Condoni, solo condoni

“Mercoledì saranno incardinate due proposte di Forza Italia al Senato per risistemare le città, e all’interno di questo progetto che dovrebbe portare anche alla riduzione delle emissioni si può vedere di inserire qualche aggiustamento per piccole cose fatte in violazione delle legge”: sono le parole del ministro Antonio Tajani, Forza Italia, che rilanciano l’idea del condono edilizio lanciata da Matteo Salvini. Leggendole bene si vede anche la strategia: buttarla sul green. Poiché in fondo si vergognano anche loro di quello che vorrebbero fare l’ambientalismo gli torna utile.

Ieri il governo ha tirato dritto anche sulla sanatoria per commercianti e autonomi che abbiano violato gli obblighi di certificazione dei corrispettivi e di conseguenza presentato dichiarazioni dei redditi falsate: un “ravvedimento operoso” con il quale chi tra gennaio 2022 e il 30 giugno 2023 si è reso responsabile di errori e omissioni in materia trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri all’Agenzia delle entrate e dunque versamenti insufficienti potrà tornare in regola versando imposta, interessi e sanzione ridotta da un decimo di quella ordinaria a un quinto di quella minima. Con il vantaggio che si riduce via via che aumenta la distanza tra pagamento omesso e regolarizzazione.

Vi ricordate quando Giorgia Meloni durante un comizio parlò delle tasse come “pizzo di Stato”? Dicevano che si era “espressa male” e che i giornalisti avevano strumentalizzato. Invece avevamo capito benissimo.

Buon martedì.

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Allarme femminicidi. L’Europa boccia l’Italia

La piaga dei femminicidi in Italia, che ieri hanno raggiunto quota 84 dall’inizio dell’anno, continua a preoccupare il Consiglio d’Europa. Il Comitato dei ministri (organo decisionale del Consiglio d’Europa) sottolinea in particolare la “risposta inefficace e tardiva” delle autorità alle denuncia di violenza domestica subite dalle donne, che hanno più volte portato la Corte europea dei diritti dell’uomo (Cedu) a condannare il nostro Paese.

La piaga dei femminicidi in Italia, che ieri hanno raggiunto quota 84 dall’inizio dell’anno, continua a preoccupare il Consiglio d’Europa

Il Consiglio d’Europa “nota con preoccupazione” che i dati forniti da Roma “mostrano una persistente alta percentuale di procedimenti per violenza domestica e sessuale archiviati nella fase delle indagini preliminari, un uso limitato degli ordini di protezione e un tasso significativo di violazione degli stessi”.

Pur riconoscendo i passi avanti compiuti dalle autorità italiane che “riflettono la loro continua determinazione a prevenire e combattere la violenza domestica e la discriminazione di genere”, Strasburgo chiede di fornire entro il 30 marzo 2024 informazioni dettagliate sui procedimenti per violenza domestica e sessuale e gli ordini di protezione, comprese le violazioni a questi ultimi.

Nonché indicazioni sulle “azioni concretamente intraprese e i progressi tangibili raggiunti” attraverso le misure supplementari previste dal piano nazionale per eradicare i pregiudizi e gli atteggiamenti che alimentano la violenza di genere e la discriminazione, che le autorità si sono impegnate ad attuare.

Cosa significa questo? Che i femminicidi non sono un’invenzione delle femministe o di qualche partito politico. Non sono nemmeno un’emergenza inventata, al contrario di altre. Quei numeri dicono molto dello Stato in cui avvengono. Si attendono risposte.

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Perché la morte di Messina Denaro non è una vittoria dello Stato – Lettera43

Alle 4 di mattina di un lunedì di settembre la saga di Matteo Messina Denaro è arrivata all’ultima puntata, tanto per confermarci che di lui e di quello che rappresenta si è capito poco o quasi niente dalle parti della politica e dei giornalisti esperti di mafia per un giorno.

Di Matteo Messina Denaro in questi otto mesi abbiamo saputo tutto quello che non ci serviva sapere

Da otto mesi, dalla cattura il 16 gennaio da parte del Ros dei Carabinieri, il capomafia era detenuto nel supercarcere di Costarelle a L’Aquila. Intorno a lui abbiamo assistito alla concimazione del mito. Di Matteo Messina Denaro sapevamo quasi tutto quello che non ci serviva sapere. Conosciamo le sua abitudini sessuali, i suoi gusti cinematografici e musicali, i triangoli amorosi che lo cingevano, la parabola del figliol prodigo con la figlia che s’è presa il suo cognome poco prima che morisse. Nei giorni scorsi alcuni commentatori si erano addirittura spesi sulla condanna che il boss aveva lanciato contro la Chiesa, rifiutando il funerale religioso. Decine di righe, pagine e commenti che si interrogavano sugli strali di Matteo Messina Denaro contro il Papa pittati su quattro pizzini sputati ritrovati nel suo covo.

LEGGI ANCHE: L’arresto di U’Siccu e i misteri di Cosa nostra

Matteo Messina Denaro è stato il protagonista perfetto per la fiction dell’antimafia che odia l’antimafia e che banalizza un sistema di potere in un sistema criminale da filmato di quart’ordine. Otto mesi in cui gli interrogativi sulla rete di protezione che gli ha consentito di essere latitante per così tanto tempo non sono mai entrati nel dibattito pubblico. Otto mesi in cui il dibattito televisivo e il dibattito politico si sono arenati sulle interviste accusatorie al fruttivendolo che, incautamente, gli vendeva le banane senza accorgersi che quel’Andrea Bonafede lì era “il capo dei capi”. L’impero economico, politico e solo dopo criminale di Matteo Messina Denaro è un capitale che si costruisce con l’illegalità – certo – ma soprattutto come le competenze. Chi sono i presunti talenti finanziari e politici che hanno permesso la crescita di una superpotenza sotterranea? Non si sa. Forse dovremmo accontentarci di sapere quali calamite avesse attaccate al frigorifero e stare bene così. Dove sono gli strumenti per tenere la contabilità e le comunicazioni necessarie per il funzionamento di tal sistema? Non si sa. «Queste cose io, qualora ce le avessi, non le darei mai, non ha senso per il mio tipo di mentalità», ha dichiarato Messina Denaro ai magistrati della Procura di Palermo durante gli interrogatori.

Perché la morte di Messina Denaro non è una vittoria dello Stato
Matteo Messina Denaro (Imagoeconomica).

L’”ultimo stragista” ci è stato consegnato in versione malata, stanca e arrendevole

Matteo Messina Denaro non ha parlato. Piovono oggi gli articoli di chi celebra la morte dell’ultimo mafioso dell’epoca stagista ma il non detto sotto traccia è che con Matteo Messina Denaro è morta la mafia. Ora ci aspettano i giorni delle cronache dei funerali a Castelvetrano dove la politica locale non vede l’ora di chiudere il capitolo, che non se ne parli più. Il fatto che dell’epoca stagista e degli anni bui italiani manchino ancora i mandanti pare una fissazione di qualche complottista. Fra i tanti segreti che il capomafia deceduto si è portato nella tomba c’è soprattutto quello riguardante l’archivio di Totò Riina, che secondo il pentito Nino Giuffré dopo la cattura del capo dei capi di Cosa nostra, nel gennaio del 1993, sarebbe stato consegnato al boss di Castelvetrano. L’allora giovane rampollo delle cosche trapanesi e il padrino corleonese erano molto legati. «Riina era maniacale nel mettere insieme e conservare tutti i documenti, prendeva appunti anche alle riunioni e li metteva da parte e quelle carte sono finite a Matteo Messina Denaro», ha affermato con convinzione il pentito Giuffré. Il testamento di Matteo Messina Denaro avrebbe dovuto essere il punto di svolta per chiarire la storia politica (oltre che mafiosa) di questo Paese ma l’arresto del boss è stato solo una passerella buona da rilanciare sui social. L’uomo “dai mille segreti” ci è stato consegnato in versione arrendevole, malata e stanca.

Lo Stato vincerà davvero contro la mafia quando farà luce sulle stragi

Mentre Matteo Messina Denaro moriva un ministro diceva pubblicamente che le intercettazioni non servono alle indagini di mafia «perché i mafiosi non parlano al telefono». Mentre Matteo Messina Denaro moriva un altro ministro della Repubblica sviliva il movimento antimafia attaccando «quello con la tonaca» (don Luigi Ciotti, fondatore di Libera) per qualche pugno di voti. Ora che Matteo Messina Denaro è morto useranno la ceralacca sulla loro “vittoria contro la mafia” fingendo di non sapere che la vittoria dello Stato starebbe nel fare luce sulle stragi, non nel festeggiare la morte di un esecutore. Muore Matteo Messina Denaro e festeggiano i mafiosi e con loro quelli che hanno sperato che non parlasse. Muore Matteo Messina Denaro e la normalizzazione è sempre più semplice da attuare.

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Toglietegli le scarpe

Ospite alla trasmissione “Diritto e rovescio” su quella Rete 4 che si professa “ripulita dal trash” e invece ha rovesciato il trash nel contenitore dell’informazione l’ex ministro dell’Inferno Matteo Salvini ha svelato la natura sua e di questo governo. Alla domanda del conduttore su come potrebbero trovare 5mila euro i migranti che sbarcano in Italia per poter pagare il racket di Stato previsto nella nuova mortifera norma, Salvini ha risposto letteralmente: molti arrivano con «telefonino, scarpe, catenina, orologino».

La frase è tecnicamente razzista – ovviamente – poiché chiede a una specifica “razza” di dimostrare la propria povertà adattandosi alla narrazione che la vorrebbe descrivere. Come ogni frase razzista pronunciata dai componenti di questo governo è anche profondamente ignorante: se Salvini si ritrovasse in condizioni di disperazione che lo costringono a partire per un lungo viaggio siamo sicuri che si procurerebbe delle scarpe per attraversare il deserto, per scavalcare i muri e le reti che i Salvini come lui gli farebbero trovare per strada e per scappare da cani e bastoni. Siamo anche sicuri che avrebbe un telefono per fare sapere alla sua fidanzata o alle sue ex mogli o ai suoi figli di essere ancora vivo e per verificare in quale parte d’Europa si trovi. Siamo anche sicuri che non lascerebbe a casa il suo rosario a cui è feticisticamente attaccato e che considera un portafortuna elettorale.

Siamo sicuri anche che se avesse studiato un po’ di Storia saprebbe che ai deportati della Shoah venivano tolte le scarpe come primo atto di spoliazione. Ciò che gli possiamo augurare è di non incontrare un ministro come lui.

Buon lunedì.

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Scafismo di Stato

Poiché questo non è un Paese con il cuore duro come certa stampa e certa politica si ostinano a raccontare ha suscitato un indignato clamore l’idea di inserire un pizzo di 4938 euro come “cauzione” per il richiedente asilo che non vuole essere trattenuto in un Cpr, almeno fino all’esito dell’esame del suo ricorso contro il rigetto della domanda.

Meloni aveva promesso di stanare gli scafisti e alla fine c’è riuscita: gli scafisti sono loro, senza bisogno di andare per tutto l’orbe terracqueo

L’hanno scritto all’interno di uno schifoso decreto che si ostinano a chiamare con il nome di una città in cui sanguinano ancora i corpi colpevolizzati da un ministro per il disturbo che hanno arrecato morendo. Quando si crede che non possano essere più disumani di così questa banda di sgherri che stanno al governo riescono a immaginarsi norme ancora più feroci.

La scelta oltre che disumana è anche stupida – come tutte le cose disumane – perché dimostra di non sapere assolutamente nulla di ciò che si promettono di governare: dover dimostrare la sostenibilità dell’accoglienza da parte di chi dovrebbe essere accolto è un imbecillità smisurata.

Ci sono poi alcune consonanze da sottolineare. Chiedere i soldi a un disperato perché possa pagarsi la speranza di salvezza è il modo dei trafficanti e degli scafisti. Richiedere il pagamento per ottenere un diritto è il modo tipico del racket mafioso.

Valutare l’accoglienza di qualcuno in base ai soldi che ha in tasca è la modalità tipica degli sfruttatori. Presumere che qualcuno possa sopravvivere alle violenze e alle sevizie di quei viaggi con dei soldi in tasca è da coglioni. Tutte caratteristiche condensate in una sola norma, un capolavoro. Giorgia Meloni aveva promesso di stanare gli scafisti e alla fine c’è riuscita: gli scafisti sono loro, senza bisogno di andare per tutto l’orbe terracqueo.

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La famiglia tradizionale in Rai e l’ossessione della destra per la cultura dominante – Lettera43

Il giornalista de L’Espresso Simone Alliva con mastodontica pazienza ha spulciato gli oltre 400 emendamenti piovuti sul nuovo contratto di servizio della Rai depositato in Vigilanza e ne ha trovato uno – pericolosamente curioso – firmato dai parlamentari di Forza Italia Roberto Rosso, Maurizio Gasparri, Rita Dalla Chiesa, Andrea Orsini. Si legge che la Rai dovrebbe impegnarsi, tra le altre cose, a dare «una rappresentazione positiva dei legami familiari secondo il modello di famiglia indicato dall’articolo 29 della Costituzione». Il modello di famiglia evocato tra le righe non è nient’altro che la cosiddetta “famiglia naturale” che Giorgia Meloni ormai da anni ci propina in ogni uscita pubblica immaginando un’istituzione messa in pericolo dal libertinaggio moderno, dagli omosessuali e dall’ideologia “gender” che nessuno della maggioranza è mai riuscito a spiegare cosa sia, ma che viene ossessivamente ripetuta come un mantra.

La famiglia tradizionale in Rai e l'ossessione della destra per la cultura dominante
Maurizio Gasparri (Imagoeconomica).

Definire il perimetro dei diritti per poterne escludere di nuovi

La “famiglia naturale e fondata sul matrimonio” sventolata dai prodi parlamentari è ovviamente usata nella sua natura escludente. Alla maggioranza non interessa dire concetti che già sappiamo e che sono incardinati nella storia del nostro Paese; a loro interessa rifiutare la modernità e definire il perimetro dei diritti per poterne escludere di nuovi, come hanno già ampiamente fatto con i figli della gestazione assistita che si sono ritrovati orfani per decreto o con le cosiddette “famiglie arcobaleno” ghettizzate nel cassetto dei respingenti contro natura che devono essere additati.

La televisione vista come mezzo principale della concimazione

L’emendamento però dice anche molto di più. Ci dice, per esempio, che come insegnò Silvio Berlusconi la televisione (soprattutto quella pubblica) viene vista come mezzo principale della concimazione di un comune sentire. Se “lo dice la televisione” che le famiglie buone sono quelle “naturali”, allora sarà vero. La pensano così al governo, ancorati alla credibilità della tivù come se non fossero passati questi ultimi 15 anni che hanno (con la collaborazione di partiti di tutti gli schieramenti) fracassato l’autorevolezza dei media. L’emendamento ci dice anche che la prima preoccupazione di questi che governano è quella di riuscire a instillare una cultura dominante, che è la loro vera ossessione, forse per un mai sopito complesso di inferiorità oppure perché la considerano una garanzia per preservare le proprie posizioni.

La famiglia tradizionale in Rai e l'ossessione della destra per la cultura dominante
Bruno Vespa durante una puntata dedicata a Silvio Berlusconi dopo la sua morte (Imagoeconomica).

Propaganda, guarda caso, come quella di Putin nel 2013

Come giustamente sottolinea Alliva, la proposta ha un’orribile consonanza con la legge che Vladimir Putin volle in Russia nel 2013, quando lo zar era ancora un mito per la presidente del Consiglio e per i suoi ministri. In quel caso Putin vietò la propaganda di qualsiasi forma di famiglia “non tradizionale”, non solo in televisione ma anche nelle produzioni cinematografiche e letterarie. In questo caso i parlamentari di Forza Italia devono avere pensato che i libri e i film siano arti troppo spicce per essere toccate. In effetti cominciare dalla televisione di Stato garantisce minori polemiche. L’importante è iniziare piano piano.

La famiglia tradizionale in Rai e l'ossessione della destra per la cultura dominante
La propaganda putiniana in tivù (Getty).

La vicinanza con i più retrogradi capi di governo in Europa

Si arriva così all’ultimo e più preoccupante lato della medaglia, cioè la vicinanza di Giorgia Meloni con i peggiori e più retrogradi capi di governo in Europa (e non solo). L’asse con Viktor Orban o con il premier polacco non è una gustosa scenetta da rilanciare sui social o, per gli avversari, da attaccare con il sorriso sulle labbra. Giorgia Meloni ha sempre ripetuto di ammirare quel tipo di politici per le loro politiche, per le loro scelte, per la durezza con cui circoscrivono i diritti. Non è una barzelletta. Meloni sa benissimo che non potrebbe da un giorno con l’altro imporre decisioni che solleverebbero una protesta popolare che finirebbe per travolgerla, ma sa benissimo anche che occorre un logorio lento e paziente che possa rendere potabile ciò che oggi apparirebbe scandaloso. Imporre alla Rai di suggerirlo è un granello di un progetto molto più ampio, che passa dall’indignazione per il libro del generale Vannacci alla sostituzione etnica del cognato ministro e alla lunga sequela di improvvide uscite dei suoi compagni di partito e di governo. Non sarà facile, non sarà breve, ma sono convinti di poterci riuscire. Anche con un emendamento sul contratto Rai che di fatto mette fuori dal perimetro la stessa Meloni, che incidentalmente non è sposata. Quindi non “naturale”.

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Altro che invasione, i minori accolti in Italia sono appena 21mila. I numeri in un report del Garante. Smontata un’altra balla del governo

Tra i “terribili invasori” che spaventano il governo Meloni e attivano i suoi ministri ci sono più di 21 mila minori non accompagnati, bambini e bambine, ragazzini e ragazzine che per l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza, guidata da Carla Garlatti, non sono “solo numeri, ma persone che hanno bisogni, speranze e paure” e che hanno bisogno di “un sistema di accoglienza strutturato e non emergenziale”.

La garante ha incontrato negli scorsi mesi i ragazzi ospitati nelle strutture del Sistema di accoglienza e integrazione (Sai) gestite dai comuni di Amelia (Terni), Aradeo (Lecce), Bologna, Cremona, Pescara e Rieti. Le visite sono state realizzate in collaborazione con l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), il Servizio centrale, struttura di coordinamento del Sai, l’Agenzia dell’Onu per i rifugiati (Unhcr) e Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (Unicef).

Il rapporto

Dal ciclo di incontri è scaturita la pubblicazione “Ascolto e partecipazione dei minori stranieri non accompagnati come metodologia di intervento”, che riporta il punto di vista dei ragazzi e formula nelle conclusioni una serie di raccomandazioni.

“Non c’è più tempo da attendere per completare l’attuazione della legge 47/2017 – dice Garlatti – il sistema di prima accoglienza deve essere realizzato in maniera strutturale e non più come risposta alle emergenze che di volta in volta si presentano. È inoltre urgente adottare il decreto che disciplina il primo colloquio del minorenne che fa ingresso sul suolo italiano: è un passaggio che si attende dal 2017 e che è fondamentale per assicurare i diritti del minore e per aiutarlo a raggiungere in maniera celere e sicura la sua destinazione”.

“A ogni ragazzo devono essere assicurati tre diritti: la presunzione di minore età, la collocazione in una struttura riservata esclusivamente ai minori e un tutore volontario”. Secondo il report è indispensabile velocizzare le procedure amministrative per ottenere il permesso di soggiorno e rendere uniformi le prassi su tutto il territorio nazionale.

I ragazzi oggi devono aspettare anche sei mesi prima di avviare un percorso di inserimento e questo genera ansie, timori, frustrazioni, oltre che una più generale incomprensione dei meccanismi burocratici. Occorre garantire la presenza, in ogni fase del percorso, di un mediatore culturale che possa colmare le difficoltà di comprendere le procedure e la loro “paura di tornare indietro”.

Tutore volontario

Per le stesse ragioni va assicurata la tempestiva nomina del tutore volontario. Quello della nomina del tutore resta un aspetto critico.

Dall’ascolto dei minori è emerso infatti che ci sono ancora casi nei quali, per la scarsità dei volontari, i tribunali per i minorenni attribuiscono la tutela a sindaci o ad avvocati. Si tratta di figure che, occupandosi di un numero elevato di minori, non possono costituire un reale punto di riferimento nel percorso di integrazione.

Per promuovere “un effettivo processo inclusivo è inoltre fondamentale creare occasioni di socializzazione e aggregazione con la comunità” e agevolare l’apertura di un conto corrente bancario intestato al minore straniero, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme vigenti.

Solo due giorni fa è rimbalzata la notizia del sindaco di Muggia, in provincia di Trieste, che si è ritrovato due minorenni afghani non accompagnati che ha lasciato dormire in un ex studio medico abbandonato “Dove non c’è nemmeno l’acqua”, come ha raccontato il sindaco leghista Paolo Polidori, rimasto in auto tutta la notte per sorvegliarli. I sindaci da mesi lamentano la completa disorganizzazione e lo stato di abbandono in cui si ritrovano a gestire la delicata situazione dei minori non accompagnati.

“Il modo in cui un Paese decide di organizzarsi per proteggere i minori non accompagnati dice molto sul livello complessivo di attenzione alle fragilità e ai minori”, dice il sindaco di Prato, Matteo Biffoni, delegato Anci all’immigrazione e politiche per l’integrazione.

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