Anche a Gallarate c’è un sindaco leghista che (come capita spesso, sempre di più, purtroppo non solo tra i leghisti) sa fare politica solo rovistando tra le macerie. È quel sindaco, per chi se lo fosse perso, che si fece fotografare tutto satollo mentre pagava il biglietto ad alcuni migranti a cui non era stata accettata la richiesta d’asilo per “mandarli al Milano al sindaco Sala”. So che sembra incredibile ma è accaduto davvero. Del resto dal ministro dell’inferno in giù anche i rimpatri (come la sicurezza, i porti chiusi e la voce grossa contro l’Europa) sono solo slogan privi di senso: fingono di risolvere le emergenze spostando pattume da un angolo all’altro per mostrarsi operosi, indifferenti del fatto che nei loro pacchi ci siano anche delle persone.
C’è da scommettere che il sindaco Andrea Cassani in queste ore starà festeggiando quel Decreto Sicurezza che crea emergenza per incutere paura e proporsi poi di nuovo come unica soluzione. Un trucco da prestigiatori dilettanti che contribuirà a mungere la bomba sociale determinando un enorme spreco di risorse umane e materiali per cancellare di fatto qualsiasi tentativo di integrazione e marginalizzare ancora di più (attenzione: mica risolvere, marginalizzare) gli indifesi. Creare macerie chiamandole pulizia. Come le ruspe, appunto.
Non potendo aspirare a azioni di governo il sindaco di Gallarate ultimamente si è dedicato anima e corpo allo smantellamento di un campo sinti in città. Ha cominciato con la rimozione di un container che ospitava il doposcuola per i ragazzi del campo (il binomio “straniero+cultura” effettivamente è qualcosa che fa esplodere il cervello, ai leghisti) e ha continuato sgomberando il tutto, con ruspe ovviamente in bella vista, ovviamente senza preoccuparsi di trovare nessuna soluzione. Al solito: fanno deserto e la chiamano pace, com’è nel costume degli inetti. Tra l’altro l’azione di propaganda è costata (per ora) 49mila euro che sono stati tolti alla “manutenzione ordinaria degli immobili comunali”, contravvenendo totalmente l’antico adagio del “prima gli italiani”.
Ieri mentre le ruspe continuavano la loro opera di demolizione una volontaria è uscita con uno scatolone in mano e gli occhi lucidi. Aveva appena preso in consegna un pacco preparato da una ragazzina del campo, che frequenta con ottimi risultati le scuole medie in città. Temendo lo sgombero ha recuperato tutti i libri di scuola e li ha ordinatamente rinchiusi in una scatola. «Salvate i miei libri per favore, non voglio vengano distrutti dalle ruspe», ha detto ai volontari che cercano di salvare il salvabile.
Ed è un gesto piccolo, un evento minimo, che risuona più delle lamiere che si accartocciano intorno: in un tempo di frastuoni e di azioni che durano il tempo di essere strillate in un tweet lei, una ragazzina, ha ancora uno sguardo lunghissimo, così diverso dalla miopia fessa delle persone che ne governano la vita, e vede nei libri il suo riscatto possibile al di là delle macerie. Ed è un bel mondo, in futuro, immaginato così.
Buon giovedì.
Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui https://left.it/2018/11/29/per-favore-salvate-i-miei-libri-dalle-ruspe/ – e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.