“Nel processo Falcone c’è un aereo nel cielo che vola mentre scoppia la bomba: questo aereo non si può trovare di chi è, e così si condanna Riina perché fa comodo. E il processo Borsellino? Lì sul monte Pellegrino c’è l’hotel con i servizi segreti, quando scoppia la bomba i servizi scompaiono, però non vengono mai citati perché si condanna Riina, perché l’Italia è combinata così”.
Le parole sono di Salvatore Riina durante il processo di Firenze, pronunciate il 10 marzo 2009, quattro anni fa che sembrano un’era geologica tenendo conto degli sviluppi giudiziari sui rapporti tra Cosa Nostra e Stato.
Sarà forse che in questi ultimi anni (ancora prima di quel 2007 e quella deposizione) abbiamo girato l’Italia per svestire Riina dal patetico vestito del boss come principe nero per mostrarlo in tutte le sue miserevoli nudità (intellettuali, prima che pelose) ma il prurito curioso che in questi giorni si leva per qualche bisbiglio del boss rinchiuso ad Opera è patetico almeno quanto lui.
Riina in questi anni ha parlato a chi doveva parlare, ha dichiarato più volte di essere stato un ingranaggio di un meccanismo molto più grande che comprendeva alte sfere dello Stato (“l’ammazzarono loro” disse riferendosi a Paolo Borsellino), agli uomini di Stato disse “guardatevi dentro anche voi” e fece intendere di essere stato “tradito” e “venduto” in occasione del suo arresto. Riina dunque è loquace da tempo, molto più di quanto torni utile a chi vorrebbe sensazionalizzare qualche sua parola per alimentarne la lontananza e il mito: gli ingredienti perfetti per mantenerlo senza luogo e senza tempo nella teca dei cattivi. Vorrebbero farci dimenticare che Riina è lo stesso che a colloquio con il figlio in carcere ebbe a dire che “Schifani era una mente” o che i comunisti erano “un problema contro lo Stato”.
Il problema non è il piccolo Totò che ciclicamente parla ma tutto intorno il Paese che non lo ascolta o, peggio ancora, che lo alleva nel pascolo dei cattivi per un buon editoriale all’anno.
Eppure senza riinafobia lo spartito sarebbe più chiaro e più popolare, facendo a meno della poesia, e Riina apparirebbe più contemporaneo e lucido di quelli che vorrebbero analizzarlo.