Lo sciopero generale del 29 novembre 2024 contro la manovra Meloni fotografa perfettamente come il diritto di sciopero stia subendo una progressiva erosione. Non è retorica, ma cronaca: la Commissione di garanzia ha imposto una riduzione da otto a quattro ore per il trasporto passeggeri, ha chiesto la revoca totale nel trasporto ferroviario, nella sanità e per il personale del ministero della Giustizia. Il paradosso è che lo sciopero generale, per sua natura, dovrebbe godere di una disciplina speciale con procedure di vantaggio rispetto agli scioperi settoriali. Invece assistiamo a un doppio binario: da un lato le norme speciali che lo tutelano, dall’altro una serie di limitazioni concrete che ne riducono l’efficacia. I fatti parlano chiaro: per scioperare nei servizi pubblici essenziali oggi servono più passaggi burocratici, più autorizzazioni, più cavilli da rispettare.
Quando un’azienda chiude, quando non vengono rinnovati i contratti nazionali, quando gli stipendi non vengono pagati, i lavoratori si trovano davanti a una giungla di vincoli che rende sempre più complesso l’esercizio di un diritto costituzionale. Non solo: mentre i lavoratori perdono una giornata di stipendio per protestare, il meccanismo delle precettazioni viene utilizzato con frequenza crescente. La stessa Commissione di garanzia, nata per garantire l’equilibrio tra diritto di sciopero e servizi essenziali, viene accusata dai sindacati di “obbedire ai diktat” politici, come denunciano i segretari Landini e Bombardieri. La domanda è semplice: può un diritto costituzionale essere progressivamente svuotato attraverso vincoli amministrativi e burocratici sempre più stringenti? I numeri e i fatti ci dicono che è esattamente quello che sta accadendo.
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