L’ospedale di Prevalle, nel Bresciano, dal 15 luglio all’8 settembre sospenderà la Rsa aperta, chiuderà il day hospital Alzheimer e ridurrà i posti letto per le cure palliative. Non è una eccezione, ma solo l’ultimo caso emerso. Per garantire un periodo di riposo a medici e operatori si è costretti a interrompere il servizio. Sintomo di un sistema nazionale al collasso che non riesce più ad assicurare il principio di equità.
Dal 15 luglio all’8 settembre l’ospedale di Prevalle, in provincia di Brescia, sospenderà la Rsa aperta, chiuderà il day hospital Alzheimer e ridurrà i posti letto per le cure palliative. Due mesi di vuoto, giustificati dalla necessità di garantire le ferie estive al personale sanitario. Il problema non sono le ferie. Il problema è che per garantirle si ferma tutto. E quando si ferma tutto, a rimanere senza assistenza sono i malati neurodegenerativi, i pazienti terminali, gli anziani non autosufficienti. La notizia, pubblicata dal Quotidiano Nazionale e ripresa dai sindacati, è più di un caso locale. È una radiografia del Servizio sanitario nazionale: organici ridotti all’osso, pianificazione assente, reparti che saltano appena si sposta un turno.

Per i sindacati dietro le motivazioni dell’Asst del Garda c’è una struttura «al collasso»
L’Azienda Socio Sanitaria Territoriale (Asst) del Garda ha spiegato la decisione con una motivazione formale: ferie contrattualmente dovute. Ma i sindacati Cgil e Uil hanno parlato apertamente di una struttura «al collasso», dove la chiusura è solo il sintomo finale. Se per garantire le ferie bisogna sospendere i servizi essenziali, allora le ferie sono solo la copertura di un deficit strutturale. Le assenze sono prevedibili, le ferie sono note da mesi. Se il sistema va in tilt, è perché non regge nemmeno l’ordinaria amministrazione. Il personale è insufficiente, il ricorso ai gettonisti è ormai la norma, i turni sono insostenibili e le dimissioni aumentano. Si tappano i buchi con contratti esterni pagati a caro prezzo, si rinviano le assunzioni, si ignorano i concorsi. Poi arriva luglio, e l’unica soluzione è chiudere.
A determinare la chiusura dei reparti non è l’evento imprevedibile, ma il minimo imprevisto
Prevalle non è un’eccezione. È solo il caso emerso. A Calcinato, sempre in provincia di Brescia, un ambulatorio medico è rimasto chiuso per mesi per la mancata sostituzione di un medico andato in pensione. In una località del Sud Italia un’intera Radiologia è stata sospesa perché l’unica radiologa è entrata in maternità. Nessuna sostituzione. Ad Asiago è stato chiuso un punto nascita per mancanza di anestesisti. In Sicilia, d’estate, molti reparti pediatrici e cardiologici riducono l’attività per carenza di personale. Nei pronto soccorso delle aree remote si chiude a rotazione nei weekend. Non sono emergenze. Sono la norma. A determinare l’interruzione non è l’evento imprevedibile, ma il minimo imprevisto: una malattia, un congedo, una pensione. O, nel caso di un macchinario rotto, l’impossibilità di sostituire un pezzo di ricambio in tempi utili. L’intero sistema si regge sull’equilibrio instabile tra sotto organico, inerzia burocratica e silenzi.

I bisogni sanitari restano e si scaricano sui pronto soccorsi, sui medici rimasti e sulle famiglie
La sospensione dei servizi non cancella i bisogni sanitari. Li scarica su altri. Su strutture già sovraccariche. Sui pronto soccorso. Sui medici rimasti. E soprattutto sulle famiglie. I sindacati lo denunciano: in assenza del day hospital Alzheimer e della Rsa aperta, i pazienti restano a casa. E chi li assiste, spesso, è un familiare impreparato, esausto e lasciato solo. Per i malati cronici e terminali, la continuità della cura è una necessità. Ogni interruzione è un rischio. Non solo per la salute, ma per la tenuta emotiva e logistica di chi si occupa di loro. Un centro chiuso non è un disagio. È una condanna al peggioramento. Un passaggio forzato verso l’ospedalizzazione d’urgenza, quando l’urgenza poteva essere evitata.
Chi se lo può permettere ricorre al privato, gli altri aspettano o rinunciano
A determinare se un cittadino riceverà cure adeguate non è la sua condizione clinica, ma il luogo in cui abita. Le zone periferiche, montane o economicamente deboli sono quelle più colpite. Dove mancano attrattive o opportunità, mancano anche medici. E dove il pubblico si ritira, avanzano disuguaglianze. I cittadini che possono permetterselo si rivolgono al privato. Gli altri aspettano o rinunciano. L’Asst del Garda non ha indicato alcuna soluzione alternativa per i pazienti che perderanno l’accesso ai servizi estivi. Nessun trasferimento garantito, nessuna rete di supporto. Il vuoto è annunciato, ma non colmato. Chi ha bisogno, si arrangi. La sanità pubblica, pensata come sistema universale, sta diventando un insieme di offerte intermittenti. Non esiste più un diritto alla cura continuativa, ma una prestazione se e quando c’è personale. Se c’è personale, si apre. Se il personale va in ferie, si chiude. Il razionamento sanitario oggi non viene dichiarato. Avviene per assenza. Non si dice «a te non toccherà la cura», si dice «il servizio non è disponibile». Non si decide chi curare: si elimina la possibilità. È una forma di razionamento silenzioso, subdolo. Una selezione indiretta fondata su disponibilità casuale, posizione geografica e capacità individuale di insistere.

Il sistema sanitario non muore per una riforma ostile. Muore per abbandono
Il principio di equità viene abbandonato senza proclami. Si smantella per logoramento. A ogni chiusura, un pezzo del servizio pubblico sparisce senza fare rumore. Fino al giorno in cui anche chi poteva contare su un presidio sotto casa scopre che non c’è più. Ogni interruzione alimenta la sfiducia. Chi ha bisogno di cure comincia a dubitare. Chi lavora nella sanità comincia a cedere. E chi gestisce il sistema, spesso, si rifugia dietro comunicati neutri e responsabilità diffuse. Ma la neutralità delle parole non basta a coprire il senso di tradimento. L’idea di una sanità garantita a tutti è ancora scritta nella legge, ma viene disattesa nei fatti. Il sistema sanitario non muore per una riforma ostile. Muore per abbandono.
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