Vale la pena leggere Alessandro nel suo post di oggi per dare un senso ai “corvi” o ai “gufi” di questi giorni che vengono superficialmente bollati come sempiterni sconfitti:
Prendete il concetto di vittoria, di cui oggi molto si parla dopo tanti anni in cui ha prevalso la subcultura dello sconfittismo: un’emancipazione mentale da accogliere con entusiasmo, quindi, purché però ci si intenda sul suo significato. Le colonne dei giornali e le librerie sono infatti piene di editoriali e di saggi che spiegano alla sinistra che per vincere deve diventare di destra: convertirsi alle regole del pensiero mainstream neoliberista, andare alla ricerca dell’accordo con le “forze moderate” o diventare direttamente tali. Ma la vittoria non è un fine in sé: è un strumento per trasformare la realtà. Se si vincono le elezioni ma poi non si cambiano in meglio le cose, è esattamente come averle perse: quindi l’altra faccia dello sconfittismo. La vittoria è invece un mezzo, non uno scopo slegato dalle sue conseguenze. Basti pensare al Regno Unito, dove le ripetute vittorie del New Labour blairiano non hanno invertito la tendenza alla ridistribuzione della ricchezza verso l’alto: il che, per la sinistra, è evidentemente una sconfitta.