Come previsto, i giornali piccoli, medi e grandi si sono buttati a pesce sul ministro della Cultura Alessandro Giuli, che molto scenograficamente annuncia con largo anticipo la sua assenza alla serata finale del Premio Strega. La polemica prêt-à-porter punta sulla presunta lamentela del ministro, che non avrebbe ricevuto i libri finalisti. La battuta del ministro che vorrebbe i “libri gratis” è un calcio di rigore a porta vuota. Forse avremmo potuto discutere di una classe di governo che pretende di essere adulata, protagonista nelle occasioni in cui presenzia, rispondendo con un connaturato revanscismo a chi non si inchina.
Eppure una notizia di cui discutere ci sarebbe, già cotta per un dibattito culturale vero, quello che interroga sull’industria editoriale italiana e il suo indotto. Un’ex allieva della Scuola Holden di Torino ha raccontato la sua esperienza e i suoi ventimila euro investiti (meglio, spesi) per un corso di storytelling che le ha lasciato più ferite che esperienze. Le reazioni che ha suscitato sono uno zibaldone di generi letterari contemporanei, dallo snobismo dei rabdomanti di invidia, al paternalismo sminuente (viene facile, è pure femmina), passando per gli strumentalizzatori che vorrebbero usarla come clava contro la parte politica avversaria.
L’accademia di storytelling ha risposto con un imbarazzante video, scomparso per il disagio che colava tra i commenti. Sarebbe stato un dibattito sulle “dinamiche di selezione elitarie, informali, opache” ma le riflessioni sono sulla testimone e non sulla testimonianza: il più elementare errore di chi si prende cura delle storie. Un’altra occasione persa.
Buon giovedì.
Il ritratto del ministro Alessandro Giuli è tratta da wikipedia commons