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L’odio disumano contro Luna, la volontaria che ha osato abbracciare un migrante

È così ogni giorno di più, dentro una gola in cui si è scivolati usando le parole come coltelli e fingendo di non sapere che le parole contribuiscono a creare un clima. Viene difficile perfino scriverlo, che una foto di una volontaria della Croce Rossa, Luna Reyes a Ceuta, ha incendiato un conato di odio, di offese, di cattivismo e di minacce.

Siamo in questo tempo qui, in cui un abbraccio di una volontaria e un derelitto appena scampato dal mare provoca le reazioni isteriche di una società incivile e incattivita, in giro tutto il giorno con i denti di fuori a cercare una preda più disperata di loro da poter azzannare, pensando di lenire la propria disperazione.

“Vedeva che stavano ributtando in acqua gli altri e voleva uccidersi. L’ho cercato di calmare, continuava a piangere… gli ho dato dell’acqua”, ha spiegato Reyes alla televisione Rtve.

Luna Reyes è stata sommersa dall’odio e dalle minacce, costretta a scappare dai social per non soffocare con tutta quella merda che le è arrivata addosso. Soccorrere un bisognoso sta scritto nelle Costituzioni di tutto il mondo, sta scritto nei testi sacri di tutte le religioni ed è un categorico imperativo morale che viene ripetuto in tutte le buone educazioni, eppure questo è il tempo in cui essere umani già significa avere esagerato con la bontà, con il “buonismo” come lo chiamano i feroci falliti che bevono odio perché solo nell’odio riescono a racimolare una propria identità.

Questo nostro tempo sarà ricordato come l’epoca dei lupi, lupi affamati che ringhiano in gabbia pregando che un nemico riempia il loro stomaco, che abbaiando passi la loro paura. E per perdonarci istituiremo ancora più giornate della memoria. Ululeremo una giornata della memoria al giorno per sentirci assolti.

Bisognerete avere anche il coraggio di dirci che questi odiano i disperati perché sono disperati che sperano di evitare di guardarsi, calpestando le disperazioni degli altri. Si consolano professando una Patria che non esiste, per loro solo l’Io è la loro patria, rancidi in un sovranismo che è largo al massimo lo spazio che c’è tra il loro stomaco e i loro sfinteri.

Odiano il bene perché sono incapaci di farlo, di elaborarlo, di pensarlo e rantolano nella loro miseria che possono solo sputare sotto forma di odio. Se questo è un tempo in cui un abbraccio riesce a sollevare tutta questa marea nera, però, significa anche che con gesti minimi ci si può prendere la responsabilità di fare la propria parte in questa battaglia. Pensateci: è anche un’occasione per parteggiare facilmente, decidere da che parte stare, basta un abbraccio.

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Il Covid blocca anche le adozioni: 500 bambini non possono andare dalle loro nuove famiglie

L’epidemia porta con sé storie nascoste nelle pieghe che bisogna andare a cercare e che nascondono difficoltà che rimangono sotto traccia. In Italia in questo momento ci sono 500 famiglie che attendono il proprio figlio. Sono famiglie che dopo un lungo percorso sono riuscite ad accedere all’adozione internazionale e che nonostante abbiano già ottenuto l’abbinamento, un percorso sfiancante dal punto di vista burocratico e affettivo, non riescono ad abbracciare i propri figli a causa dei blocchi tra Paesi.

La psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi, con un intervento sul settimanale Oggi scrive chiaramente cheper quei bambini attendere ancora significa nuovamente sperimentare un rifiuto che inconsciamente conoscono e consciamente li opprime”. Hanno conosciuto i genitori – spiega la Parsi – scambiando abbracci e pronunciando parole in lingue diverse, nel nome di un nascente amore, di una nascente, reciproca fiducia e speranza di diventare famiglia. Quei bambini sono stati fin dalla nascita segnati da distacchi e da traumatiche esperienze che li hanno separati dalle madri che li hanno messi al mondo. Hanno vissuto in istituti con altri bambini o in famiglie di accoglienza”.

Il presidente di Ai.Bi. – Amici dei Bambini Marco Griffini racconta che l’ex vicepresidente della Commissione per le Adozioni Internazionali aveva parlato di “corsie preferenziali” per superare il blocco causato dell’epidemia: serve un accordo urgente con i Paesi di provenienza, di concerto con tutti i Paesi europei per riuscire a sbloccare la situazione. “Questo è un problema urgente che non riguarda solo i 500 bambini italiani già abbinati, che, bisogna ricordarlo, sono già dei potenziali cittadini italiani”, ha aggiunto Griffini.

“C’è un numero spropositato di bambini orfani a causa del Coronavirus e quindi vanno studiate e applicate assolutamente delle nuove modalità di gestione delladozione internazionale”. E la memoria va a quando il Governo si attivò, era il 2014 con la ministra Boschi, per sbloccare la situazione di 31 bambini in Congo. Un padre sulla pagina Facebook “Un bimbo mi aspetta” scrive: “Continuo a essere convinto di questa scelta, ma ora mi faccio delle domande, perché il tempo per far ripartire le cose c’è stato. Mi rendo conto che un genitore adottivo non muove il mercato di un campionato di calcio. Mi rendo conto che cerano altre priorità (ci sono sempre altre priorità quando si parla di adozione). Ma abbiamo trovato il tempo di andare in vacanza, riaprire i campionati di calcio, spostare turisti e merci. Siamo riusciti a mettere in piedi un turno elettorale. E non siamo riusciti a unire duecento famiglie. Ogni tanto si spera che l’adozione possa essere “veloce” come un abbandono. Anche in tempi di Covid.

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