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Migliori anche a leccare chi viola i diritti umani

Ieri il presidentissimo Mario Draghi si è recato in Libia. Ogni volta che qualche esponente di qualche nostro governo passa dalla Libia non riesce a evitare di tornare con le mani sporche di sangue per un qualsiasi atteggiamento riverente verso i carcerieri sulle porte d’Europa, come se fosse una tappa obbligata per poter frequentare i salotti buoni per l’Europa e anche il “migliore” Draghi è riuscito a non stupirci rivendicando con orgoglio l’amicizia, la stima e la vicinanza ai libici che violano i diritti umani. Ogni volta è stupefacente: negare la realtà di fronte ai microfoni della stampa internazionale deve essere il risultato di un corso speciale che viene inoculato ai nostri rappresentanti. E ogni volta fa schifo.

«Sul piano dell’immigrazione noi esprimiamo soddisfazione per quello che la Libia fa nei salvataggi e nello stesso tempo aiutiamo e assistiamo la Libia», ha detto ieri Draghi, con quella sua solita soffice postura con cui ripete le stesse cose dei suoi predecessori aggiungendoci un filo di zucchero a velo. Sarebbe curioso chiedere a Draghi cosa si intenda esattamente per “salvataggio” poiché i libici (questo è un fatto accertato a livello internazionale) si occupano principalmente di respingimenti, di riportare uomini e donne nei lager dove continuano le torture, gli stupri e lo schiavismo, poiché i libici sono quelli che il 10 ottobre del 2018 hanno sparato a una motovedetta italiana, poiché i libici sono gli stessi che il 26 ottobre 2019 hanno sparato sulla nave Alan Kurdi per impedire il soccorso dei migranti, poiché i libici sono gli stessi che il 28 luglio dell’anno scorso hanno sparato contro i migranti uccidendone 3. Solo per citare qualche esempio, ovviamente, dato che quel pezzo di mondo e di mare continua a rimanere sguarnito, anche questo per precisa volontà politica.

Caro presidente Draghi, siamo contenti che lei si senta barzotto per questo tipo di salvataggi ma le auguro di non essere mai “salvato” così. Del resto legittimare quella combriccola di assassini che vengono educatamente chiamati Guardia costiera libica è un esercizio retorico che dura da anni: anche su questo il governo dei migliori continua spedito. Considerare la Libia un partner affidabile significa accettare la sistematica violazione dei diritti umani: come si chiamano coloro che elogiano in pubblico un’attività del genere facendola passare per doverosa? Ognuno trovi comodamente la risposta.

E mentre Draghi si è occupato di proteggere gli affari dell’italiana Eni in Libia, di farsi venire l’acquolina in bocca per l’autostrada costiera al confine con Bengasi (che riprende il tragitto della strada inaugurata nel 1937 da Benito Mussolini e conosciuta anche come “via Balbia”, evocando le azioni di Italo Balbo), di continuare a foraggiare la Guardia costiera libica per essere il sacchetto dell’umido dell’umanità nel Mediterraneo e di riassestare e ristrutturare la Banca centrale libica, i diritti e i dolori delle persone rimangono sullo sfondo come semplice scenografia dei barili di petrolio per cui i canali sono invece sempre aperti.

Del resto secondo il leader libico Abdul Hamid Dbeibah, Italia e Libia «soffrono e devono affrontare una sfida comune che è l’immigrazione clandestina, un problema che non è solo libico ma internazionale e riguarda tutti, come il terrorismo e il crimine organizzato». Solo che in questo caso sono chiarissimi gli autori di questo “problema”: Libia, Europa, Italia e la nuova spinta di Mario Draghi.

L’eccelso Mario Draghi insomma è il vassoio di cristallo delle solite portate, schifose uguali ma dette con più autorevolezza: avrebbe dovuto essere “il competente” e invece non è riuscito nemmeno a leggere un rapporto dell’Onu prima di andare in gita. E ovviamente non ha nemmeno fatto un giro nei campi di concentramento, non sia mai, si sarebbe sporcato il polsino.

Buon mercoledì.

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Il mio #buongiorno lo potete leggere dal lunedì al venerdì tutte le mattine su Left – l’articolo originale di questo post è qui e solo con qualche giorno di ritardo qui, nel mio blog.

Aiutiamo i ladroni a casa loro

Due anni e sei mesi di reclusione a Umberto Bossi, l’ex leader della Lega Nord,  e quattro anni e dieci mesi a Francesco Belsito, l’ex tesoriere, con l’interdizione dai pubblici uffici per cinque anni: è questa la condanna che è stata inflitta dal Tribunale di Genova per truffa ai danni dello Stato agli ex maggiorenti della Lega Nord.

La Lega Nord, dice la sentenza, avrebbe usato 48 milioni di euro di finanziamento pubblico ai partiti per uso personali. 48 milioni di euro, finanziamento pubblico ai partiti: questi che erano nati sull’onda delle monetine contro Craxi e che avrebbero dovuto moralizzare l’Italia sono andati a Roma (padrona, come dicono loro) e hanno cominciato a mangiare come porci.

Attenti: questo processo non c’entra nulla con quello della famiglia Bossi. Qui ci sono dentro anche i tre ex revisori contabili del partito Diego Sanavio, AntonioTurci e Stefano Aldovisi (condannati a due anni e otto mesi l’uno,  e due anni e otto mesi e un anno e nove mesi l’altro) e i due imprenditori Paolo Scala e Stefano Bonet (cinque anni ciascuno). Tutti sono accusati di truffa.

I soldi, dice la sentenza, sarebbero stati portati anche a Cipro e in Tanzania. Riciclati. Ovviamente. E Salvini? Sulla sua bacheca di Facebook (sembra uno scherzo, ma è così) se la prende con un immigrato da rispedire in Guinea (per presunti atti di autoerotismo, una di quelle notizie che poi si rivelano false nove volte su dieci), si immola per salvare Giletti dalla cacciata dalla Rai, dice al rapper Tommy Kuti che «la cittadinanza non si regala, si conquista» in merito allo ius soli, e promette di RIPULIRE l’Italia.

Sul suo partito ladro, nulla. Nulla. Nemmeno sui 48 milioni che la Lega (eh, sì, udite bene, la Lega) deve restituire alla Camera e al Senato. Perché gli avvoltoi sono così: fanno i forti con i deboli ma poi balbettano se si tratta degli affari di famiglia. Già.

Buon martedì.

(continua su Left)