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Alberto Asor rosa

Ma sul serio glielo lasciamo fare?

Vale la pena stamattina leggere il post di Leonardo che, con coraggio, parte dalla vecchia proposta di Asor Rosa di ripristinare con la forza la democrazia e rilancia:

Tutto quello che è successo, un istante dopo che è successo, ci è parso inevitabile; e adesso con chi dovremmo prendercela? Con Berlusconi? Ma Berlusconi non poteva che comportarsi così, è la sua natura: come lo scorpione che non può non pizzicare la rana, B. doveva prima o poi affossare questo governo. Potremmo prendercela con Enrico Letta. Ma anche la rana in fondo non poteva che comportarsi così: la sua unica chance era imbarcare lo scorpione e convincersi che sarebbe andato tutto bene. Era il suo ruolo e, per quanto ridicolo, lo ha portato avanti con un certo stile. Letta avrebbe potuto fare più o meno di quello che ha fatto, e tutto questo sarebbe successo ugualmente: lo sapevamo. Magari ignoravamo la goccia che avrebbe sbilanciato i piattini in equilibrio così precario (la sentenza della Cassazione) – ma in coscienza come potevamo sperare che il governo durasse molto di più?

È uno dei “l’avevamo detto” più dannoso della nostra democrazia.

Se scompare il popolo

Al­l’i­ni­zio del de­gra­do ci so­no la cri­si del­la po­li­ti­ca e la ca­ta­stro­fe dei par­ti­ti di mas­sa fra gli an­ni ’80 e i ’90. Le ha aper­to la stra­da, e pro­prio nel­lo spe­ci­fi­co sen­so che stia­mo usan­do, la pre­cor­ri­tri­ce, de­va­stan­te av­ven­tu­ra cra­xia­na. Poi è in­ter­ve­nu­ta, par­ten­do esat­ta­men­te da lì den­tro (an­che in sen­so stret­ta­men­te so­cio­lo­gi­co) e for­nen­do al tem­po stes­so al­la po­pu­la­ce una mi­ria­de di mo­del­li as­so­lu­ta­men­te sim­pa­te­ti­ci e imi­ta­bi­li, la lun­ga fa­se ber­lu­sco­nia­na. In­fi­ne, più re­cen­te­men­te, è so­prav­ve­nu­ta, in ma­nie­ra for­se ina­spet­ta­ta ma non ir­ri­le­van­te, una for­te com­po­nen­te neo-ve­te­ro­fa­sci­sta: il fa­sci­smo, quel­lo au­ten­ti­co, è sem­pre sta­to por­ta­to­re di una di­spo­ni­bi­li­tà cor­rut­ti­va pro­fon­da.
Il ri­sul­ta­to è sta­to de­va­stan­te: il po­po­lo ita­lia­no si è di­sgre­ga­to in una se­rie di fram­men­ti, spes­so con­trap­po­sti fra lo­ro e ognu­no al­la ri­cer­ca del­la pro­pria per­so­na­le, in­di­vi­dua­le e/o set­to­ria­le ri­cer­ca di af­fer­ma­zio­ne, di de­na­ro e di po­te­re (esi­ste an­che una va­rian­te lo­ca­li­sti­ca di ta­le dis­so­lu­zio­ne, gra­vi­da tut­ta­via an­ch’es­sa di fat­to­ri di cor­rut­te­la: il le­ghi­smo ne rap­pre­sen­ta il frut­to e l’in­ter­pre­te più au­ten­ti­co).
Dal­lo spap­po­la­men­to e dal­la scom­po­si­zio­ne del­la “fi­gu­ra po­po­lo”, e di co­lo­ro che per un cer­to pe­rio­do di tem­po ave­va­no più o me­no le­git­ti­ma­men­te pre­te­so di as­su­mer­ne la rap­pre­sen­tan­za, è emer­so un nuo­vo ce­to so­cia­le, il re­si­duo im­mon­do che so­prav­vi­ve quan­do tut­to il re­sto è sta­to di­ge­ri­to e con­su­ma­to. Il ve­ro, gran­de pro­ta­go­ni­sta del­la cor­ru­zio­ne ita­lia­na è que­sto ce­to so­cia­le, una clas­se ti­pi­ca­men­te in­ter­sti­zia­le, frut­to del­lo spap­po­la­men­to o del­l’e­mar­gi­na­zio­ne o del vo­lon­ta­rio mu­ti­smo del­le al­tre, pri­va as­so­lu­ta­men­te di cul­tu­ra e di va­lo­ri, igna­ra di pro­get­to, de­pri­va­ta al­l’o­ri­gi­ne e se­co­lar­men­te di ogni po­te­re, og­gi fa­me­li­ca­men­te al­la ri­cer­ca di un in­den­niz­zo che la ri­sar­ci­sca del­la lun­ga asti­nen­za (ol­tre che i con­si­gli re­gio­na­li riem­pie fre­ne­ti­ca­men­te gli ou­tlet, inon­da le au­to­stra­de di Suv, aspi­ra ad una vi­si­bi­li­tà da ot­te­ne­re con qual­sia­si mez­zo, non te­me per que­sto né il grot­te­sco né l’o­sce­no, par­la una lin­gua che non è più l’i­ta­lia­no ma una sua ba­star­da, ri­di­co­la ca­ri­ca­tu­ra). In­som­ma, co­me in un in­cu­bo not­tur­no il so­gno ber­lu­sco­nia­no ha pre­so cor­po.
Ta­le clas­se, non so­lo pro­mos­sa ma an­che fu­ri­bon­da­men­te cor­teg­gia­ta da al­cu­ni, ma an­che au­to­pro­mos­sa in­nu­me­ro­si al­tri ca­si, ha co­min­cia­to a in­va­de­re la po­li­ti­ca na­zio­na­le, si af­fac­cia qua e là nei grup­pi di­ri­gen­ti di ta­lu­ni par­ti­ti, sie­de or­mai in ab­bon­dan­za nel­le au­le par­la­men­ta­ri. Ma ha pre­so già di­ret­ta­men­te il po­te­re in nu­me­ro­se real­tà re­gio­na­li, sot­to e so­pra la li­nea del­le pal­me, a te­sti­mo­nian­za del fat­to che il fe­no­me­no è ef­fet­ti­va­men­te na­zio­na­le, non lo­ca­le.

Alberto Asor Rosa su Repubblica di oggi.

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