Antonio, l’erede dei Piromalli: il ritratto del boss (di Cesare Giuzzi)
Giornalisti con la schiena (e la penna) dritta: Cesare Giuzzi per il Corriere della Sera:
La testa calva di Antonio Piromalli si piega una sola volta e lo fa controvoglia mentre i carabinieri del Ros lo scortano sulla macchina che dovrà portarlo in carcere. Lui si guarda intorno, punta gli occhi sul portone di legno del suo palazzo, al civico 33 di viale Brianza, e sul viso per un attimo gli torna il ghigno di chi ha passato una vita a sputare su quelle divise. Sono le 5 del mattino, il traffico intorno alla Centrale inizia lentamente ad animarsi ma nessuno sa che su quell’auto c’è uno dei principi della ’ndrangheta, l’erede della dinastia criminale dei Piromalli di Gioia Tauro (Rc). La famiglia che con don Mommo , Girolamo Piromalli, zio di Antonio e fratello del padre Giuseppe, detto Facciazza , ha trasformato la ’ndrangheta da mafia di pecorai e contadini nell’organizzazione criminale più potente al mondo.
L’erede di Facciazza
Antonio Piromalli, 44 anni, è il braccio imprenditoriale della cosca, ma è anche il capo designato del clan dopo l’arresto di Facciazza . E, scrivono i magistrati reggini Gaetano Paci e Federico Cafiero de Raho, è colui che controlla il mercato ortofrutticolo di Milano. Quell’Ortomercato già finito al centro dell’inchiesta sul clan Morabito nel 2007, e da allora protagonista di una letteratura di propaganda che lo descrive ripulito dal malaffare e bonificato dalle infiltrazioni mafiose. Allora viene da chiedersi come abbia fatto, nell’ottobre 2015, Piromalli a farsi una «passeggiata» tra i padiglioni per «celebrare» il suo ritorno all’Ortomercato dopo l’arresto nel 2008 per l’operazione antimafia «Cent’anni di storia». Una «sfilata» che l’imprenditore Alessandro Pronestì racconta alla moglie, quasi ridendo di un operatore del mercato che durante quella camminata riconosce Piromalli e rimane «impietrito». Perché tutti all’Ortomercato conoscono la fama e la ferocia del boss. Perché, come racconta ai pm il pentito Antonio Russo, «Antonio va subito al sodo, non discute. Mentre vi sedete vi ammazza. Punto. Vi ammazza col sorriso, vi fa capire che vi ha perdonato, e magari vi ha già ucciso. Questo è Antonio». E un altro pentito, Arcangelo Furfaro, spiega che è da una vita che i Piromalli gestiscono il mercato ortofrutticolo di Milano, che «la loro tendenza è rendersi più invisibili possibile e lo fanno in modo eccellente». Ed è illuminante il racconto che Furfaro farà agli inquirenti calabresi: «In Lombardia funziona come in Calabria. Il sistema è sempre quello. Ormai le fette di cocomero negli occhi non ce le ha più nessuno». Nelle 2.185 pagine del decreto di fermo i pm Paci e Cafiero de Raho non usano mezze parole: «Antonio Piromalli assumeva il controllo dell’Ortomercato di Milano attraverso la creazione di una complessa rete di imprese e l’ausilio di una serie di affiliati (tra tutti spiccava Alessandro Pronestì) e fiancheggiatori, coordinati con la finalità di dominare il mercato ortofrutticolo di Milano, facendo leva sul metus mafioso esercitato dalla sua persona».
Le società occulte
Piromalli era socio occulto di diverse società (Ortopiazzolla, Polignanese, Original trade e Artemide) e riforniva (attraverso il consorzio Copam) anche la rete della grande distribuzione dei marchi Ali e Bennet , oltre a vendere i prodotti in Romania, Danimarca e Stati Uniti. Con lui è stata fermata anche la moglie Loredana Sciacca, 44 anni, insegnante all’Istituto comprensivo Quintino di Vona – Tito Speri di via Sacchini. Piromalli (arrestato ieri per associazione mafiosa) era stato scarcerato da Tolmezzo il 21 dicembre 2014 e subito sottoposto alla sorveglianza speciale. Anziché tornare in Calabria decide di fermarsi a Milano, nella casa-fortezza di viale Brianza, perquisita ieri dai carabinieri del Ros di Milano guidati dal tenente colonnello Paolo Storoni. Una decisione strategica, come scrivono i magistrati calabresi: «Non soltanto in considerazione dei trascorsi imprenditoriali e del pregresso circuito relazionale, ma anche e soprattutto per mantenere un basso profilo, sfruttando una minor visibilità per arginare intromissioni da parte delle forze di polizia e gestire con maggiore serenità il clan». E dove se non a Milano? Per farlo utilizzerà una rete di cerchi concentrici. Prima i familiari, poi Pronestì e i due consigliori Giovanni Scibilia (operaio che si occupa della manutenzione di alcune palestre di via Cenisio, viale Stelvio e via Piranesi) e Rocco Saccà, ufficialmente muratore ma autista e braccio destro del boss. È grazie a Scibilia che tenterà l’acquisto di una palestra a Milano «che fattura un milione e mezzo di euro all’anno».
I «buchi» nella sicurezza
Ma come è stato possibile che un padrino della ’ndrangheta come Antonio Piromalli abbia potuto passeggiare liberamente tra i banchi dell’Ortomercato mentre era sottoposto alla sorveglianza speciale? Nessuno lo sa. Anche perché l’accesso ai mercati generali gestiti da Sogemi dovrebbe essergli interdetto, visto che ufficialmente non figura tra i soci delle aziende ortofrutticole. Scrivono ancora i pm reggini: «Si vedrà come il reinserimento in quel mercato costituirà per Piromalli una modalità di ribadire il proprio potere mafioso ed imprenditoriale; un modo per manifestare a tutti gli operatori la propria forza criminale, non inficiata da sette anni di detenzione».